Per qualche anno, il termine “millennial” è stato erroneamente utilizzato come sinonimo di “giovane”. È forse anche per questo – ma più probabilmente per complesse questioni socio-economiche – che gli stessi millennial sembravano convinti di essere destinati a un’eterna giovinezza, nonostante i più vecchi tra noi abbiano ormai superato i quarant’anni (mentre i più giovani hanno circa 26 anni).

E poi è arrivata la Generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2012), che ha invece iniziato – tra lo stupore generale – a usare la parola “millennial” come se fosse un insulto da rivolgere a questi fratelli maggiori ingombranti e ormai abbastanza âgés, sottoponendoci di fatto al cosiddetto “trattamento boomer”.

I nuovi boomer

Su TikTok sono ormai innumerevoli i video in cui i giovanissimi prendono di mira i tic e le caratteristiche dei trenta-quarantenni: l’uso eccessivo di emoji (a partire da quella, ormai logora, della faccina che piange dal ridere), l’abitudine di farsi selfie solo dall’alto, la nostalgia interminabile per gli anni Novanta e l’ormai celebre “millennial pause”, la prassi di aspettare uno o due secondi prima di iniziare a parlare in un video per essere sicuri che lo smartphone stia effettivamente riprendendo (abitudine ilare per chi non è soggetto a questi dubbi di origine analogica).

Ci sono anche creator diventati celebri proprio per i loro video-caricatura dei millennial. È il caso per esempio di Bianca Scaglione: oltre un milione di follower su TikTok conquistati tramite le parodie spietate dei millennial. «Di base, il classico comportamento di un millennial è riassumibile in un mucchio di piccole e sciocche sfumature messe assieme per creare una personalità che si lascia impressionare da cose normali e ordinarie», ha spiegato all’Atlantic il creator 24enne Michael Stevens.

Shock culturale

E quali sarebbero queste «sciocche sfumature»? Per esempio, iniziare i video con un drammatico sospiro in segno di esasperazione, fare dei drammatici zoom sul proprio volto e tutto ciò che serve a enfatizzare i sentimenti senza rendersi conto di essere – agli occhi dei più giovani – involontariamente ridicoli. Siamo davanti a uno scontro generazionale? O forse si tratta di un più semplice passaggio di consegne, in cui alcune abitudini che hanno caratterizzato il modo di usare internet dei millennial (ovvero la generazione che più di ogni altra ha forgiato la prima incarnazione della rete e dei social) stanno ormai inevitabilmente diventando datate?

Quel che è certo è che, per i millennial, scoprire di essere diventati il bersaglio sarcastico dei più giovani è stato un bello shock, soprattutto considerando che fino a poco fa venivano sottolineate soprattutto le somiglianze tra queste due generazioni (per esempio sotto il profilo delle sensibilità politiche e climatiche, come mostrato da un sondaggio del Pew Research Center). «Per i millennial, abituati ad avere un’affinità con gli Zoomer in quanto entrambi snobbati dalle generazioni precedenti, è stato scioccante scoprire di non essere apprezzati nemmeno dalla Gen Z», ha scritto l’autrice di romanzi per giovani adulti Jenna Guillaume.

Il tramonto delle gif

Se c’è un elemento che più di ogni altro segnala questo passaggio di testimone – e soprattutto il calo dell’influenza dei millennial sulla cultura di internet – è sicuramente il declino delle gif: la forma creativa e comunicativa più amata dagli over 30, simbolo dei cambiamenti espressivi introdotti da internet e dai social e parte integrante del successo di storiche piattaforme come Tumblr, un servizio di microblogging dalla forte impronta creativa.

Acronimo per Graphics Interchange Format, la gif non è altro che un formato di file per immagini digitali utilizzato per dare vita ad animazioni brevi, spesso ripetute in loop e usate sui social principalmente per esprimere un concetto senza bisogno di formularlo esplicitamente. Tra le più note, tutti avrete visto almeno quella di Eddie Murphy che si punta l’indice alla tempia in segno di furbizia o di Michael Jackson che mangia i popcorn (usata da chi si ritrova, per esempio, a fare da spettatore a un litigio su Facebook).

Per capire l’importanza di questo formato, basti pensare che nel 2016 l’allora responsabile della strategia creativa di Tumblr, David Hayes, l’aveva definito «il formato della generazione di internet»: all’epoca su questa piattaforma venivano caricate 23 milioni di gif al giorno. Il successo è stato però anche la causa del loro declino: nel momento in cui il motore di ricerca specializzato Giphy ha iniziato a venire integrato in tutti i social network, l’utilizzo delle gif è diventato semplicissimo, diffusissimo e ha soprattutto favorito quelle più comuni, diventate così rapidamente logore. Ciò vale a maggior ragione per le cosiddette “reaction gif”, usate appunto per reagire a qualche commento (tra cui troviamo proprio quelle di Michael Jackson ed Eddie Murphy) e talmente abusate che i più giovani se ne tengono accuratamente alla larga.

L’investimento di Meta

Vista la situazione, non stupisce che sia stata un’azienda che sembra ormai aver completamente perso sintonia con le generazioni più giovani – vale a dire Meta (Facebook) – ad aver deciso di puntare ancora sulle gif, acquistando nel 2020 per 315 milioni di dollari proprio il motore di ricerca specializzato Giphy.

Un’acquisizione contestata dall’antitrust britannico (e a cui infatti Meta dovrà rinunciare) nonostante la stessa Giphy – confermando il declino del settore – avesse spiegato tramite i propri avvocati «di non avere significative fonti di reddito», che nessun’altra realtà era interessata al loro acquisto e come «ci siano chiari segnali di un declino complessivo nell’uso delle gif», perché «in particolare i più giovani le descrivono come qualcosa “da boomer” e “cringe” (termine traducibile, più o meno, con “imbarazzante”)«. Se lo stesso motore di ricerca specializzato si autodenigra in questo modo, significa davvero che le gif stanno per svanire sullo sfondo della storia di internet?

Quel che è certo è che la loro storia risale ormai a un’altra epoca: introdotte per la prima volta nel 1987 dal fornitore di servizi online CompuServe per supportare le immagini a colori, le gif hanno avuto il primo vero periodo di successo nei giorni di gloria di GeoCities, sorta di progenitore dei blog nato nel 1994 e chiuso nel 2009. Il loro apice, come detto, si verifica invece a cavallo degli anni Dieci grazie anche a Tumblr. Insomma, per i ritmi del mondo digitale, le gif sono preistoria: inevitabile che stiano venendo rimpiazzate da altri strumenti più o meno simili, tra cui brevi clip video (dotati anche di audio), sticker e altro ancora.

Accettare la transizione

D’altra parte, ad aver fatto il loro tempo non sono certo solo le gif: gli stessi social nati assieme ai millennial (Facebook, Twitter, ma anche YouTube e perfino Instagram) stanno attraversando una dibattutissima fase di difficoltà. L’idea stessa di “network sociali”, nati inizialmente per mantenere una rete di relazioni di vario tipo, è oggi stata completamente abbandonata dalle piattaforme più innovative. TikTok è una sorta di mini-televisione che permette di fruire di un flusso ininterrotto di video creati da sconosciuti, strumenti come Discord permettono di riunirsi sulla base degli interessi comuni e non delle conoscenze, mentre le discussioni e la condivisione di contenuti tra amici si sta spostando su WhatsApp o Telegram. Insomma, è la natura stessa dei social network da millennial che sta venendo messa in discussione.

Un chiaro segnale del tempo che passa e della mancata presa sulle generazioni più giovani è anche il tentativo dei vecchi social di ringiovanirsi a tutti i costi copiando la formula di TikTok (Instagram e Facebook con i reels, YouTube con gli shorts, Snapchat con spotlight). Un tentativo destinato a fallire: la Generazione Z ha già TikTok e non sa che farsene dei tentativi di rimodernare i social più antiquati, mentre i millennial non necessariamente desiderano che i loro social vengano trasformati secondo i gusti di un’altra generazione (le Storie fanno forse eccezione, essendo maggiormente intergenerazionali).

Noi millennial siamo i primi a osservare la nostra gioventù svanire in tempo reale sui social – «incastrati nella ripetizione a pappagallo dei tratti distintivi di un’era passata», come si legge sull’Atlantic – mentre la nostra crescente irrilevanza ci viene ripetutamente sbattuta in faccia dalla generazione che ci sta rapidamente sostituendo: armata di nuove idee, nuovi stili e nuovi modelli estetici e culturali. Se vogliamo distinguerci dai boomer, c’è una sola cosa che possiamo fare: accettare serenamente questa dolorosa transizione.

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