Che le cose stessero andando a rotoli era chiaro da qualche settimana. Per quale ragione una persona che ha dichiarato pubblicamente di voler comprare Twitter (anche) per liberarlo dai troppi bot e account fasulli dovrebbe poi motivare i suoi ripensamenti con la presenza sul social network di troppi bot e account fasulli?

È difficile escludere che si tratti (almeno in parte) di una scusa, con cui Elon Musk – che il 14 aprile scorso ha depositato un’offerta pubblica per acquistare Twitter al prezzo di 43 miliardi di dollari – sta cercando di ritirarsi da un’operazione che forse non l’ha mai davvero convinto, ideata impulsivamente (come gli è capitato anche in passato) e senza che alle spalle ci fosse una strategia più elaborata della semplice volontà di comprarsi il suo giocattolino preferito, che usa a livelli che potremmo definire “trumpiani” e dove ha 100 milioni di follower adoranti.

Come tutto è iniziato

Prevedibilmente, tutto è partito con un tweet. Il 25 marzo, Musk ha postato un sondaggio in cui chiedeva ai suoi seguaci se Twitter rispettasse «la libertà d’espressione». Oltre il 70 per cento avevano risposto negativamente e molti avevano spronato Musk a fare qualcosa per risolvere la situazione.

Lui prima ha annunciato la volontà di costruire una piattaforma alternativa a Twitter, poi, memore di essere azionista di Twitter, ha dato il via a una serie di manovre frenetiche e confuse: prima ha aumentato la sua quota fino a diventare il principale azionista del social network, poi ha accettato l’inevitabile richiesta di entrare nel cda, dopo ha cambiato idea, ha rinunciato al posto e ha annunciato infine la volontà di comprare Twitter.

Mentre avveniva tutto ciò, Musk iniziava a elaborare una confusa visione di libertà d’espressione che dovrebbe essere alla base di Twitter (una sorta di “liberi tutti” indistinguibile dall’idea di free speech dei suprematisti bianchi) e a fare qualche accenno alla volontà di eliminare i bot e cambiare modello di business. Poche idee, vecchie e sconnesse. L’impressione è che col tempo Elon Musk si sia reso conto che l’intera operazione non era solo azzardata dal punto di vista economico (anche perché gli introiti di Twitter sono altalenanti e spesso in negativo), ma rischiava di trasformarsi in una rogna colossale.

Il valore di Twitter

Dal punto di vista finanziario, Musk ha spiegato che avrebbe messo di tasca sua 21 miliardi di dollari, circa metà del valore dell’intera operazione. Tutto ciò è però avvenuto mentre il Nasdaq era già in caduta libera: dal giorno della proposta di acquisto per 54 dollari ad azione, il valore di Twitter è sceso del 20 per cento.

Se non bastasse, anche le azioni di Tesla hanno perso circa il 30 per cento del valore da aprile a oggi, rendendo l’acquisizione di Twitter economicamente ancora più azzardata, visto che la ricchezza di Elon Musk consiste per il 94 per cento in quote delle sue società.

Questo aspetto si può risolvere negoziando un prezzo inferiore (che potrebbe essere la soluzione finale a cui Musk sarà obbligato, visto che il cda di Twitter ha annunciato battaglia legale e ha buone chance di vincere), ma lascia aperto l’altro fronte.

Gestire un social network è un incubo: significa confrontarsi costantemente con polemiche, scandali, audizioni al Congresso per dare conto di cosa si sta facendo per contrastare il terrorismo, i teorici del complotto, gli estremisti, i truffatori e quant’altro. Per non parlare delle costanti battaglie con i garanti europei della privacy o le multe salatissime dell’Antitrust. E poi ancora le accuse di mettere a rischio la tenuta stessa delle democrazie occidentali e di diffondere fake news e discorsi d’odio, costringendo a decisioni delicatissime ed estremamente controverse (basti pensare all’espulsione di Donald Trump).

Da questo punto di vista, la volontà di trasformare Twitter nel paradiso del “free speech” non avrebbe semplificato le cose, ma semmai esponenzialmente complicate, rendendola una piattaforma in cui i peggiori troll potevano scatenarsi liberamente.

Twitter, però, non è 4chan: non è un oscuro piccolo social network dal quale basta tenersi alla larga, ma un luogo dotato di una visibilità mediatica colossale. Non stupisce che Elon Musk abbia forse inizialmente pensato che gestire Twitter sarebbe stata una passeggiata, col passare delle settimane – e quando ormai il danno era fatto – potrebbe essersi reso conto dell’errata valutazione.

Quando si è l’uomo più ricco del mondo e si è anche afflitti da un’evidente impulsività, può capitare anche questo: che un’idea buttata lì ai 100 milioni di follower prenda vita propria, sfuggendo al controllo e trasformandosi in un’offerta pubblica d’acquisto nel giro di un paio di settimane. A mente lucida, è possibile che Elon Musk si sia reso conto di essersi infilato in una gigantesca trappola. Uscirne, però, sarà molto complicato.

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