Alla COP28 mancava l'ombra di Putin negli Emirati per aggravare il nervosismo esausto che si respira da giorni. C'è una domanda che sta agitando i negoziati sul clima di Dubai ed è una domanda insolita, per questi contesti: ma quindi dove ci vediamo l'anno prossimo? La risposta dipende, almeno in parte, proprio da Putin.

È una questione non solo logistica, ma anche politica, che intreccia il lacerante dibattito sulle fonti fossili alle conseguenze della guerra in Ucraina. Al momento la COP29 del 2024 non ha ancora una sede, non si era mai arrivati così lunghi alla decisione sulla successiva edizione.

Il meccanismo della rotazione tra aree è abbastanza ben oliato, la scelta della sede era una delle poche cose su cui nei vertici per il clima non si litigava. La decisione viene di solito presa con un paio d'anni in anticipo, infatti sappiamo dove si farà quella del 2025 (a Belém, in Brasile) ma non quella del 2024.

È una storia complicata, che mostra bene le fratture che ci sono nei negoziati e quanto sarà difficile arrivare a una decisione concordata su temi più importanti, come il futuro delle fonti fossili. Inoltre c'è una possibilità che l'esito dello stallo causato da Putin sia il più paradossale di tutti: il contestato Sultan al Jaber potrebbe essere confermato presidente della COP per un altro anno. Non farebbe bene all'umore di molte persone, né alla credibilità dell'ONU.

L’Est Europa

Un passo indietro: per il meccanismo della rotazione tra le aree, COP29 si dovrebbe tenere in Europa orientale. Di solito funziona così: un paese si candida, si decide per consenso e solo gli altri della zona hanno diritto di veto. Il problema è che, per le classificazioni Onu, in quel gruppo di paesi di area Europa orientale che possono mettere il veto c'è la Russia. E Putin difficilmente si lascia scappare un'occasione di sabotaggio. Si era candidata la Bulgaria, per mesi si è dato per scontato che COP29 sarebbe stata a Sofia. Poi è arrivato il veto di Putin.

Ragione ufficiale presentata all'agenzia Onu sul clima: «Nessun paese Ue sarebbe imparziale nei confronti della Russia». Un'interpretazione più credibile l'ha data il ministro dell'ambiente della Bulgaria: «È una rappresaglia per le posizioni sulla guerra in Ucraina». Questo giochetto di Putin ha mandato in crisi il processo decisionale dell'Onu, che già di solito non brilla per flessibilità. A Politico Tom Evans, del think tank E3G, l'ha messa così: «La Russia sta tenendo i negoziati sul clima in ostaggio».

Nello stesso gruppo regionale ci sarebbe l'Azerbaijan, altro paese produttore di idrocarburi: hanno fatto una manifestazione di interesse all'Onu e avrebbero la capacità logistica per ospitare un evento di queste dimensioni. Problema: il veto dell'Armenia, che ha le sue ragioni, visto che è in guerra con Azerbaijan per l'enclave del Nagorno-Karabakh.

Ed eccoci qui. Senza accordo, la COP29 è senza casa. Si sta negoziando anche su questo, un problema in più per un vertice già tormentato dai conflitti: la guerra a Gaza è entrata anche nei radar della conferenza sul clima, la delegazione iraniana ha abbandonato il padiglione e l'evento in segno di protesta contro Israele e le parole del presidente Herzog. A rendere tutto ancora più elettrico: a Dubai sta arrivando Putin in persona. Non per la COP28, ma sicuramente la coincidenza non deve essere stata estranea alla sua decisione di arrivare negli Emirati proprio in questi giorni. Il suo portavoce Peskov ha smentito un suo passaggio al vertice sul clima (manca da Parigi 2015), la sua agenda non è nota, andrà in Arabia Saudita ed Emirati anche per parlare di petrolio, sicuramente non è una mossa distensiva.

La prossima sede dovrà essere decisa prima della fine di COP28. Si è parlato di anticipare il viaggio in Brasile, ma, secondo fonti della delegazione brasiliana, Belém avrà già problemi a mettere in piedi la logistica in due anni, impossibile che ce la faccia in uno solo. L'Australia si è fatta avanti, ma non sembra avere molte chance. E quindi c'è la soluzione di default: se non si trova una sede, il regolamento prevede che si faccia tutto a Bonn, in Germania, dove c'è la sede di UNFCCC, l'agenzia Onu che regola il processo.

Il problema è che lo stesso regolamento prevede un’altra cosa: Bonn sarebbe quartier generale logistico, ma rimarrebbe in carica il presidente dell'ultima COP, quindi proprio lui, Sultan al Jaber.

Due anni di fila in carica per il più contestato e polarizzante dei presidenti di una conferenza sul clima potrebbero essere davvero troppo destabilizzanti per un sistema negoziale che non è mai stato così in sofferenza.

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