Nel Piano nazionale di salvezza detto Pnrr, le due “r” stanno per ripresa e resilienza. Il senso, se non travisiamo, è che la botta del Covid-19 è stata forte, ma mai quanto quelle che l’Italia s’è inflitta nell’ultimo mezzo secolo con le mani proprie senza poter addossare la colpa ad alcun virus.

In sostanza oggi, non basta  tornare come prima con la semplice “ripresa”, perché quel “prima” non è il paradiso ma l’inferno, occorre invece anche la conquista della resilienza che, sgomberate le rovine del passato, renda il paese capace di navigare, senza sfasciarsi all’incontro con le tempeste del futuro.

A sostegno di un’ambizione tanto grande e necessaria s’era capito da parecchio che sarà essenziale il soccorso dell’innovazione digitale. Anche il Pnrr afferma e ribadisce in ogni pagina che il digitale è la missione che precede e condiziona tutte le altre, dalla riforma della pubblica amministrazione a quella delle tasse, dal nuovo processo civile e penale all’energia verde, dalle dinamiche della cultura a quelle d’inclusione di sesso, di generazione, sociali, di territorio. 

Il decreto di luglio

Eravamo dunque già in attesa dello tsunami di leggi volte a sgomberare il passo al digitale quando a luglio è arrivato un decreto di rinvio della norma dell’ottobre 2019 (governo Conte II) che fissava al settembre 2021 il momento inderogabile entro il quale Rai, Mediaset e compagnia, dovevano trasferirsi su altre onde per fare spazio (nella banda 700) al sopravveniente 5G, cardine d’ogni futura internet delle persone e delle cose.

Per accelerare il trasloco delle compagnie televisive era previsto un bonus di rottamazione per incentivare  la sostituzione dei televisori più vecchiotti con modelli più recenti. A diffondere la novella era impegnata la Rai attraverso una campagna d’informazione apposita.

La frenata

Dopodiché non è accaduto proprio nulla. O meglio, la Rai ha progettato la campagna di comunicazione richiesta, ma si è guardata dal trasmetterla, come se il medesimo governo che l’aveva incaricata le stesse suggerendo di non esagerare con lo zelo.

In ogni caso, che sia stata doppiezza del governo Conte II o sprovvedutezza della stessa Rai, sta di fatto che quella stasi ha segnato il trionfo del partito frenatorio che, a partire da Mediaset, temeva di mettere a subbuglio l’audience e i ricavi del mercato. Così il bonus è restato clandestino, la mole dei televisori è rimasta tale e quale, il 5G è tornato fra gli argomenti da convegno.

Senonché, giunto da ultimo, il governo Draghi, pressato dal Pnrr e dalle scadenze per l’erogazione dei quattrini, ha ripreso in mano la faccenda, ha abbozzato, come si dice a Roma, sulle colpe del passato e ha posto nel 2022 un nuovo termine di sgombero col decreto del 2 luglio 2021 ultimo scorso.   

In altri tempi, adusi all’emergenza permanente e allo sviluppo strangolato dalla perpetuazione del presente, avremmo fatto ciniche spallucce. Ma stavolta la faccenda mostra un rilievo differente  perché c’è di mezzo il Pnrr che ha legato in un tutt’uno la digitalizzazione alla riforma del paese. Che dunque partirà con un anno di ritardo perché qualcuno, Rai e/o governo, nel biennio precedente non ha fatto il suo dovere. 

Cosa ne deriva nello sviluppo di mestieri nuovi? Quante funzioni e talenti vengono smarriti per la strada? Quanti gli investimenti stranieri che scelgono altri luoghi? Materia sociale e politica, nascosta nella tecnicità delle oscure sigle sigle 5G, banda 700, Mpeg 2 e 4, Dvbt di cui solo gli addetti ai lavori osano parlare.

Un assaggio, diremmo, della montagna di stati di fatto che il Pnrr dovrà svellere. Con tanti auguri a Draghi che, a sigillo del Piano ha posto, alla Camera nell’aprile 2021, queste parole temerarie: «Sono certo che riusciremo ad attuare questo Piano. Sono certo che l’onestà, l’intelligenza, il gusto del futuro prevarranno sulla corruzione, la stupidità, gli interessi costituiti».

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