Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


Nell’Informativa Grande Oriente del 31 luglio 1996, l’identità del Napoli è ancora coperta; e sebbene l’informativa ricostruisca l’episodio di Mezzojuso con ulteriori dettagli (rispetto al generico cenno contenuto nella relazione dell’11 marzo '96), si continua a parlare di “Cono” e di “Giovanni”. Con la conseguenza che il magistrato titolare del procedimento e a cui il rapporto viene trasmesso non può neppure di propria iniziativa pensare ad attivare eventuali intercettazioni telefoniche o ambientali.

Il colonnello Riccio ha sostenuto che fu il maggiore Obinu a invitarlo a non dare evidenza ai nomi o agli elementi di identificazione dei soggetti che la fonte Oriente aveva indicato come suoi accompagnatori fino al casolare - la cui descrizione e ubicazione, invece nel rapporto viene ricostruita fin nei minimi dettagli - si era incontrato con Provenzano; e lo fece per potere lavorare in tranquillità, senza allarmare i soggetti da attenzionare nello sviluppo delle indagini.

Ora con tutte le riserve che si possono mantenere sulla credibilità di Giuseppe Riccio (le sentenze versate in atti offrono un campionario di apprezzamenti molto severi sulla sua personalità e la propensione a manipolare i dati per fini di autodifesa o per supportare i suoi sospetti e le sue accuse nei confronti dei suoi superiori per avere ostacolato o non avere fatto quanto era in loro potere per in buon esito delle indagini mirate alla cattura di Provenzano) non va trascurato che il rapporto “Grande Oriente” è firmato dal maggiore Obinu, pur precisandosi in calce che esso era stato redatto a compendio dell’indagine svolta dal colonnello Riccio.

E non c’è dubbio che Obinu avrebbe potuto imporre delle rettifiche o delle integrazioni su passaggi così delicati, come la decisione di sfumare i riferimenti ai soggetti indicati come favoreggiatori della latitanza di Provenzano, con riferimento all’episodio di Mezzojuso (cui peraltro è dedicato uno spazio esiguo), e non avesse pienamente condiviso tale decisione.

Peraltro, la giustificazione addotta sarebbe anche plausibile se non fosse per il fatto che non si lavorò in tranquillità su quei soggetti, ma più semplicemente non si lavorò affatto, come del resto non s’era “lavorato” neppure prima.

Bisognerà attendere (come si evince dal certificato richiamato anche nella sentenza qui appellata, e rilasciato il 6 maggio 2003 dalla segreteria dell’Ufficio Intercettazioni della procura di Palermo) fino al 21 ottobre ‘96 per le prime operazioni di intercettazione ambientale a carico del La Barbera Nicolò (e non a cura del Ros) e fino al 14 novembre ‘96 per le prime intercettazioni telefoniche (queste si a cura del Ros, e nell’ambito del proc. nr. 4868/96 N.C.) su utenze riconducibili a Napoli Giovanni (e a Napoli Antonino).

Un ritardo inspiegabile

Il Magg. Sozzo (che però come si ricorderà viene aggregato alle indagini del Ros alla cattura tra gli altri di Bernardo Provenzano solo a partire dal novembre ‘98), già nel processo Mori/Obinu, aveva fornito un affresco lineare e privo di ombre sulle indagini nei riguardi del suddetto “Cono”, attingendo al patrimonio di conoscenze investigative acquisito dal suo ufficio.

Così ha dichiarato, in quella sede (udienza 3.02.2012), che l’indagine su Nicola La Barbera si sviluppa dopo che l’Arma territoriale era giunta alla sua identificazione come quel Cono di cui aveva parlato Ilardo indicandolo come soggetto che aveva partecipato all’incontro di Mezzojuso e che ospitava Provenzano nella sua latitanza in quel territorio. In particolare rammenta che «siamo stati anche a Mezzojuso, [...] scoprimmo che in quel periodo che lui continuava a utilizzare la stessa Fiat Campagnola verde targata Palermo 950101, che era la stessa di cui aveva parlato Ilardo Luigi riferendo del suo famoso incontro del 31 ottobre. Noi attraverso alcune attività di osservazione ci accorgemmo che ancora il La Barbera continuava a utilizzare quella stessa autovettura e ricordo le estreme difficoltà della operazione, riuscimmo a istallare una microspia ambientale all‘interno di questa macchina, operando in vicolo cieco sotto la finestra in cui dormiva Nicola La Barbera, a Mezzojuso, sotto casa stia praticamente.

Quella attività di intercettazione ha avuto pochissimo frutto perché la Fiat campagnola essendo vecchissima, non avendo nessuna nessuna forma di coibentazione era così rumorosa da rendere totalmente inutile diciamo la captazione sonora». Non ebbe miglior sorte però la microspia installata all’interno dell’abitazione di campagna: non ne sorti alcun elemento utile e poi si scoprì che il La Barbera si era accorto dell’ambientale (l’aveva installata il M.llo Riolo che sarà poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa).

Sozzo però non sa spiegare per quale ragione l’indagine su Napoli Giovanni e su Nicola La Barbera e la loro identificazione sulla scorta degli elementi che erano stati forniti da Ilardo, sia stata intrapresa tanti mesi dopo che quelle informazioni erano state acquisite. Dice di non avere elementi al riguardo, e si avventura in una “difesa d’ufficio”.

[…] A beneficio delle scelte operate dal gruppo di comando del Ros si profila, ad una prima lettura, una spiegazione “indolore”. Fino alla morte di Ilardo, o meglio fino a quando questi agi da infiltrato, si contava sul fatto che questi sarebbe riuscito ad avere con Provenzano un nuovo abboccamento, dando modo di farsi trovare pronti (questa volta) per la sua cattura. Si ritenne quindi che non fosse utile tenere sotto controllo i favoreggiatori, per non correre il minimo rischio di allarmarli e indurre il principale indagato a ridisegnare la mappa dei suoi spostamenti e la rete di favoreggiatori.

In effetti, sembrerebbe questa la situazione fotografata alla data (11 marzo ‘96) della relazione a firma Riccio che fu poi diramata dal Col. Mori a tutte le articolazioni siciliane del Ros (e al I Reparto Centrale), poiché ivi si legge, sempre a pag. 6 e subito dopo il brevissimo cenno all’episodio di Mezzojuso: “Ora tutto è finalizzato, come sempre notiziato nelle varie relazioni di servizio, di cui si fa specifico riferimento per gli aggiornamenti dell‘indagine, ad ottenere un altro incontro con il latitante per catturarlo essendo ormai nota l’area di rifugio e le modalità operative dei suoi favoreggiatori”.

Naturalmente era una scelta discutibile e, con il senno di poi, sciagurata, perché sarebbe stato meglio costruire opportunità investigative alternative, che consentissero di arrivare all’obbiettivo senza attendere l’auspicato rendez vous preannunciato dalla fonte Oriente, invece che puntare tutto su questa unica risorsa, tanto più che erano trascorsi oramai cinque mesi dall’unico incontro di cui la fonte aveva dato notizia certa. Ma si potrebbe al solito parlare di una scelta investigativa improvvida, senza per questo dover dubitare della correttezza e buona fede di chi l’ha compiuta, ritenendo che fosse la più opportuna.

Domande senza risposta

È altresì plausibile che dopo la morte di Ilardo si sia ritenuto che fosse inutile attivare i controlli sui favoreggiatori già noti o facilmente identificabili dando per scontato che fossero ormai bruciati per Provenzano e che questi avesse spostato altrove la sede della sua latitanza.

Ma poi le acquisizioni su Vaglica fecero ipotizzare che non fosse così o che Provenzano fosse tornato a bazzicare la zona di Belmonte Mezzagno; e quindi i soggetti che avevano avuto un ruolo importante nel proteggerne e supportarne la latitanza in quel territorio — come Nicola La Barbera e Giovanni Napoli - tornavano a rivestire un certo interesse dal punto di vista investigativo.

Ma perché delegare quest’attività all’Arma territoriale? E come spiegare l’eccesso di prudenza o l’atteggiamento rinunciatario nei riguardi di Giovanni Napoli? E soprattutto, perché le attività di controllo e intercettazione non partirono non appena deciso che Ilardo avrebbe varcato ufficialmente il Rubicone, passando dallo status di confidente a quello di collaboratore di giustizia, facendo così accantonare definitivamente il progetto di utilizzare Ilardo come infiltrato per giungere alla cattura di Provenzano?

E al riguardo è appena il caso di rammentare che la situazione fotografata alla prima decade di marzo ‘96 nella relazione a firma Riccio era superata già ad aprile, quando, rotti gli indugi sulla decisione di Ilardo di formalizzare la collaborazione con la giustizia. si cominciò a pianificare l’incontro poi effettivamente avvenuto a Roma il 2 maggio con i procuratori di Palermo e Caltanissetta.

Certo è che le indagini su Napoli Giovanni riprendono, o meglio, cominciano, quasi per caso: e cioè perché viene notato più volte recarsi alla masseria del La Barbera, avendosi così riscontro diretto di una continuità di rapporti tra i soggetti che erano stati protagonisti dell’episodio di Mezzojuso.

E finalmente nel novembre del 1996, parte la prima richiesta di intercettazione telefonica autorizzata con decreto nr. 1065/96 del 14/11/96. Seguirà poi a dicembre la richiesta di intercettazione dell’utenza dell’ufficio del Napoli, autorizzata con decreto nr. 13/97 emesso il 13 gennaio 1997, ma revocato dopo cinque giorni. (E agli atti figurano anche due decreti di intercettazioni telefoniche su utenze intestate a Napoli Antonino).

Ancora più inspiegabile — a meno di non volere ritenere convincente la disarmante giustificazione addotta da Ierfone: v. supra — il disinteresse per la figura del soggetto a nome “Cono”, indicato come “vivandiere” (ruolo tipicamente declinato nei riguardi dei soggetti che si occupano delle attività di materiale assistenza di un latitante) del Provenzano; e il conseguente ritardo con il quale partono le prime richieste di disporre le opportune intercettazioni telefoniche e ambientali che peraltro vengono avanzate dal nucleo operativo- comando provinciale di Palermo (e non dal Ros) e sono dirette ad altro magistrato e nell’ambito delle indagini mirate alla cattura di altro latitante. […] D’altra parte, nel pur tardivo avvio e svolgimento delle indagini su La Barbera Nicolò e poi su Napoli Giovanni, Riinase costante la sinergia tra personale del nucleo operativo e personale del Ros come l’interlocuzione sugli sviluppi dell’indagine tra Ierfone e Fedele.

Se ne ricava l’impressione di un interesse da parte di Mori e dei suoi uomini a seguire a distanza i possibili sviluppi e ad acquisire elementi sulla rete di favoreggiatori della latitanza di Provenzano senza un impegno diretto del Ros, che tuttavia restava il dominus dell’indagine. Il compito demandata alla “territoriale” era solo quello di identificare ed eventualmente monitorare i presunti favoreggiatori, venendone poi il Ros debitamente informato in modo da restare arbitro di decidere il miglior uso investigativo delle informazioni così acquisite.

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