Il decennio fino al 2020 è stato senza dubbio il più caldo mai registrato, con una temperatura media globale di 1,1 gradi Celsius più elevata rispetto all’èra preindustriale (1850-1900). Lo ha affermato l’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm) nel suo ultimo rapporto. Il caldo ha fuso i ghiacciai e le calotte glaciali a livelli record, mentre i mari si sono innalzati a un tasso medio di 4,5 millimetri all’anno. Recentemente l’Omm ha avvertito che il 2023 sarà l’anno più caldo mai registrato, superando il 2016 e il 2020.

Secondo i dati rilevati con certezza e accuratezza fino alla fine di ottobre, quest’anno è stato di 1,4°C più caldo rispetto ai livelli preindustriali. Si tratta di un valore vicino in modo preoccupante alla soglia di 1,5°C per il riscaldamento prevista dall’accordo di Parigi del 2015, anche se tale limite viene misurato su decenni e non sul singolo anno. In ogni caso, secondo gli attuali piani di riduzione delle emissioni, la Terra è sulla buona strada per un riscaldamento “disastroso” compreso tra 2,5°C e 2,9°C entro il 2100, ha affermato il mese scorso il Programma delle Nazioni unite per l’ambiente (Unep).

Gli scienziati sostengono che i dati delle temperature del passato provenienti dal rilevamento attraverso vari sistemi – dagli anelli degli alberi alle carote di ghiaccio raccolte nelle aree polari – suggeriscono che le temperature osservate quest’anno potrebbero essere le più calde da oltre 100mila anni in qui.
Le emissioni di anidride carbonica che riscaldano il pianeta sono aumentate, solo lo scorso anno, dell’1,1 per cento, hanno fatto sapere gli scienziati climatici coinvolti nel Global Carbon Project. Secondo il rapporto Emissions Gap dell’Unep, la CO2 derivante dalla combustione di combustibili fossili contribuisce a circa due terzi di tutte le emissioni di gas serra.

I dati

Gli Stati Uniti e la Cina insieme hanno prodotto il 41 per cento delle emissioni di gas serra nel 2021. Guardando indietro, gli Stati Uniti sono stati responsabili del 19 per cento del riscaldamento globale tra il 1850 e il 2021 – pur avendo solo il 4 per cento della popolazione mondiale – seguiti dal 12 per cento della Cina e dal 10 per cento dell’Unione europea. Secondo il Global Carbon Project, quest’anno la Cina dovrebbe aumentare le emissioni di CO2 del 4 per cento.

L’aumento delle emissioni dell’India dell’8 per cento significa che ora ha superato l’Unione europea come terzo più grande inquinatore di combustibili fossili. E le prospettive non sono per nulla ottimistiche. Mentre 775 milioni di persone sono ancora prive di elettricità – secondo il Gruppo intergovernativo delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (Ipcc) – il 10 per cento più ricco del mondo emette fino al 45 per cento di tutti i gas serra consumati dalle famiglie. Quella che sembrerebbe una buona notizia è il fatto che, quando venne siglato l’accordo di Parigi nel 2015, si prevedeva che le emissioni di gas serra sarebbero aumentate del 16 per cento entro il 2030, mentre invece, grazie agli sforzi di riduzione delle emissioni portati avanti da alcuni paesi, si prevede che ora aumenteranno solo del 3 per cento.

Tuttavia, oggi ciò non risulta sufficiente per ottenere gli obiettivi preposti in quanto, stando all’Ipcc, i gas serra devono essere tagliati del 43 per cento entro il 2030. Secondo l’Unep, il metano è il secondo maggior contributore al riscaldamento globale dopo la CO2, ed è responsabile di circa il 30 per cento dell’aumento della temperatura globale a partire dalla rivoluzione industriale. Circa il 40 per cento delle emissioni di metano prodotte dall’uomo provengono dall’agricoltura – che comprende il gas emesso dal bestiame come le mucche – mentre il 35 per cento proviene da combustibili fossili e il 20 per cento da rifiuti solidi e acque reflue. L’Unep ha avvertito che le emissioni di metano potrebbero aumentare del 13 per cento nel decennio fino al 2030.

Tuttavia, per raggiungere l’obiettivo di Parigi, le emissioni dovrebbero diminuire fino al 60 per cento. L’energia solare, eolica e le altre energie rinnovabili sono considerate cruciali per raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette di gas serra entro il 2050. L’Agenzia internazionale per l’energia ha affermato a settembre che la crescita dell’energia solare e delle vendite di auto elettriche era in linea con il “percorso” necessario per raggiungere tale obiettivo, tuttavia sarebbe necessario che la capacità globale di energia rinnovabile triplichi entro la fine del decennio, un obiettivo concordato da più di 110 nazioni ai colloqui della Cop28.

Il ritorno sulla Luna

L’inaugurazione di un nuovo razzo è sempre qualcosa di particolarmente eccitante. È il risultato di lunghi studi e ricerche, e chi l’ha costruito si aspetta che diventi concorrenziale a livello internazionale, così da essere utilizzato da varie società per il lancio di satelliti e sonde e il cui utilizzo possa abbattere i costi della progettazione e costruzione. Ed è quello che vale anche per il lancio del primo razzo Vulcan Centaur della United Launch Alliance (Ula). Nelle ultime settimane tutti i componenti del razzo sono arrivati a Cape Canaveral, in Florida.

«Lo stadio superiore, chiamato anche “upper stage”, di questa missione è giunto a metà novembre ed è stato integrato sul resto del razzo», ha detto l’amministratore delegato di Ula Tory Bruno. Il 10 dicembre è stata fatta una prova generale di lancio durante la quale i serbatoi sono stati riempiti di propellente e si sarebbe dovuto eseguire un conto alla rovescia fin quasi al momento “zero”. «Purtroppo però è stato bloccato a quattro minuti dal termine per un problema di routine», dicono dalla Ula, e dunque il lancio non dovrebbe avvenire il 24 dicembre, come previsto, ma alla fine di dicembre o agli inizi di gennaio. Mat, al di là dei problemi iniziali, abbastanza normali per un lancio di un razzo di nuova generazione, si avvicina il momento in cui lascerà la Terra per la sua prima missione, chiamata Cert-1, che vedrà a bordo con un “passeggero” che sarà niente di meno che una sonda che andrà ad atterrare sulla Luna, chiamata Peregrine. Costruita da Astrobotic, avrà a bordo 21 strumenti forniti da enti governativi (tra cui la Nasa), università e compagnie private.

Peregrine, se tutto andrà per il meglio, atterrerà presso le Cupole di Gruithuisen, strutture geologiche che risultano un vero enigma, in quanto sembra siano state prodotte da magma ricco in silice, contrariamente al resto della grandi distese basaltiche povere di tale elemento. Gli strumenti a bordo dovrebbero lavorare per circa 10 giorni terrestri.

Questa piattaforma di atterraggio lunare fa parte del programma della Nasa denominato Commercial Lunar Payload Services (Clps), un programma che prevede un finanziamento parziale della Nasa a cui si unisce un finanziamento privato. A bordo di Vulcan ci sarà anche un’urna funeraria consegnata dalla compagnia spaziale per servizi funebri Celestis. Ci vorrà circa un mese di viaggio perché la sonda arrivi alla Luna, in quanto sfrutterà anche la gravità lunare per raggiungere il satellite, dando modo così di trasportare maggiori carichi con il minor propellente possibile. Naturalmente Ula si propone anche di sperimentare appieno il nuovo booster (possiamo definirlo anche primo stadio) del razzo chiamato Vulcan.

Stando ai piani mostrati alcuni mesi or sono, Ula vorrebbe lanciare due razzi al mese, se non altro per smaltire gli arretrati che ammontano a circa 70 lanci che sono stati richiesti da enti governativi e commerciali, tra i quali numerosi lanci per la costellazione internet di satelliti Kuiper di Amazon.

Obiettivo prioritario

Ma, tornando alla Luna, questa missione dimostra come il ritorno al nostro satellite stia diventando prioritario negli obiettivi scientifici di molte nazioni. Anche la Defence Advanced Research Projects Agency (Darpa) degli Stati Uniti si sta concentrando sempre più sulla Luna. Nel 2021, Darpa ha avviato il suo programma NOM4D (Novel Orbital Moon Manufacturing, Materials, and Mass Efficient Design), che ha come scopo la progettazione di grandi strutture in orbita lunare.

Recentemente ha anche avviato lo studio di capacità decennale sull’architettura lunare ( LunA-10 ) per stimolare lo sviluppo di una futura infrastruttura lunare integrata per «uso pacifico degli Stati Uniti e a livello internazionale». Sembrerebbe che il tutto sia finalizzato per scopi pacifici, ma così tanta ricerca sulla tecnologia lunare proveniente da un’agenzia supervisionata dal dipartimento della Difesa degli Stati Uniti pone una giusta domanda: «Tali iniziative non possono innescare preoccupazioni e controazioni da parte di altre nazioni per installare potenza militare sulla Luna?»

Risponde a questa domanda Peter Garretson, ricercatore di studi sulla difesa presso l’American Foreign Policy Council: «In quanto tale, la stessa Darpa non sta facendo nulla sulla Luna o nelle sue vicinanze, ma piuttosto aiuta l’industria a creare standard interoperabili che aiuteranno a promuovere la sostenibilità e a far avanzare gli standard per consentire l’assistenza di emergenza». C’è solo da sperare che ciò sia veritiero e che questi sforzi vengano interpretati dalle altre nazioni per quel che sono annunciati.

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