In Italia c’è il calcio, in inglese il «football», ma negli Stati Uniti sono due sport diversi. Da Detroit, fino Seattle, passando per Indianapolis e Baltimora, significa solo football americano. Dalle high school ogni anno escono oltre un milione di possibili giocatori, ma solo il 6 per cento di loro troverà una squadra al college. Di questi solo l’1,6 per cento diventerà un professionista. Da un milione che erano, solo 254 ce la fanno, parafrasando Morandi. Ai pochi fortunati vengono prospettate infinite fortune, orde di fan e immense risorse economiche. Nessuno però spiega loro che il sogno potrebbe finire molto in fretta.

Le carriere dei giocatori di football durano in media 3 anni. C’è sempre l’eccezione che conferma la regola, come il caso Tom Brady, icona per 22 anni dei New England Patriots e dei Tampa Bay Buccaneers. Ma si tratta, appunto, di un’eccezione alla regola dei ritiri precoci perlopiù causati dagli infortuni. La Nfl è la lega nazionale, ma è anche l’acronimo ironico di «Not For Long», non per molto. La fama dura poco, così come i soldi e la condizione fisica perfetta, al loro posto depressione e disoccupazione, condizioni economiche precarie e disabilità fisiche e mentali.

C’è vita dopo il football?

Nel 2016, un ex giocatore professionista, George Koonce, ha scritto un libro dal titolo: «Is there life after football?», nel quale analizza le difficoltà della vita dopo il ritiro. In un passaggio, parlando della sua esperienza personale, scrive: «Mi sono trovato per la prima volta nella mia vita solo. Avevo sempre avuto il supporto dei miei compagni, dei miei amici, della mia famiglia. Tutto è semplicemente scomparso».

Entro due anni dal ritiro, circa l’80 per cento degli ex giocatori di Nfl dichiara bancarotta o soffre di gravi difficoltà economiche. Gli stipendi nel football possono essere molto alti e toccare vette vicine ai 70 milioni l’anno. La media però è molto più bassa e varia in base al ruolo in campo. I meno pagati, pur essendo i più “picchiati” nel gioco, sono i running back, con uno stipendio annuo medio di un milione. I più fortunati per fama, ma anche per busta paga, sono i quarterback, con stipendi da 15 milioni di dollari. Siamo ben al di sopra della soglia di povertà, ma molti di loro mantengono uno stile di vita molto elevato che presto diventa insostenibile.

Espn ha intervistato oltre 1.500 ex giocatori degli anni ’80 con un’età media di 60 anni. Quattro su dieci hanno dichiarato di non avere più un’assicurazione sanitaria da quando si sono ritirati, il 16 per cento ha perso la casa e il 17 ha dichiarato bancarotta personale. Negli Stati Uniti è molto diffuso un sistema di risparmio pensionistico che si chiama 401(k) da cui si possono ritirare soldi solo dai 59 anni in su. Per un giocatore la cui carriera termina prima dei 30 anni è un periodo molto lungo senza ingressi costanti.

Molti cercano di reinventarsi con un nuovo lavoro, alcuni anche con successo. Dopo aver riempito stadi con milioni di persone, molte delle stelle Nfl scelgono di fare gli insegnanti, altri gli agenti immobiliari e altri ancora i poliziotti. Negli ultimi anni, come scrive il New York Times, sta diventando comune anche fare gli infermieri.

I danni fisici

I danni fisici e psicologici sono molto diffusi tra gli ex giocatori, traumi che restano con loro per tutta la vita. Tra le malattie più diffuse c’è la Cte (Encefalopatia cronica traumatica), meglio nota come «demenza del pugile». I suoi effetti sono stati notati per la prima volta negli anni Venti, ma solo nel 2005 il dottor Bennet Omalu ha condotto uno studio proprio su un ex giocatore Nfl. Il medico ha scoperto che la malattia, derivata da ripetuti traumi cranici, causa cambiamenti neuropatologici e nei casi più gravi anche la morte.

Nel 1988, i New Orleans Saints hanno schierato 56 giocatori che Espn, nella sua ricerca, ha cercato di intervistare. Dieci di loro sono morti mentre gli altri fanno i conti con un drastico peggioramento della qualità della vita. Uno di loro, rimasto anonimo per questioni di privacy, ha detto: «Non posso più giocare a palla con mio nipote, non posso più suonare la chitarra, non posso fare niente. Sto qui seduto ad aspettare di morire».

La metà di questi ex giocatori ha gravi difficoltà di concentrazione, di memoria e di capacità di scelta. Il 15 per cento ha avuto una diagnosi di demenza (la media nazionale è 4 per cento) mentre sei su dieci convivono con una disabilità o con difficoltà perfino nel vestirsi e lavarsi. Infine, la metà ha sofferto di depressione negli ultimi 12 mesi. Diventare un mito di questo sport, poter correre in uno di quegli stadi gremiti però è un sogno talmente grande che circa l’80 per cento di loro ha specificato che rifarebbe tutto da capo.

Necessarie precauzioni

La Nfl negli ultimi anni ha iniziato a prendere delle contromisure. La lega ha finanziato diversi programmi di salute e benessere su richiesta del sindacato dei giocatori (Nfl Players Association): «Sono stati stanziati oltre due miliardi di dollari per migliorare ulteriormente i benefici pensionistici e sanitari dei giocatori», ha dichiarato un portavoce della Nfl, «con un conseguente aumento dell'accesso all'assistenza a lungo termine, alla consulenza e ai programmi di transizione di carriera».

La lega ha anche introdotto delle strategie innovative per ridurre le commozioni cerebrali che nel 2025 sono state 182. Equivale a un calo del 17 per cento rispetto alla stagione precedente ed è il numero più basso dal 2015, ovvero da quando si rilevano questi dati.

Sono nate nel tempo anche delle associazioni private che danno supporto medico e psicologico agli ex giocatori. Tra i più noti c’è il fondo The Trust, fondato nel 2013 per fornire l’assistenza necessaria per la vita degli sportivi dopo il ritiro. L’ente però lavora anche con i giocatori rimasti senza contratto ma che vogliono ancora provare a giocare. È un fenomeno diffuso nel settore perché i club preferiscono puntare su nuovi giovani a prezzi più bassi, piuttosto che riutilizzare “veterani” dagli stipendi elevati.

Anche in questo caso il supporto psicologico è importante perché meno di un giocatore su 100 trova squadra dopo essere rimasto fuori dalla Nfl per più di un anno intero e solo il 10 per cento dei giocatori senza club durante la stagione riesce a trovarne uno nuovo in quella stessa stagione.

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