C’era un tempo, specie negli anni di Steve Jobs, in cui ogni presentazione Apple catalizzava l’attenzione mediatica mondiale. Oggi qualcosa di simile accade per ogni novità legata a ChatGpt, l’intelligenza artificiale più conosciuta al mondo. È successo anche con il debutto del nuovo modello linguistico, battezzato semplicemente ChatGpt-5.

Come sempre, la notizia è stata circondata da entusiasmi facili e da altrettante critiche, sempre alle prese con la stessa, difficile domanda: «Quanto cambierà, ancora una volta, la nostra vita?».

Perché è indubbio che ChatGpt, dal suo arrivo nel 2022, abbia già fatto il passo decisivo in questo senso: ci ha spinti in una nuova epoca della tecnologia, con tutte le implicazioni etiche e legali che conosciamo, e che ci hanno trasportato in un mondo nuovo. Ognuno può giudicare se migliore o peggiore. Ora, il nuovo modello sembra semplicemente portare quel discorso un po’ più avanti.

Si può dire che è più veloce e più preciso, che è già disponibile anche per gli utenti gratuiti, che punta a diventare sempre più un assistente digitale capace di agire, con meno errori e “allucinazioni”. E si possono aggiungere tutte le altre novità che Sam Altman – il patron di OpenAi – ha dato in pasto ai media.

Ma si può dire anche un’altra cosa: che rende ancora più evidenti alcune questioni controverse, quelle che continuano ad alimentare il dibattito globale sull’intelligenza artificiale. Era ovvio che fosse così, ma per certi aspetti fa comunque impressione.

L’evoluzione

Dal punto di vista simbolico, Sam Altman ha insistito molto nel definire il nuovo modello come un passo fondamentale nella traiettoria verso l’Intelligenza Artificiale Generale: l’idea che le capacità cognitive dell’intelligenza artificiale possano diventare sempre più paragonabili a quelle umane, con confini sfumati tra i diversi ambiti di utilizzo.

In quest’ottica, OpenAi ha puntato sulla creazione di un modello multidisciplinare, capace di riunire in un’unica piattaforma funzioni che oggi sono disperse in strumenti diversi. È ovviamente un modo per migliorare l’esperienza degli utenti, ma forse, ancora di più, è anche una strategia per rafforzare il proprio vantaggio in un mercato dove la concorrenza si fa ogni giorno più agguerrita.

In altre parole, ChatGpt-5 mira a imporre un nuovo standard con risposte di qualità superiore, tempi di elaborazione più rapidi, e una capacità di ragionamento più articolata. Tutto questo per offrire strumenti applicabili a un numero crescente di contesti.

Uno degli ambiti dove questa evoluzione è più visibile è lo sviluppo software, con la scrittura e correzione di codice, la creazione di applicazioni e l’automazione dei processi. Ma proprio qui riemerge il dibattito che accompagna l’intelligenza artificiale fin dall’inizio: gli algoritmi ci ruberanno il lavoro, o semplicemente ne cambieranno la natura?

Forse la vera novità sta però altrove: mentre continuiamo a porci le stesse domande – e a ricevere risposte lente, frammentarie, come sono quelle di tutti i dibattiti umani – il progresso tecnologico corre a una velocità che sembra non conoscere rallentamenti.

DottorGpt

Tutto questo emerge in modo ancora più evidente in un settore molto specifico, dove OpenAi rivendica progressi significativi: il supporto in ambito medico, con una maggiore accuratezza nel rispondere a quesiti clinici.

Con ChatGpt-5 l’obiettivo dichiarato è duplice: da un lato aiutare gli utenti a comprendere referti ed esami diagnostici, traducendoli in un linguaggio chiaro e non tecnico; dall’altro, fungere da promemoria per test e controlli, sulla base dei sintomi riportati dall’utente.

OpenAi sottolinea con forza che il modello non può, e non deve, sostituire il parere di un medico. Piuttosto, vuole proporsi come un assistente capace di adattarsi sia alle esigenze dei professionisti sanitari, sia a quelle dei pazienti.

L’enfasi su questo aspetto non sembra casuale. Riflette un interesse crescente per soluzioni che migliorino la gestione della salute, favoriscano forme di autogestione e, in alcuni casi, inseguano l’idea, più suggestiva che scientificamente valida, di una longevità prolungata.

Ma il rovescio della medaglia è evidente: il rischio che le persone finiscano per fidarsi più di un’auto-diagnosi online che del proprio medico. È un fenomeno già noto e studiato, amplificato dalla facilità con cui oggi si reperiscono informazioni in rete.

La scommessa di ChatGpt, in questo senso, è chiara: se il bisogno esiste, tanto vale offrire uno strumento più affidabile, in grado di costruire risposte personalizzate sulla base della storia clinica e delle caratteristiche del singolo paziente, senza mai sostituirsi – o almeno così dicono – alla competenza umana.

Riflessi di noi

È inevitabile che l’uso dell’intelligenza artificiale in questo ambito accenda, ancora una volta, suggestioni e paure. Ma c’è un punto che vale la pena sottolineare: l’evoluzione degli algoritmi si nutre innanzitutto del loro impiego. I modelli apprendono dai nostri desideri inespressi, dalle nostre debolezze, dalle nostre virtù e dai nostri bisogni.

In altre parole, se ci inquieta questa corsa della tecnologia, è perché ci spaventa il riflesso che vi riconosciamo: il modo in cui noi stessi la utilizziamo. L’intelligenza artificiale è uno strumento neutro, ma stiamo trasferendole frammenti sempre più ampi della nostra personalità. Non la limitiamo: la osserviamo crescere, affinarsi e, potenzialmente, diventare più potente e distruttiva.

E così restiamo qui, divisi tra entusiasmo e timore, nella speranza che questa corsa sia davvero verso il progresso, e non verso una crisi che, per ora, possiamo solo immaginare. Magari chiedendone un’opinione a ChatGpt.

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