Non c’è modo di comprendere la partecipazione dell’Italia alla Cop28 che si avvia verso il finale a Dubai senza guardarla attraverso la lente delle relazioni tra Eni e Adnoc, l’azienda petrolifera di stato emiratina.
L’inevitabile link è la figura di Sultan al Jaber, nel suo doppio ruolo di amministratore delegato di Adnoc e di contestatissimo presidente della Cop28. Eni è infatti la prima partner internazionale di Adnoc.

L’azienda oil&gas italiana guidata da Claudio Descalzi è di casa a Dubai, e non casualmente ha inviato a Cop28 una squadra di 14 persone, senza contare quelle correlate (come i rappresentanti della Fondazione Enrico Mattei). C’è una linea che collega gli 1,8 miliardi di barili di idrocarburi di riserve lorde che Eni ha negli Emirati e l’appoggio incondizionato di Giorgia Meloni a Sultan al Jaber, di cui ha sposato la visione politica, le posizioni e anche il lessico, tutto a base di realismo e pragmatismo.

La lettera dell’Opec

Un esempio ce lo offre la cronaca di Cop28. Ieri la notizia del giorno è stata la lettera, tra l’aggressivo e il disperato, che Opec (organizzazione dei paesi produttori di petrolio) ha inviato ai suoi membri (tra cui gli Emirati) per opporsi con ogni mezzo a qualsiasi accordo sul phase-out delle fonti fossili. È stato l’ennesimo imbarazzo causato dal conflitto di interessi su cui si regge questa conferenza sui cambiamenti climatici.

Ci sono state reazioni feroci alla notizia (data da Reuters). John Silk, il ministro delle Risorse naturali delle Isole Marshall, ha testualmente detto: «Noi non ce ne andremo nella tomba in silenzio». La ministra della Transizione ecologica spagnola, Teresa Ribera, ha usato parole altrettanto nette a difesa della posizione europea (che prevede il phase-out, come da accordi presi a ottobre in Consiglio Europeo): «È un gesto disgustoso». Anche i francesi hanno reagito male: «È sconvolgente, siamo molto arrabbiati». E il ministro dell’ambiente italiano Gilberto Pichetto Fratin? Solo lui tra gli europei ha avuto parole di grande comprensione per l’organizzazione di cui fanno parte anche gli amici emiratini. In diretta a Sky Tg24 da Dubai, Pichetto Fratin ha detto: «Sarebbero stupidi se non facessero i loro interessi».

Emiri

La linea italiana

Il paradosso è che Pichetto Fratin ha fatto questa professione di pragmatismo in contemporanea alla pubblicazione di una serie di dati sul fatto che una delle prime aree del mondo a diventare inabitabili in caso di aggravarsi della crisi climatica sarebbero proprio quelle del Golfo Persico.

Secondo i dati della Ong Lingo le emissioni dei progetti di estrazione di petrolio e gas nei paesi membri Opec del Golfo causeranno più di 43 milioni di morti premature nella regione entro la fine del secolo, accompagnate da un collasso del Pil.

Dal suo primo giorno, l’Italia però ha scelto di seguire una strada completamente diversa: scostata dalla linea europea e vicina agli interessi di Sultan al Jaber. Perché gli interessi di al Jaber e di Adnoc sono gli interessi della sua partner industriale Eni, e gli interessi di Eni in Italia difficilmente si discostano da quelli del governo.
Non si tratta di sicurezza energetica: l’Italia si rifornisce di gas liquefatto dal Qatar, ma non dagli Emirati, dove Eni ha solo interessi estrattivi ed economici. Gli idrocarburi emiratini non vengono venduti in Italia, ma soprattutto in Asia meridionale, in estremo oriente e in Africa.

L’asse con Dubai

I rapporti tra Adnoc ed Eni si sono intensificati proprio in vista di Cop28, a dimostrazione dell’intreccio micidiale di trivelle e politica che c’è sull’asse Italia-Dubai per la conferenza del clima. A marzo di quest’anno, a Cop28 già assegnata e ormai in fase di organizzazione, le due aziende hanno firmato un nuovo accordo strategico per rafforzare il loro legame. Eni ha partecipazione del 20 per cento dentro Adnoc Refining e di un altro 20 per cento in Adnoc Global Trading. Tutto era stato accompagnato da una stretta di mano tra Meloni e il presidente degli Emirati Sheikh Mohamed bin Zayed Al Nahyan. Al centro dei protocolli di intesa c’era, tra gli altri punti, lo sviluppo congiunto dei sistemi di cattura e stoccaggio della CO2. Quest’ultima non a caso è la tecnologia che Sultan al Jaber sta provando in ogni modo a inserire nell’accordo finale di Cop28.

Se l’esito finale comprendesse la parola «unabated» accanto al phasing out delle fonti fossili, sarebbe un gigantesco assegno staccato a favore dei progetti di sviluppo di una tecnologia in cui Eni crede parecchio (a partire dall’impianto di Ravenna), ma che non ha mai funzionato su scala: solo lo 0,12 per cento delle emissioni vengono contenute così, nonostante 6,5 miliardi di dollari di ricerca all’anno. Eni è anche tra i membri del Global Ccs Institute di Dubai, un grande centro studi emiratino sulla cattura e stoccaggio della CO2.
Tra gli interessi congiunti c’è anche lo sviluppo dell’idrogeno, di cui l’Europa ha grande fame e che gli Emirati sono interessati a vendere, chiaramente nella versione blu, cioè quella prodotta combinando l’estrazione di gas e la cattura e stoccaggio della CO2 (a differenza di quello verde, l’unico pulito perché prodotto da fonti rinnovabili).

Il legame tra Eni e Adnoc è strategico per entrambe. Eni stringe rapporti con una delle aziende petrolifere più tecnologicamente avanzate al mondo: Adnoc e Saudi Aramco non sono solo tra le più grandi aziende oil and gas statali al mondo, ma vengono anche considerate le più resilienti alla transizione, mentre quelle africane, con cui Eni ha rapporti storici, hanno meno risorse, hanno investito meno in sviluppo e quindi hanno meno futuro davanti: saranno le prime a essere spazzate via dalla transizione.

Per Adnoc, Eni è invece un portale verso nuovi territori e nuovi mercati, in particolare quelli africani. È nell’ancora fumoso Piano Mattei di Giorgia Meloni per l’Africa che va letto il legame tra Italia ed Emirati: il disegno a cui lavora da anni Eni è fare del nostro paese un hub geo-strategico del gas tra Africa, Golfo Persico ed Europa.

Le vittime

C’è una vittima collaterale dei rapporti di ferro tra Eni e Adnoc e sono i più improbabili protagonisti di questa storia: i dugonghi. Ieri a Cop28 era la giornata della natura, ma gli organizzatori hanno fatto passare sotto silenzio il fatto che al largo degli Emirati c’è la seconda popolazione di dugonghi più grande al mondo, sono un orgoglio nazionale e veicolo di turismo, ma sono anche in pericolo a causa dell’espansione delle estrazione di gas.
Una parte dei dugonghi degli Emirati ha la sfortuna di avere il proprio areale nella zona di uno dei principali progetti di estrazione di gas di Adnoc, la riserva di Ghasha, di cui Eni detiene il 25 per cento di una concessione quarantennale.

Ghasha si sviluppa per metà nella riserva di Marawah, un paradiso naturale che è anche protetto dall’Unesco. Nel 2019 Eni si era impegnata a non trivellare più dentro siti Unesco, a Marawah se la cavano con una scappatoia: non è un sito patrimonio dell’Unesco, è «solo» una riserva della biosfera Unesco.
Peccato per i dugonghi e i coralli, che qui sono tra i più preziosi al mondo, perché tra i pochi attrezzati biologicamente a sopravvivere anche in acque così calde. A Ghasha già si estrae gas da anni, in una delle versioni più tossiche per gli ecosistemi, il sour gas, il gas acido.
Una parte importante della maxi espansione fossile progettata da Adnoc (fino a cinque milioni di barili al giorno entro il 2027) è proprio dentro Ghasha, nel giacimento dei dugonghi. A Ghasha si produrranno più di 120mila barili di petrolio al giorno: è anche il più grande piano di sviluppo di gas acido al mondo. Adnoc ha annunciato ma non ha mai diffuso nei dettagli la valutazione di impatto ambientale sulla biodiversità di Ghasha.
A una richiesta di chiarimenti, Eni ha risposto «Premesso che Eni opera sempre nel pieno rispetto delle normative internazionali stabilite nei diversi ambiti regolatori competenti, nella fattispecie la governance della joint venture che gestisce il progetto delega la comunicazione all’Operatore, Andoc.

Invitiamo pertanto a contattare alla struttura competente di Adnoc che le fornirà le informazioni richieste». Un’interessante strategia: per i dugonghi chiedete al petrostato.

© Riproduzione riservata