La notizia ambientale europea più importante di questo periodo è la siccità devastante che ha colpito la Catalogna, ma sarebbe un errore considerarlo come un proiettile schivato, pensare che quest’anno è toccata a loro. In Italia in questi giorni non si fa che parlare di agricoltura, eppure la siccità, cioè il principale problema dell’agricoltura italiana, è fuori dal dibattito pubblico.

L’anno è iniziato con segnali preoccupanti per la situazione idrologica nazionale, i campanelli di allarme hanno già iniziato a suonare. La situazione al momento non è ancora critica, ma ha il potenziale per diventarlo.

Il 2022 è stato un anno climaticamente memorabile per il nostro paese, con i danni da siccità aumentati del 367 per cento rispetto all’anno precedente e i livelli di piovosità più bassi dagli anni ‘60. Il 2023 era stato un anno partito male ma concluso in relativa tregua, salvato dalle piogge abbondanti di primavera. Quest’anno la situazione secondo tutti gli indicatori rilevanti – precipitazioni, umidità del suolo, temperature – è anomala come quella del 2022 a questo punto dell’anno.

Il caso Sicilia

A fine gennaio si è riunito il tavolo della Protezione civile per fare il punto, si aggiornerà tra un mese (e non tra un trimestre, come da prassi, piccolo segnale di quanto la situazione sia da tenere d’occhio). Nel 2022 la crisi era stata localizzata soprattutto nel nord ovest, e infatti era stato l’anno del tracollo del Po.

Quest’anno, secondo i dati del Dipartimento idrologia Irpi del Cnr, il deficit di pioggia rispetto alle medie degli ultimi trent’anni è serio in quasi tutto il centro sud, ed è grave in Sardegna (-50 per cento) e Sicilia (-60 per cento, con punte dell’80 per cento nelle province di Catania ed Enna). In Sicilia è stato il quinto mese di fila di anomalia delle precipitazioni, la seconda parte dell’anno scorso è stata la più arida da un secolo.

L’assessore siciliano all’Agricoltura Luca Sammartino ha detto che «i volumi degli invasi sono sotto il livello di guardia e la Sicilia è già flagellata dalla siccità». Sono partite le prime restrizioni all’irrigazione e il vincolo agli invasi.

L’indicatore più preoccupante non è la pioggia, ma l’umidità nel primo metro di suolo, uno degli stock idrici più importanti per la tenuta degli ecosistemi e dell’agricoltura. Secondo Luca Brocca, dirigente di ricerca di Irpi, «la situazione per l'umidità del suolo è decisamente peggiore di quella del 2022, e non solo in sud Italia.

La pioggia non è l’unico indicatore da guardare, è il canale principale di ingresso dell’acqua, poi dobbiamo vedere come stanno gli stock dove l’acqua viene conservata, cioè la neve e il suolo, oltre a quelli artificiali». Anche la neve è in calo, è confermato il trend degli ultimi anni, siamo al 40 per cento in meno del normale, sia nel nord ovest delle Alpi e sia sugli Appennini (dove però la neve ha impatto minore sulla disponibilità di acqua).

Le temperature

C’è un altro indicatore che dobbiamo guardare oggi per sapere come saremo messi alla fine della primavera e in estate: le temperature. In Italia non solo sta piovendo meno del normale, ma sta facendo e farà più caldo del previsto. «Da un punto di vista fisico, è una situazione da tempesta perfetta», commenta Francesco Avanzi, ricercatore della fondazione Cima, guardando i dati. «Le siccità non sono automaticamente legate al caldo anomalo ma, quando lo sono, l’effetto ne viene amplificato».

Il 2023 si è chiuso con sei mesi di fila da record per le temperature, in Sicilia ci sono punte di 2°C di anomalia termica, in Abruzzo in questo momento siamo a +2.7°C rispetto alle serie storiche, l’autunno aveva superato i 3°C. Spiega Avanzi: .«In un clima normale, l’evaporazione naturale sottrae metà della risorsa idrica. Con anomalie così pronunciate, la quota può arrivare al 70 per cento, come successo nel 2022». Non solo c’è meno acqua, ma l’acqua che abbiamo si perde per evaporazione a causa del caldo. Terzo ingrediente della tempesta perfetta: l’agricoltura è di gran lunga il primo utilizzatore dell’acqua italiana, più fa caldo e più ne userà per irrigare, sottraendone al totale.

In questo momento, secondo l’Osservatorio severità idrica dell’Ispra (di solito prudente con le categorie), ci sono due aree in severità media (3 su una scala da 1 a 4, il livello più grave) e sono i distretti di Sicilia e Sardegna, tre in severità bassa (2 su una scala da 1 a 4) e due in situazione di normalità.

Secondo il servizio europeo Copernicus, con un indicatore che mescola disponibilità di acqua e salute di vegetazione ed ecosistemi, la situazione italiana è già in fase “warning”, di allarme, da monitorare. Oggi insomma abbiamo un punto di partenza preoccupante come nel 2022, ma con una geografia ribaltata rispetto agli anni precedenti, con il sud in una situazione di maggiore sofferenza.

L’impatto rischia di essere anche peggiore di due anni fa, non solo per le differenti situazioni socioeconomiche, ma anche per come funzionano le precipitazioni. Spiega Francesco Avanzi: «Al centro nord il grosso delle piogge è in autunno e in primavera, al sud sono concentrate d'inverno». Se in Sicilia salta l’inverno, da un punto di vista idrologico, c’è meno margine per recuperare a maggio. 

C’è un ultimo elemento da considerare: il suolo non è a memoria zero, non possiamo considerare le annate come se fossero separate le une dalle altre, come se il conteggio del deficit si azzerasse con il nuovo anno idrologico (che comincia subito dopo l’estate). «Essere al terzo anno problematico di fila vuol dire che si parte sempre più in basso, la sofferenza diventa cumulativa», spiega Avanzi.

Il mese in cui l’agricoltura inizia a usare massicciamente la risorsa è maggio. È il tempo che abbiamo per recuperare prima di una nuova annata di calamità. Domanda: quanto margine abbiamo per non trovarci in una situazione critica? Silenzio. Poi una risposta: «Eh... deve piovere».

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