Questa è la storia di due persone che è quasi incredibile facciano lo stesso lavoro. La ministra della Transizione ecologica spagnola Teresa Ribera si occupa di cambiamenti climatici da decenni, frequenta le Cop da Durban nel 2011, parla tre lingue, alla Cop28 di Dubai sta guidando la delegazione europea ben oltre il suo mandato (la Spagna ha la presidenza di turno del Consiglio europeo), conosce i dossier nel dettaglio ed è tra le voci più forti per un’uscita dai combustibili fossili.

Il ministro dell’ambiente italiano Gilberto Pichetto Fratin fa il commercialista, ha scoperto quasi per sbaglio il suo incarico nel momento della formazione del governo, non si era mai occupato di clima, non conosce nessuna lingua a parte l’italiano, legge solo testi scritti dai suoi tecnici, nei bilaterali deve farsi aiutare dall’interprete e nelle consultazioni informali è completamente fuori gioco. Al finale di Cop27 non era nemmeno venuto, qui si aggira con l’aria di chi prova ancora a capire cosa abbia intorno di preciso.

Ore complicate

Sono ore delicate alla Cop28 di Dubai, è cominciata la parte politica del negoziato su cui si gioca il futuro dell’umanità. Non ci sono capi di governo, ma è un momento in cui il ruolo, la competenza, il peso dei singoli ministri dell’ambiente è decisivo. Da calendario si chiude domani, ma i delegati hanno iniziato a spostare i voli, perché si andrà probabilmente ai tempi supplementari per arrivare a un compromesso sul tema chiave: l’uscita dai combustibili fossili. I paesi che fanno opposizione sono guidati da Russia e Arabia Saudita, mentre le economie del sud globale chiedono un aumento delle risorse finanziarie. Ribera ha costruito un’alleanza con le piccole isole del Pacifico che ha catalizzato il consenso di oltre ottanta paesi sugli obiettivi più ambiziosi.
Il presidente al Jaber ha fatto affidamento alla cultura tradizionale araba per sbloccare lo stallo e ha convocato tutti i ministri secondo la formula dell’assemblea tradizionale majlis, che significa testualmente salotto, una tavola rotonda aperta e informale in cui spiegare le proprie posizioni e ascoltare quelle degli altri. L’esito è imprevedibile, ma ancora aperto, non è il momento di credere alla retorica della «Cop migliore di sempre» di al Jaber ma nemmeno ai profeti del fallimento annunciato. Rimane un fatto: non si era mai parlato tanto di abbandono di petrolio e gas quanto in questa Cop organizzata nel paese del petrolio e del gas. «Sono otto anni che frequento i negoziati sul clima, e non avevo mai sentito che fossimo così vicini alle questioni che contano, parlando in modo così diretto di combustibili fossili», ha detto Catherine Abreu di Climate Action Network.

La debolezza italiana

È la prova che questo processo Onu sul clima ha bisogno di innovazione nei meccanismi di voto e assegnazione, come sostengono in tanti, ma ha ancora un valore. I risultati del salotto informale convocato da al Jaber si conosceranno nella mattina di oggi, quando arriverà una prima bozza vera dell’accordo finale. Gli ultimi giorni però sono stati una mappa utile per capire come il negoziato sul clima stia ridefinendo i rapporti tra i forza e prestigio tra i paesi. Ed è una mappa da cui l’Italia esce malissimo. Siamo fuori da ogni tavolo. Quando il negoziato è sembrato sul punto di rompersi, Ribera ha fatto rete con le ministre di Francia e Germania e col ministro irlandese per rilanciare gli obiettivi.

Se il phase-out si farà, questa mossa sarà un passaggio chiave. Al Jaber aveva affidato a una squadra di ministri di alto livello la guida dei negoziati sui temi: tra loro ci sono l’egiziana Yasmine Fouad (dossier finanza climatica) e la cilena Maisa Rojas (adattamento). Sono entrambe scienziate dell’Ipcc, il massimo organismo scientifico delle Nazioni unite. Persone che sanno quello su cui negozia: è questo il livello di competenza che paesi europei e non mettono in campo alla Cop28, un confronto da cui usciamo molto male. La riunione convocata da al Jaber è un momento decisivo, ma Pichetto Fratin è arrivato solo verso la fine, ha fatto le sue veci la vice-ministra Vannia Gava, che come titolo di studio ha il diploma di maturità ma almeno parla l'inglese. Non ha rafforzato la delegazione italiana il fatto che il nuovo inviato del clima fosse Francesco Corvaro, docente di fisica tecnica industriale all’università delle Marche.

Corvaro ha avuto questo incarico pur essendo a digiuno diplomazia climatica (o di qualsiasi tipo di diplomazia), a differenza del predecessore Alessandro Modiano (nominato dal governo Draghi). Questo incarico ne farebbe l’interfaccia diplomatica del paese alle Cop, un po’ come John Kerry per gli Usa o l’ex capa di Greenpeace Jennifer Morgan per la Germania. In realtà il suo ruolo è più da ufficiale di collegamento tra i voleri del governo e il lavoro a Cop28, un modo di controllare che non si sgarri dalla linea e non si facciano passi avanti.

Ovviamente non è mai stato a una conferenza sul clima e anche lui si aggirava curioso del contesto. L’uomo di Meloni per il clima aveva però una seguita pagina YouTube di consigli sulle griglie e i barbecue, ha cancellato tutto al momento dell’incarico (qualche traccia sul web rimane). Per il futuro dell’umanità tutto questo è irrilevante, per la reputazione del nostro paese un po’ meno.

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