Ogni società tecnologica tenta di offrire un grappolo di molteplici servizi, ma in occidente non c’è ancora un app che tramite un solo account ti consente di ricercare, messaggiare, prenotare, comprare, svolgere pratiche fiscali, disporre dei servizi sanitari, accedere all’anagrafe.

Google, attorno al suo motore di ricerca (che rappresenta oltre il 90 per cento del mercato nel mondo non cinese) è riuscita a creare un organico insieme di servizi, dalla posta alle mappe, dalle notizie ai calendari, fino, con Youtube, al primo vero social alimentato dai prodotti dagli utenti che possono perfino raccoglierci quattrini.

In più, con vista lunga, ha generato Android, il sistema operativo che conferisce l’anima a più della metà del mondo degli smartphone, costringendo ogni nuova applicazione a passare dal suo store. Infine, e non da ultimo, è grazie ai miliardi raccolti nel frattempo che Google sopravanza chiunque altro nel cantiere delle intelligenze artificiali capaci di creare legami indissolubili e scambievoli con artisti, medici, fiscalisti, guide turistiche, psicologi, economisti e sociologi allo sbando.

Modello Meta

Meta (Facebook, Instagram, Whatsapp) nasce per contro con la lungimiranza d’una talpa e s’attacca al bisogno più immediato ed elementare degli umani, che consiste nel trovarsi fra compagni di scuola del passato e attuali, fra figli abbandonati e padri fedifraghi, fra gattari e paninari, opinionisti da marciapiede attorno ad ogni tema. Grazie a questo prodotto e all’algoritmo che lo esalta facendone nel web l’equivalente della peggiore Rete4 d’una volta, Facebook s’è comunque impadronita di una montagna di dati generati dagli stessi utenti e da lì rende impossibile a chiunque sfidarla sullo steso basso piano. Tuttavia qualche rogna potrebbe provenirle dalla concorrenza di TikTok e dalle norme Ue e per questo Zuckerberg sta puntando a creare un mondo apposito (lo chiama Metaverso) basato su oculari e giochi annessi, ma sempre volto allo scambio di gattini sebbene non più “bi”, ma tridimensionali.

Le super app asiatiche

Rispetto alla coppia americana Google-Meta che s’è spartita i ruoli sul mercato, in Asia hanno preso piede per contro e non da oggi le super app “coltellino svizzero”: un unico account con cui si accede a molteplici funzioni, tenute insieme da quella finanziaria perché, dovunque t’affacci, con il medesimo strumento puoi pagare gli oggetti o i servizi che desideri. Così da un’unica fonte t’arrivano i rendiconti e le fatture ed eviti di spargere i dati della carta di credito in mille direzioni. Le super app consolidate le incontriamo in Cina (Wechat e Alipay), in India (Paytim), in Indonesia (Gojek), tutte seminate quando era appena iniziata l’èra dello smartphone e i servizi informatici erano pronti a seguirti fisicamente in ogni luogo e in svariate circostanze. Da qui la tendenza alla app multifunzione per non abbandonare mai a sé stessi i propri utenti, soprattutto nel momento di pagare. Con il vantaggio di poter integrare nell’offerta le “rendite di prossimità” derivanti da vicinanze culturali, dal rapporto con i sistemi di welfare e più in generale da quello con le amministrazioni locali(un vantaggio territoriale che le, per ora inesistenti, super app europee analogamente potrebbero sfruttare).

Così s’è affermato l’altro modello di sviluppo dei servizi web rispetto a quello americano. Basato sulla molteplicità delle funzioni e, strategicamente, sull’integrazione coi servizi finanziari. E su un rapporto con il cliente che coinvolge non l’occasionale utilità, ma la fiducia necessaria quando di mezzo c’è il denaro.

Le intenzioni di Musk

Solo avendo in mente l’esperienza delle super app asiatiche assume un senso la telenovela Twitter-Musk. Perché mai costui avrebbe dovuto offrire quasi 50 miliardi per un social che a malapena mette insieme il pranzo con la cena se non per farlo evolvere Twitter verso il modello super app? Tanto più se ricordiamo alcuni nessi che col senno attuale non sembrano casuali: da un lato le lodi sperticate dedicate a Signal (che potrebbe essere il sistema di messaggistica integrabile, come Whatsapp è accanto a Facebook e Instagram); da un secondo lato, ancora più importante, la circostanza che Musk ha fatto i primi veri soldi come coinventore del sistema di pagamento PayPal, poi ceduto al sito di commercio eBay. Una fila di sigle che paiono pronte a mettere insieme la prima super app americana e scatenare, per agguantare il gigantesco mercato statunitense ed europeo, il protagonismo delle banche in una sorta d’Armageddon fra i freschi monopoli della Silicon Valley e i secolari padroni di Wall Street. Perché la posta diventa questa volta il controllo di gruppi integrati misurabili a trilioni (dieci volte più grandi di quelli attuali che contano i miliardi e già ci paiono giganti).

Storie avvincenti per chi segue le distruzioni creative del capitalismo come romanzi d’avventura. A parte la circostanza che il peso dei prossimi giganti trilionari ridistribuirà, in peggio, l’equilibrio fra la forza del denaro e quella delle istituzioni statuali senza le quali la democrazia non trova casa.  

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