“Usa e getta” è il mantra del settore tecnologico. I nostri dispositivi, le app del telefono, gli elettrodomestici, hanno tutti una data di scadenza. E proprio all’alba della giornata mondiale dei rifiuti elettronici, è lo storico sistema operativo Windows 10 a chiudere i battenti. Su oltre 1,4 miliardi di dispositivi in tutto il mondo gestiti da Windows, a luglio 2025 il 43 per cento era animato proprio dalla sua versione numero 10. Per questi dispositivi gli aggiornamenti di sicurezza verranno interrotti, mettendo a rischio i computer che lo utilizzano.

Questa decisione porta con sé la perdita di circa 400 milioni di computer, che non potendosi aggiornare a Windows 11, sono costretti a spegnersi, nonostante siano ancora utilizzabili. Un risultato amaro non solo per i portafogli di molte persone che non avevano intenzione di cambiare dispositivo, e sono obbligate a farlo, ma anche per l’ambiente.

Il costo di un aggiornamento

I computer buttati potrebbero generare più di 700 milioni di chili di rifiuti elettronici secondo Right to Repair, una coalizione di più di cento paesi che si batte per il «diritto alla riparazione». Un atto, come quello del fai-da-te, non più scontato e messo a dura prova dalla cosiddetta obsolescenza programmata. Cioè la pratica dei produttori di mettere sul mercato dei software, in questo caso, con una durata limitata, per spingere i consumatori a sostituirli più frequentemente.

Il costo più impegnativo di questa strategia lo paga l’ambiente. I pc non più capaci di sopravvivere senza Windows 10 da oggi diventano un cosiddetto rifiuto elettronico. Un impatto enorme, considerando anche quanta energia e acqua è stata utilizzata per estrarre i minerali che compongono le diverse parti di un computer.

Esistono alternative?

Quindi cosa fare, come aggirare la morte programmata dei nostri dispositivi? Secondo un sondaggio sulle intenzioni dei cittadini britannici, solo uno su sette è disposto a cambiare il proprio computer. Alcuni rischieranno, utilizzando il pc senza protezioni.

Altri si rivolgono già verso sistemi alternativi meno noti ma “liberi”, come Linux. E qui nascono le reti di supporto per superare i giganti del digitale. Il progetto Restart Project, attivo in più di venti paesi, crea momenti informali in cui persone più esperte aiutano volontariamente «chi è stanco dell’obsolescenza programmata», si legge sul loro sito, fornendo supporto nel riparare i propri dispositivi. E ancora, «ripara un computer, cambia il sistema». Sulla scia della notizia di Microsoft è nata la rete “endof10” che in questo senso aiuta nell’installazione di Linux o altri software liberi.

L’eccezione bianca

Proprio grazie a questi gruppi e le loro pressioni, come la lettera che Right to Repair ha inviato all’inizio di questo mese alla Commissaria europea per l’Ambiente, l’Acqua e l’Economia circolare competitiva, Jessika Roswall, chiedendo una maggiore regolamentazione in fatto per esempio di durata minima dell’aggiornamento software, Microsoft ha fatto un piccolo strappo alla sua decisione.

L’azienda fondata da Bill Gates ha dato la possibilità agli utenti di estendere per altri 12 mesi gli aggiornamenti di sicurezza attraverso una registrazione con i propri dati. C’è solo una condizione (oltre i dati): bisogna essere in uno dei 30 paesi dell’European Economic Area (Eea).

Nonché forse gli unici che possono permettersi di cambiare computer da un giorno all’altro senza gravare sulle proprie finanze. In ogni modo, la “concessione” del gigante statunitense è arrivata troppo tardi e centinaia di aziende hanno già aggiornato i propri dispositivi. Ma soprattutto, avvertono le reti per il diritto alla riparazione, non inverte sistematicamente la rotta dell’obsolescenza programmata.

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