Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


Non si può fare a meno di formulare riserve sull’ambiguità del ruolo di questo personaggio (che sarà poi coimputato dei familiari di Vito Ciancimino nel processo per trasferimento fraudolento di valori e intestazione fittizia di beni), in ragione dei suoi legami con lo stesso Mori, e una presunta contiguità ai servizi (su cui si è soffermato nel corso della sua lunga deposizione il Col. Giraudo); nonché per la singolare tempestività della sua comparsa sulla scena, giusto in coincidenza con la vicenda del passaporto che si colloca nella fase in cui la trattativa con Ciancimino avrebbe radicalmente cambiato registro.

Ma anche di là di tali riserve, la sua testimonianza, nel processo Mori/Obinu (il relativo verbale del 30.06.20 10 è transitato perché prodotto dalle difese degli ex ufficiali del Ros e perché atto irripetibile essendo lo stesso Ghiron deceduto nel 2012 e quindi nelle more del giudizio di primo grado), è la meno idonea a offrire elementi di certezza sulla datazione e i tempi di sviluppo della trattativa. […].

Le ambiguità di Ghiron

A motivo delle riserve accennate su tale figura di dichiarante, val rammentare che egli ha palesemente “minimizzato” il suo rapporto di conoscenza con il col. Mori, che indica come “amico” di suo fratello Gianfranco Ghiron. Dice di non sapere nulla delle circostanze in cui sarebbe nata quell’amicizia, ma non manca di precisare che suo fratello gli parlava spesso di Mori. Del resto, di suo fratello si limita a dire che svolgeva l’attività di giornalista.

Dalla testimonianza del Col. Giraudo sembra però emergere una verità diversa, perché Gianfranco Ghiron aveva avuto rapporti con il Sid, anche se mai chiariti nella loro vera natura.

In effetti, a dire del Giraudo, i rapporti di Mori sia con Gianfranco che con Giorgio Ghiron possono essere ricostruiti solo sulla base di dichiarazioni rilasciate in tempi diversi dai diretti interessati. In particolare, le attività svolte dal Gianfranco Ghiron per conto dei Servizi sono rimaste nell’assoluta clandestinità, non essendo consacrate in alcun atto ufficiale o relazione di servizio. Negli archivi dell’Aise sono stati tuttavia rinvenuti diversi documenti che attestano come fosse un soggetto monitorato e persino sospettate di fare il doppio gioco, spacciandosi per agente infiltrato. Anzi, il Col. Giraudo ha precisato che è stata trovata documentazione comprovante che il Ghiron Gianfranco è stato una fonte esterna dei servizi, ma il suo “manipolatore” era il Cap. La Bruna.

E proprio per questa ragione, in quanto era un ufficiale dei carabinieri, non era possibile annotare l’identità della fonte in un documento ufficiale (esistono anche dei precedenti, come la fonte “Gian”), perché avrebbe dovuto essere associato ad una fonte attiva il nominativo di un agente del Servizio che però svolgeva anche compiti di ufficiale di polizia giudiziaria.

Nel caso della fonte “Ghiron” il nome in codice che risulta in documenti agli atti dell’archivio che l’Aise ha ereditato dal disciolto SISMI e prima ancora Sid era “Crocetta”. Non vi sono però atti a firma Mori o Marzolla — suo diretto superiore — concernenti la fonte “Crocetta”. E ciò si spiega agevolmente ove si consideri che i numeRosissimi atti che documentano l’attività svolta dal Ghiron per conto del servizio segreto risale ad epoca diversa e pregressa rispetto a quella in cui Mori ha fatto parte del raggruppamento centri di Cs.

In particolare, è documentalmente provato che dal 1961 il Ghiron lavora come agente o ausiliario dell’Ufficio “R” che si occupava dello spionaggio oltre cortina. Questo rapporto di collaborazione si interrompe perché cominciano a diffondersi negli ambienti del Servizio voci che additano il Ghiron come soggetto poco affidabile e di dubbia lealtà. E viene fatto oggetto di un’azione investigativa culminata in una perquisizione della sua camera d’albergo e del suo bagaglio (operazione ovviamente coperta e annotato con la sigla “Ghi”, dalle lettere iniziali del cognome dell’indagato).

È anche vero che l’Ufficio “R”, rispetto a questa indagine interna, assume un atteggiamento “protettivo” nei confronti della propria fonte. Sta di fatto che a a partire dal 1964, scompare dalla documentazione agli atti del Servizio. Ma negli anni successivi, secondo quanto dallo stesso Ghiron rivelato quando fu escusso a s.i.t., fece diversi tentativi per rientrare tra i ranghi del collaboratori esterni del Servizio, fino a stringere un rapporto personale con il colonnello Mori.

Peraltro, nella documentazione inerente alla gestione della fonte — valutazione, rimborsi spese richieste fondi — da trasmettere all’ufficio amministrativo, difficilmente avrebbe potuto trovarsi un atto firmato dal col. Mori, perché l’input della trasmissione veniva dal capo del raggruppamento Centri di Roma, in cui era inquadrato Mori. E tutt’al più veniva interessato sulla base di una prassi instaurata di fatto da Marzolla, il direttore del Servizio, cioè il generale Miceli.

Nel 1970, il capo centro di Palermo, Magg. Umberto Bonaventura comunica all’Ufficio D da cui dipendevano tutti i centri Cs del Sid che il Ghiron Gianfranco in più occasioni aveva tentato di accreditarsi come fonte del Servizio, comportamento che lo faceva ritenere poco affidabile.

Risulta anche che negli anni ‘70 il Ghiron gestì, insieme ad un agente del servizio americano, delle fonti libiche che svolgevano attività contro informativa e in tale contesto aveva avuto contatti con esponenti della criminalità mafiosa.

E nel 1975 il G.i. di Brescia. dott. Arcai, che indagava sulla strage di p.zza della Loggia, chiese al servizio tutta la documentazione concernente Ghiron Gianfranco. Ma gli fu trasmessa una documentazione largamente incompleta, su input dell’Amm. Casardi che era subentrato al generale Miceli, arrestato nell’ambito delle indagini sul golpe Borghese.

I rapporti personali con Mori

Il rapporto personale con Mario Mori è comprovato, oltre che da varie dichiarazioni testimoniali, anche da un documento da cui risulta che lo stesso Mori fu testimone di nozze del Ghiron (Gianfranco) in occasione del matrimonio con la sua prima moglie.

Quanto a Giorgio Ghiron, negli anni in cui Mori prestò servizio al Sid, svolgeva un’attività di consulenza legale e imprenditoriale con diversi studi, il più importante dei quali aveva sede a New York. Era anche titolare di una società di import-export. E fu oggetto di un’attività info investigativa del Servizio, nel quadro di un’indagine concernente tal Motter (operazione “Marmotta”) ex agente della Cia, perché si accertò che Giorgio Ghiron aveva con questo ex funzionario americano una frequentazione asSidua.

E’ datata 15 settembre 1975 la relazione “GIAN”. E’ una relazione di servizio che compendia le informazioni fornite da una fonte confidenziale di cui poi è stata rivelata l’identità. La relazione è opera del manipolatore di quella fonte. La fonte era un ufficiale dei carabinieri, Giancarlo Servolini. E l’agente Sid che lo “manipolava” era il cap. La Bruna. Sarà proprio quest’ultimo a rivelare il tutto al G.I. Salvini, che indagava tra l’altro sulla strage di p.zza Fontana. L’attività di manipolazione della fonte in questione risalirebbe all’epoca in cui il La Bruna, a capo del Nod, si occupava delle indagini sulle trame nere. In uno dei documenti che riportano informazioni della fonte Gian risulta messo in chiaro il nome della fonte, e si parla proprio del Servolini.

Èstato acquisito anche il fascicolo personale di questo ufficiale dei carabinieri da cui risulta che era in congedo temporaneo per convalescenza nel periodo in cui fu incaricato di svolgere l’attività informativa per conto del Servizio con il nome in codice “Gian”.

Il giornalista Norberto Valentini consegna al G.I. Antonio Lombardi, che indagava sulla strage alla questura di Milano del 17 maggio 1973 una copiosa documentazione che gli era stata fatta avere dal cap. La Bruna. In una delle cartelle che riportano i vari produttori, cioè le fonti d’informazione, è annotata parte della produzione della fonte Gian.

Il gruppo Taddei-Ghiron, operava in sinergia con il gruppo di militari Marzolla-Venturi-Mori. Gianfranco Ghiron viene definito come soggetto poco affidabile e agente prezzolato al soldo dell’Ufficio “R”. Giorgio Ghiron confermerà, in un colloquio databile a maggio 1975 alla fonte Gian quanto già alla stessa fonte era stato rivelato da suo fratello Gianfranco, e cioè che avevano avuto successo le pressioni esercitate sui periti incaricati di verificare la genuinità delle bobine contenenti le registrazioni delle conversazioni intercorse a Lugano tra il cap. La Bruna e Remo Orlandini, e aventi ad oggetto le rivelazioni dell’Orladini sull’attività cospirativa culminata tra l’altro nel tentativo di Golpe Borghese. Nella pag. 2 della relazione si fa esplicito riferimento a Mori e al suo prodigarsi insieme al Ghiron per esercitare quelle pressioni. (cfr. deposizione del Col. Giraudo, udienza 20.10.20 16).

Strane coincidenze

Certo è che l’avv. Ghiron compare sulla scena proprio in coincidenza con la fase di intensificazione dei contatti tra V.C. e il Col. Mori, ossia quando questi si sforza di assecondare le richieste del potenziale collaborante: il libro, da fare avere a eminenti personalità; il passaporto (al processo Mori-Obinu ha ammesso di essere stato lui a redigere la richiesta di rilascio del passaporto, oltre ad accompagnare personalmente il Ciancimino all’ufficio passaporti, in Questura, perché Ciancimino camminava male); un colloquio riservato con l’on. Violante. E con tutto il rispetto per la competenza professionale, è lecito il dubbio che questa improvvisa comparsa non fosse determinata dalla necessità di sostituire il prof. Campo o l’avv. Gaito nel mandato a difendere V.C. nel procedimento che pendeva a suo carico in appello (a Palermo, e non a Roma). Tanto più che l’avv. Ghiron era soprattutto un avvocato d’affari (svolgendo l’attività di consulente legale e imprenditoriale, ed essendo anche titolare di una società di export-import), o comunque, per restare in ambito forense, era di formazione civilistica, come rammenta Nicolò Amato.

Del resto, lo stesso Ghiron ha chiarito al processo Mori/Obinu, udienza 30giugno 2010 il tipo di assistenza professionale nei riguardi di V.C., che fa risalire addirittura al 1980 e che si sarebbe protratta fino al 2002, anno della morte del Ciancimino.

Lo assisteva anche per procedimenti penali ma solo a Roma, perché a Palermo aveva difensori di vaglia del calibro dell’avv. Restivo e delI’avv. Campo. Erano loro i suoi difensori anche nel processo d’appello a Palermo, che però anche lui seguiva da Roma, consultandosi con i colleghi. Il suo apporto atteneva alle sue competenze di avvocato internazionalista, effettivamente più confacente alle sue competenze; ma anche per i procedimenti penali Vito Ciancimino a Roma non aveva altri difensori.

Giorgio Ghiron, divenuto l’avv. di fiducia anche di Massimo Ciancimino ne condivise la vicissitudine giudiziaria sfociata nella condanna in primo e secondo grado per riciclaggio e intestazione fittizia di beni. Erano suoi coimputati Massimo Ciancimino e l’avv. Gianni Lapis tributarista, anche loro condannati. Al processo Mori/Obinu venne sentito nella veste di teste assistito perché la condanna non era ancora definitiva, pendendo il giudizio in cassazione.

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