Non c’è mai stata tanta attenzione come in questi mesi nei confronti dei temi ambientali, tra la Cop26 di Glasgow e il G20 a presidenza italiana, senza dimenticare la spinta di Next generation Eu con le ingenti risorse dedicate alla decarbonizzazione e la scelta di Mario Draghi di istituire un nuovo ministero della Transizione ecologica.

Per questo diventa interessante guardare alla legge di bilancio, che comincia in questi giorni il suo percorso parlamentare, per capire se ci troviamo davvero di fronte a una svolta nelle politiche di investimento. La novità forse più significativa è l’istituzione del fondo italiano per il clima, a coprire un ritardo rispetto agli impegni presi con l’accordo di Parigi di voler contribuire al fondo da 100 miliardi di dollari per i paesi più poveri.

Negli scorsi giorni il ministro Roberto Cingolani ha rivendicato che le risorse saranno triplicate con 840 milioni di euro l’anno fino al 2026. È vero, ma per ora siamo lontani dagli impegni presi, che sono pari a circa 3 miliardi di euro tra intervento pubblico e investimenti privati spinti da Sace, Cdp e nell’ambito della cooperazione internazionale. La cifra non è affatto alta, se si considera che intorno agli interventi di mitigazione e adattamento del clima si incrociano politica estera e industriale.

Germania, Francia e Gran Bretagna lo hanno capito da tempo e considerano questi investimenti strategici per il ritorno che garantiscono nelle aree geopolitiche di interesse e per il supporto agli investimenti del proprio sistema di imprese. In questo momento l’assenza di una visione di questo tipo da parte del nostro paese per la Tunisia, l’area del Sahel, il Libano appare più grave persino dei soldi che mancano.

L’elefante nella stanza

Una seconda novità importante della legge di bilancio è la creazione di un fondo per il sostegno alla transizione industriale, con una dotazione di 150 milioni di euro all’anno, per accompagnare gli investimenti delle imprese. Peccato che a leggere l’elenco degli interventi finanziabili viene in mente l’espressione inglese dell’elefante nella stanza.

Potranno infatti candidarsi anche i progetti di cattura, sequestro e riutilizzo della CO2 che, oltre a essere costosissimi, sono ancora a uno stadio sperimentale. Se il governo vuole finanziare questi investimenti di Eni, peraltro di dubbia utilità, si trovi almeno il modo di salvaguardare quelli delle imprese che la transizione vogliono farla davvero e ora.

C’è ancora un rinvio per il taglio dei sussidi alle fonti fossili, mente Draghi e Daniele Franco sono stati di parola riducendo drasticamente i bonus a pioggia esplosi con la pandemia. Andrebbe però aperta una riflessione rispetto ai diversi ecobonus introdotti in questi anni per spingere interventi e tecnologie altrimenti troppo costosi, con l’obiettivo di accompagnare l’innovazione delle imprese.

Ci sono stati errori, ma vanno presentate analisi dei risultati per spiegare in cosa non hanno funzionato e in quale modo diverso si vuole spingere la transizione ecologica nei diversi settori. Anche perché nel testo sopravvivono incentivi inspiegabili, come quelli per l’acquisto di elettrodomestici delle classi di efficienza più basse, la E e la F, o per caldaie a gas fossile mentre vengono tolti per il solare fotovoltaico.

Perdersi tra i rivoli

Dobbiamo augurarci che le audizioni e il confronto in Senato consentano di aprire un confronto su come il nostro paese aiuta le famiglie più povere a cogliere le opportunità che si aprono di riduzione della spesa energetica. Oggi questi investimenti trovano difficoltà ad essere finanziati da parte delle banche e gli stessi problemi stanno incontrando le comunità energetiche, malgrado i rientri economici positivi, in assenza di una garanzia da parte dello stato sui prestiti.

Si dovrebbe prendere spunto dagli altri paesi europei, dove le famiglie sono aiutate nell’accesso al credito con fondi rotativi che consentono di dare continuità agli interventi green.

Infine, il capitolo infrastrutture ricchissimo come per il Pnrr, con risorse per alta velocità, manutenzione strade, costruzione dell’autostrada cispadana e di metropolitane. Quello che continua a mancare è il disegno complessivo di cambiamento che si andrà a realizzare attraverso questi investimenti, ossia come riusciranno a garantire un servizio migliore laddove più gravi sono i problemi. Che poi è la sfida che ha di fronte il nostro paese in tutti i settori nei quali si interverrà nei prossimi anni grazie alle risorse europee per evitare che si disperdano tra mille rivoli.

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