Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


A parere di questa Corte, per fare chiarezza sulla questione in esame occorre risalire ai pochi punti processualmente certi.

Una ricostruzione ancorata alla datazione come “rettificata” da Brusca, mentre anticipa troppo i tempi della trattativa tra Ciancimino e i carabinieri (e lo stesso giudice di prime cure finisce per ritenerla inattendibile), perviene al risultato di far corrispondere l’inizio dell’iter esecutivo al momento in cui deve in effetti ritenersi - sulla base delle risultanze acquisite nei processi celebrati sulla strage Borsellino e non inquinate dalle false propalazioni di Vincenzo Scarantino - che abbia avuto concreto inizio l’operazione via D’Amelio: e cioè fine giugno primissimi giorni di luglio.

Già Cancemi collocava alla fine di giugno la riunione in casa di Guddo Girolamo in occasione della quale egli ebbe contezza che Riina aveva fretta di eliminare Borsellino [...].

Spatuzza ha reso dichiarazioni che, raccordate con risultanze più certe, consentono di datare ai primi di luglio il furto della Fiat 126 che fu poi tenuta in un garage per essere poi portata nell’officina in cui furono fatti gli ultimi lavori all’impianto dei freni.

Il dato certo è che il 10 luglio venne sporta da Pietrina Valenti formale denuncia di furto dell’auto intestata alla madre (D’Aguanno Maria). La denunciante asseriva che le era stata rubata la notte prima; ma sentita dagli inquirenti e poi al dibattimento del primo processo sulla strage ricordava perfettamente che si era recata a sporgere denuncia la domenica mattina, ma aveva dovuto tornare successivamente perché la caserma era chiusa, essendo domenica.

Sennonché il 10 luglio era un venerdì, e quindi se il furto fosse avvenuto la notte prima, cioè il 9 luglio, non si spiegherebbe il ricordo di essersi recata in caserma a sporgere denuncia la domenica mattina. E tuttavia la donna riferiva anche di essersi rivolta ad un conoscente, Salvatore Candura perché desse voce nel quartiere per farle trovare l’auto. E il Candura confermò la circostanza e ammise di avere convinto la Valenti ad attendere qualche giorno prima di sporgere denuncia (circostanza confermata anche da Valente Luciano, fratello di Pietrina).

È quindi più che probabile che il furto sia avvenuto la settimana prima, e precisamente nella notte tra il 4 luglio — che era sabato — e il 5 luglio; e che la donna recatasi in caserma a porgere la denuncia e, alla richiesta dei carabinieri di tornare in un giorno non festivo, e prima di formalizzare la denuncia, si sia rivolta al Candura perché l’aiutasse a recuperare l’auto; e avrebbe quindi atteso qualche giorno, come lo stesso Candura ha ammesso di averle suggerito, prima di recarsi nuovamente dai carabinieri. D’altra parte, Spatuzza nel rievocare con comprensibile approssimazione a distanza di tanti anni quelle circostanze, conserva il ricordo di alcune complicazione che certamente ritardarono l’espletamento dell’incarico che gli era stato conferito da Giuseppe Graviano tramite Fifetto Cannella.

Il furto della Fiat 126

In sostanza, quando gli fu dato, la mattina del sabato precedente alla strage, l’incarico di rubare le targhe da apporre alla Fiat 126 per consentirne lo spostamento in via D’Amelio, vi provvide lo stesso giorno (con la complicità di Orofino Giuseppe, presso cui era ricoverata per riparazioni l’altra Fiat 126 di proprietà di Sferrazza Anna, da cui vennero asportate le targhe). Invece, per il furto dell’auto passarono alcuni giorni rispetto al momento in cui gli era stato dato l’incarico.

Spatuzza non era un ladro d’auto e allora dovette chiedere l’autorizzazione ad avvalersi di Tutino Vittorio, più esperto di lui in materia. Inoltre, si pose un problema di competenza, perché voleva essere certo di potere effettuare il furto in qualsiasi pane del territorio di Palermo, anche fuori del mandamento di Brancaccio. Si rivolse quindi a Cannella che a sua volta dovette interpellare Giuseppe Graviano. E passò qualche giorno prima di avere la risposta. E solo allora Spatuzza poté concordare con il Tutino il giorno in cui vedersi per andare a rubare un’auto del tipo richiesto.

Deve quindi convenirsi con la conclusione cui sono pervenuti i giudici del Borsellino quater — che peraltro si riportano a risultanze già acquisite nel corso dei precedenti processi sulla strage di via D’Amelio, annotate nelle sentenze versate anche agli atti di questo processo -secondo cui l’incarico di Giuseppe Graviano a Gaspare Spatuzza per rubare una Fiat 126 può senz’altro collocarsi alla fine del mese di giugno 1992.

Anche se alcuni dei preparativi, come il collaudo dei telecomandi effettuato in località Case Ferreri dietro il Sigros di Palermo, di cui ha riferito, per avervi preso parte, il collaboratore di giustizia Giovanbattista Ferrante, furono compiuti molto più a ridosso del 19 luglio (Sabato li luglio, come il Ferrante aveva detto deponendo al Borsellino ter; o, come ha dichiarato in questo processo, una settimana o dieci giorni prima della strage).

E c’è un’altra risultanza che ci viene dalle pagine dei processi celebrati sulla strage di via D’Amelio, e che non è stata scalfita dalle revisioni dei giudicati a seguito delle verità emerse in relazione al depistaggio attuato con le sue false propalazioni dal sedicente pentito Vincenzo Scarantino.

La scelta del luogo e del giorno (la domenica) non lii né casuale né estemporanea, ma dovette essere preceduta da un’accurata attività di pedinamento e di osservazione degli spostamenti abituali del magistrato, che condusse gli assassini a individuare il luogo più propizio in cui piazzare l’autobomba in via D’Amelio, dove era ubicata l’abitazione non della madre del dott. Borsellino, ma della sorella Rita, presso la quale la madre soleva stare, in genere, nei fine settimana: quando appunto il dott. Borsellino si recava in via D’Amelio per fare visita all’anziana madre.

Tale attività preparatoria deve avere richiesto diverse settimane (come in effetti sembrerebbe evincersi dalla pur scarne dichiarazioni rese al riguardo in particolare da Galliano Antonino), come si evince dal passaggio che segue della sentenza nr. 29/97 della Corte d’Assise di Caltanissetta: […]. Il dato dell’abitualità delle visite in via D’Amelio, nei fine settimana, per andare a trovare la madre, a fronte dell’incertezza delle visite a casa dell’altra sorella, che avveniva durante i giorni feriali, ma non con regolarità, conferma che lo studio delle abitudini della vittima e dei suoi spostamenti più abituati deve essersi protratta per diverse settimane.

Ci fu accelerazione?

Ebbene, la sentenza impugnata ha totalmente omesso di confrontarsi con le risultanze sopra richiamate, nello sforzo di dimostrare non solo che vi fu una brusca accelerazione dell’iter esecutivo della strage di via D’Amelio; ma anche che tale accelerazione ivi dovuta a uno specifico evento sopravvenuto dopo la strage di Capaci: un evento nuovo, non previsto e di tal portata da stravolgere il programma criminoso di Riina, e sopravvenuto poco prima del 19 luglio, tanto da indurre Riina a stoppare altri progetti omicidiari già in fase avanzata di esecuzione (come l’attentato a Mannino, di cui ha parlato Brusca, che però nella datazione degli eventi rettificata rispetto alle sue prime dichiarazioni, colloca pur sempre lo stop a giugno) e dare ordine ai suoi uomini di attivarsi per eseguire l’attentato a Borsellino nel girodi pochi giorni.

Lo stesso Riina avrebbe infatti confermato, in alcune delle conversazioni, intercettate a sua insaputa, con il codetenuto Lo Russo, che la strage fu studiata alla giornata, e attuata, nella sua concreta esecuzione — poiché la condanna a morte di Borsellino risaliva invece a diverso tempo prima — nel giro di pochi giorni. […] Ma che la strage Borsellino possa essere stata decisa, organizzata e attuata nel volgere di pochi giorni e a seguito di un evento imprevisto quale la sollecitazione al dialogo pervenuta a Riina proprio in quei giorni, attraverso il canale Ciancimino-Cinà, e proveniente da quelli che lo stesso Riina aveva motivo di credere fossero emissari di organi di governo, o rappresentanti dello Stato appare frutto di una chiara forzatura di tutti i dati disponibili.

L’operazione via D’Amelio ha inizio alla fine di giugno ‘92, nel senso che a quella data è già in itinere, con l’incarico a Spatuzza di rubare la Fiat 126 da utilizzare come autobomba: e ciò significa che era stata già stabilita questa modalità di esecuzione, e, d’altra parte, erano già disponibili sia i telecomandi necessari per comandare l’ordigno a distanza (Biondino aveva provveduto a procurare cinque coppie di telecomandi e Ferrante ne aveva sentito parlare fin da marzo) sia l’esplosivo, che era stata “lavorato” (da Spatuzza) insieme a quello utilizzato per la strage di Capaci.

D’altra parte, volendo prestare fede al racconto di Brusca, nella versione rettificata, lo stop al progetto già in fase avanzata di uccidere Mannino gli sarebbe stato impartito nel mese di giugno (e dobbiamo fare uno sforzo per sorvolare, come s’è visto, sul persistente contrasto con la narrazione di La Barbera e sulla diversa datazione del “fermo” indicata dallo stesso Brusca nelle sue prime dichiarazioni).

E sempre alla fine di giugno lo stesso Cancemi — che neppure il giudice di prime cure si sente tuttavia di poter assumere come riscontro rassicurante all’attendibilità della ricostruzione che si ricaverebbe dal racconto di Brusca — colloca l’episodio della riunione a casa di Guddo in cui Riina avrebbe manifestato, parlandone con il fido Raffaele Ganci, la fretta di procedere all’eliminazione del dott. Borsellino. (E per inciso, se si prestasse fede alle rivelazioni di Cancemi, se ne dovrebbe inferire una traiettoria ricostruttiva degli eventi che condurrebbe molto lontano dall’ipotesi che la fretta di Riina traesse origine dall’essere venuto a conoscenza della “trattativa”, o meglio della proposta di trattativa, perché la lettura che ne offre lo stesso Cancemi è tutt’altra).

Si può comunque affermare che Riina al più tardi nell’ultima decade di giugno abbia dato disco verde all’esecuzione della decisione - già adottata peraltro diversi prima — di uccidere il magistrato che dopo Falcone era il simbolo della Lotta alla mafia e ne aveva preso anche in tale veste il testimone.

La “sollecitazione” del Ros

Ma se così è, il collegamento che si vorrebbe contestare con la sollecitazione al dialogo rivolta dai carabinieri del Ros ai vertici mafiosi per il tramite di Ciancimino, anche prescindere dalle legittime perplessità suscitate dalle ondivaghe datazioni di Giovanni Brusca, non appare compatibile con i tempi di svolgimento dei contatti instaurati, prima dal solo De Donno e poi dal De Donno insieme a Mori, con l’ex sindaco di Palermo.

Non parliamo ovviamente dei tempi descritti dai due ex ufficiali del Ros (e tanto meno della datazione di Ciancimino che sarebbe troppo spostata in avanti, a dire degli stessi ex ufficiali odierni imputati, laddove afferma di avere deciso solo dopo la strage di via D’Amelio di accettare la richiesta del capitano De Donno di incontrarlo; e di avere successivamente incontrato anche il colonnello Mori), che sono molto lontani da uno svolgimento conforme a quello che si vorrebbe — in sentenza — asseverare. Ma non si può nascondere — come si vedrà in proseguo - che la stessa testimonianza della Ferraro non consente di dare per provato che a cavallo del 23 giugno 1992 il capitano De Donno avesse già incontrato Ciancimino, e non fosse piuttosto in procinto di incontrarlo proprio in quei giorni. E tanto meno può inferirsene la prova che vi fosse stato già un primo incontro di Mori con Ciancimino. Parimenti deve dirsi per la testimonianza di Fernanda Contri: la sua impressione che gli incontri di Mori con Ciancimino fossero un’iniziativa in fieri può lasciare il tempo che trova,

come semplice impressione personale. Ma è certo che lo stesso Mori nel fargliene cenno, le fece intendere che si trattasse di un approccio preliminare, senza nulla di definito e men che meno con dei primi risultati concreti.

E quindi, in quell’ultima decade del mese di giugno cui, come s’è visto, risale l’inizio dell’iter esecutivo della strage, l’interlocuzione dei carabinieri con Ciancimino, ammesso che fosse a sua volta iniziata, doveva essere ancora in una fase embrionale, tanto da potersi escludere che i carabinieri avessero già scoperto le carte e detto chiaramente a Ciancimino che volevano che si facesse da tramite con i vertici di Cosa nostra per sondarne la disponibilità ad allacciare un dialogo per far cessare le stragi.

E tanto meno può credersi che Ciancimino avesse avuto già il tempo di informarne prima il Cinà, e attraverso quest’ultimo — che, non va dimenticato, in un primo momento non si prestò a fare da tramite come da lui stesso ammesso, salvo poi ripensarvi (come sostiene Vito Ciancimino, che parla al riguardo di un ritorno di fiamma delle persone a cui si era rivolto e che inizialmente avrebbero irriso alla sua richiesta).

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