La transizione ecologica di Pechino

Cina e clima, soia e olio di palma pesano sul futuro delle foreste

Imaginechina via AP Images
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  • Della salvaguardia delle foreste che la Cina ha fatto registrare alcuni tra i suoi progressi più notevoli. Nel novembre scorso, durante la conferenza Cop26, la Repubblica popolare cinese (che con 220 milioni di ettari è il quinto paese al mondo per superficie coperta da boschi) ha firmato con altri 140 paesi gli impegni di Glasgow. 
  • La Cina ha intrapreso massicce campagne di rimboschimento nel tentativo di limitare le emissioni di anidride carbonica, delle quali, con oltre il 25 per cento di quelle complessive, detiene il triste primato mondiale.
  • Ma è anche il principale importatore di materie prime la cui coltura intensiva comporta deforestazione. Il 60 per cento dei semi di soia prodotti nel mondo finisce in Cina, così come il 13 per cento dell’olio di palma e il 15 per cento della polpa di cellulosa (per produrre carta). Se Pechino rispettasse i princìpi di Glasgow, l’intero pianeta potrebbe respirare un po’ meglio.

Il fiume Azzurro, utilizzato da secoli per l’irrigazione dei campi e come via di trasporto per merci ed esseri umani, nell’estate del 1998 si trasformò in un mare in tempesta che travolse città e villaggi nelle province dello Hubei, del Jianxi e dello Hunan. Morirono più di tremila persone e in 15 milioni rimasero senza un tetto. Secondo l’ufficio delle Nazioni unite per gli affari umanitari (Ocha), oltre che dal passaggio dei cicloni El Niño e La Niña, quel disastro fu causato «dalla defores

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