Le immagini dell'irruzione dei rappresentanti dei popoli indigeni sono state le prime in arrivo da Belém a bucare l'indifferenza globale, ricordando che in Brasile sta accadendo qualcosa di importante per il futuro dell'umanità. La parata di barche sul fiume Guamà, con attivisti, movimenti dei lavoratori, organizzazioni ambientaliste, reduci dalla Global Sumud Flotilla e figure politiche
Belém – Le immagini dell’irruzione dei rappresentanti dei popoli indigeni sono state le prime in arrivo dalla Cop30 a bucare l’indifferenza globale e fare il giro del mondo, ricordando che in Brasile sta accadendo qualcosa di importante per il futuro dell’umanità.
Una delle premesse politiche della conferenza sul clima di Belém era che solo nel confronto e anche nel conflitto con le richieste della società civile, il negoziato multilaterale avrebbe potuto ritrovare la rilevanza persa negli anni delle Cop organizzate in paesi non democratici come Egitto, Emirati e Azerbaijan.
La protesta indigena
Nella sera brasiliana di martedì 11 novembre un gruppo di rappresentanti della Cúpula dos Povos, il controvertice organizzato nella città dell'Amazzonia per mettere pressione alla Cop30, ha scelto il modo più brutale: sfondare con la forza i cancelli e i metal detector della conferenza, arrivando allo scontro fisico con la polizia delle Nazioni Unite, usando i propri corpi, alcuni addirittura con archi e frecce a tracolla.
In quel momento hanno attraversato una soglia politicamente inviolabile: durante le Cop nella sede dell’evento non può entrare nemmeno la polizia del paese ospitante, la sovranità di quel luogo è dell’Onu e può entrare solo chi ha un accredito ufficiale. Queste regole cerimoniali in vigore da trent’anni sono all’improvviso saltate. I tafferugli sono durati pochi minuti, dopo i quali è tornato tutto alla normalità, ma hanno offerto immagini di una potenza simbolica impossibile da ignorare, a prescindere dalle opinioni con cui le si guarda.
Le rivendicazioni dei popoli indigeni e dei movimenti ambientalisti latino americani partono dallo stop alle esplorazioni petrolifere in Amazzonia avviate dal governo Lula, ma nel gruppo di manifestanti c’erano anche diverse bandiere della Palestina. Gaza sta entrando nel discorso sull’azione per il clima in diversi modi: la più diretta è la richiesta di cacciare Israele dal negoziato climatico. La più simbolica invece è lo strumento della flotilla di attivisti ispirata a quelle che hanno provato a rompere l’assedio della Striscia.
La flotilla per il clima
I popoli indigeni ne hanno organizzata una che ha percorso l’America Latina per settimane e per 3mila chilometri, prima di arrivare a Belém per l’inizio del controvertice, che parte ufficialmente oggi nell’Università della città. L’antipasto offerto dall’irruzione renderà più teso anche il grande corteo previsto per sabato.
Mercoledì 12 invece c’è stata la parata di barche della flotilla sul fiume Guamà, con imbarcazioni grandi, medie, piccole, che hanno messo insieme attivisti indigeni, movimenti dei lavoratori e dei contadini, organizzazioni ambientaliste europee, reduci dalla Global Sumud Flotilla e anche figure politiche di primo piano, come Susana Muhamad, che è stata a lungo ministra dell’ambiente del governo socialista di Gustavo Petro, uno dei più attivi nel negoziato brasiliano.
Muhamad era a bordo della flotilla per portare avanti una richiesta per la quale si è battuta a lungo da ministra: trasformare il bacino Amazzonico nella prima zona di non proliferazione al mondo dei combustibili fossili. La Colombia prova dal 2023 a coinvolgere i governi sudamericani intorno a questa richiesta di farne un santuario, ma non è riuscita a trovare nessuna sponda, a causa del gioco delle rivalità regionali e degli interessi fossili da cui nessuno è escluso.
L’impegno per l’Amazzonia
«Anche paesi come la Bolivia, che non hanno petrolio, si sono opposti, dicendoci: metti che poi un giorno il petrolio lo troviamo, come facciamo?», ha raccontato a Domani Muhamad. L’ex ministra conosce bene le dinamiche delle Cop, perché ne ha guidata una, la Cop16 sulla biodiversità che si era tenuta a fine 2024 a Cali e che aveva poi avuto una coda nella sede della Fao a Roma a febbraio del 2025.
Muhamad ha l’autorevolezza per dire che lo sfondamento degli attivisti è da accogliere come una buona notizia: «È l’unico tipo di azione che può smuovere le acque di un negoziato che altrimenti rischia di essere dichiarato un successo pur portando a casa solo risultati minimali, come il fondo Tfff a favore dell’Amazzonia o una fumosa roadmap per mobilitare la finanza privata».
Secondo Muhamad la proposta di far partire il phase-out dei combustibili fossili proprio dall’Amazzonia potrebbe avere il potere di dare concretezza al pezzo di transizione energetica che l'umanità non riesce ancora a fare. Anche i dati del 2025 ci dicono che l’energia pulita sta crescendo, ma si sta sommando a quella fossile senza riuscire a sostituirla. «L’intera umanità si sta comportando come un tossicodipendente che non riesce a smettere».
La proposta di fare dell’Amazzonia un santuario contro il fossile è arrivata anche sul tavolo di Lula. Il presidente brasiliano però continua a condurre un negoziato di straordinaria ambiguità, dalla parte dei combustibili fossili quando devono contribuire alla sua economia, contro quando è sulla scena globale. L’irruzione degli attivisti nella Cop30 ha avuto esattamente la funzione che deve avere la società civile nelle democrazie: mettere il potere di fronte alle sue contraddizioni.
© Riproduzione riservata


