Nell’inchiesta che incrocia voti, mazzette e grandi affari in terra ligure non poteva mancare la ‘ndrangheta, la più potente mafia d’Europa, che da decenni ha messo mani e piedi anche nella regione.

Ma, prima di passare in rassegna rapporti e intrecci con gli uomini delle cosche calabresi, bisogna partire da un dato che emerge dalla carte: l’assenza di ogni scrupolo nei confronti di voti sospetti e soldi sporchi. Per capirlo bisogna rileggere un’intercettazione nella quale il presidente della regione, Giovanni Toti, ora ai domiciliari, parlava dei fratelli Testa, di voti per le comunali di Genova nel 2022, da convogliare su Marco Bucci, e soldi da incassare.

Arturo Angelo Testa e Italo Maurizio Testa, dirigenti di Forza Italia ora sospesi dal partito, dovevano garantire il voto della comunità di Riesi (provincia di Caltanissetta) grazie anche al contributo di Venanzio Maurici, sindacalista della Cgil, indagato e considerato referente del clan Cammarata, con feudo proprio a Riesi, e da tempo insediatosi a Genova.

Tra gli arrestati c’è anche Marco Cozzani, capo di gabinetto di Toti e ai tempi coordinatore della lista del presidente, che aveva intenzione di candidare uno dei Testa per mettere le mani su quel pacchetto di voti, almeno 400, prima di cambiare idea perché c’era una foto dei fratelli mentre facevano il saluto romano davanti al busto del duce.

C’è una conversazione utile a inquadrare anche il ruolo di Toti. A febbraio 2022, negli uffici del presidente ci sono Cozzani, Marco Bucci, sindaco di Genova, e due collaboratrici.

Si discute delle imminenti elezioni comunali e della cifra da mettere a disposizione per sostenere la campagna elettorale, si parla di 250mila euro e si passano in rassegna piccoli e grandi finanziatori. Si torna a parlare di due soggetti noti a presenti, i fratelli Testa, portatori di voti della comunità riesina, già sollecitati per le regionali. Il presidente diceva: «Ma i riesini?», e Cozzani replicava non nascondendo preoccupazione: «...Stacci lontano che quelli lì ci mettono in galera...i Riesini quelli diiii...».

Toti citava esplicitamente i fratelli Testa. A questo punto la portavoce del presidente, Jessica Nicolini, ricordava che già era stata effettuata in passato una cena elettorale, e Toti raccomandava che, in caso di un nuovo evento con possibili erogazioni, avrebbero dovuto essere prelevate di persona: «E lì…..e lì vanno ritirati a mano».

Voti di ‘ndrangheta

I voti in odore di mafia proverrebbero anche da uomini di ‘ndrangheta. Alcuni candidati, pur di essere eletti e aumentare i consensi da portare in dote a Toti, promettevano favori, posti di lavoro e appalti a uomini legati al crimine organizzato. È il caso di Domenico Cianci, mister preferenze della lista Cambiamo con Toti, in grado di diventare consigliere regionale grazie alla dote di 4.500 voti. È indagato per corruzione elettorale aggravata dall’aver favorito la ‘ndrangheta, la cosca Raso-Gullace-Albanese con ramificazioni in Liguria.

Avrebbe chiesto voti in cambio dell’affidamento di lavori alla ditta riconducibile a Luigi Mamone, poi deceduto nel 2021. Sono almeno sei gli episodi contestati al re dei consensi e uomo forte di Toti, nei quali prometteva appalti, posti di lavoro e favori vari. Dopo le elezioni il successo elettorale di Cianci veniva così commentato da Testa: «Questo ha tirato fuori tanti soldi (...) e poi i calabresi sono molto uniti, più uniti di noi».

I Mamone sono una famiglia che ha molteplici interessi imprenditoriali ritenuta vicina alla potente cosca di ’ndrangheta Raso di Cittanova, in provincia di Reggio Calabria.

Nelle carte si passano in rassegna i precedenti guai giudiziari che hanno colpito i Mamone, i rapporti con la potente cosca dei Gullace, in particolare Carmelo Gullace, presente anche al ricevimento di una congiunta di Luigi Mamone. I rapporti di Mamone erano frequenti anche con Maurici, referente del clan di Riesi a Genova.

© Riproduzione riservata