Liebe LeserInnen,

Questa settimana ricominciamo dall'energia, ma parliamo anche di energia nucleare, Long Covid e problemi di satira.

Anche in Germania il tema del gas continua a dominare le cronache: i siti di stoccaggio sono pieni, ma i timori di esperti e governo sono già rivolti all'inverno del 2023. La vicecapa del Fmi, Gita Gopinath, conferma che la crisi energetica tedesca non è destinata a finire in fretta. La campagna acquisti in condizioni emergenziali è sostenibile solo per un anno, non in maniera strutturale, e senza nessun contributo russo, va trovata una soluzione stabile alternativa.

La stampa tedesca ha iniziato a prendere maggiormente in considerazione anche lo scontento dei partner europei rispetto all'iniziativa in solitaria del pacchetto di sostegno all'economia tedesca da 200 miliardi voluta da Scholz. In un contesto sfavorevole in cui la timida apertura dei falchi europei al debito comune sembra per adesso non avere un futuro concreto, c'è però un unico aspetto positivo. Hanno ricevuto molta attenzione i dati sui consumi delle famiglie tedesche di inizio ottobre, in calo del 30 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente: qui abbiamo approfondito per voi il ruolo del ministro dell'Energia Robert Habeck e il valore delle sue raccomandazioni ai cittadini di risparmiare gas. Non è facile misurare quanto abbiano impattato fattori esterni come le temperature più miti, ma i primi studi indicano che sia le famiglie che le aziende (i cui consumi sono indipendenti dalle temperature), stanno tagliando i consumi.

Differenza di vedute

La Zeit approfondisce l'impatto della crisi energetica sulle aziende della Germania est e - spoiler - gli effetti sono devastanti. La ragione è nella struttura dell'economia locale: le aziende sono più piccole, così come i risparmi a disposizione delle imprese per i tempi duri e gli stipendi che prendono i dipendenti. Un contesto in cui l'impatto dei prezzi dell'energia da un lato e dell'inflazione dall'altro schiacciano l'economia. Sono infatti i Land "nuovi" a essere più dipendenti da gas e petrolio russi, scrive il settimanale. La ragione va cercata nel tipo di industrie che sono attive in quella zona, spesso energivore. La situazione attuale ha provocato già diversi stop alle produzioni specializzate: il timore è che alcune aziende delocalizzeranno la loro attività, lasciando centinaia di persone per strada. La dipendenza crea anche una circostanza che rende i politici locali meno netti nelle loro posizioni nei confronti della Russia.
Ma non è solo una questione economica. Tutto l'est è molto più legato alla Russia di quanto possa condividere o comprendere l'ovest, spiega Henry Bernhard in un pezzo pubblicato dal Deutschlandfunk. Al di là dei rapporti personali che si erano creati nei decenni in cui i russi continuavano a presidiare il territorio della Ddr, dopo la riunificazione i tedeschi dell'est avevano assistito a una progressiva svalutazione delle proprie capacità, una circostanza a cui la popolazione reagì con uno scatto d'orgoglio rispetto ai Wessis. Un sentimento che si concretizza anche in un minore timore per le iniziative odierne di Vladimir Putin, per cui una parte di popolazione considera la Nato corresponsabile, oltre che in una disponibilità, soprattutto da parte di politici di AfD e Linke, di cavalcare la populistica aspirazione alla rivalsa della popolazione.

Screzi del semaforo

Parallelamente alla questione del gas, si sta sviluppando una controversia interna alla maggioranza sull'opportunità di continuare a utilizzare l'energia nucleare. Una parola di contesto: dopo l'incidente di Fukushima, Angela Merkel aveva inaspettatamente sconfessato la linea pronuclearista del suo partito e aveva deciso con i suoi alleati di governo di concludere l'esperienza atomica tedesca. La parola fine doveva essere scritta proprio a fine anno, con la chiusura degli ultimi tre impianti ancora in funzione, ma considerata la difficile situazione energetica, il governo Semaforo ha deciso di mantenerne in funzione due almeno oltre la fine dell'anno. La decisione è arrivata dal ministro verde per l'Energia Robert Habeck, che nonostante l'origine antinuclearista del suo partito ha preso atto di non aver alternative. A prendere la palla al balzo è stato il collega delle Finanze Christian Lindner, che sta provando di estendere ulteriormente l'impiego delle centrali nucleari fino al 2024. Si tratta soltanto dell'ultimo screzio tra i due partiti, ma rischia di avere conseguenze importanti sulla tenuta del governo. Anche perché, con una mossa che lo Spiegel accosta al Poker, Lindner sta bloccando le autorizzazioni che il suo ministero deve concedere per continuare a tenere gli impianti in funzione. Sembra però che nessuno dei due alleati sia pronto a cedere. Nel fine settimana i Verdi hanno avuto la loro convention (a proposito della quale Tobias Schulze della Taz sottolinea la capacità di soffocare le critiche interne al partito all'azione di governo), e la cosegretaria Riccarda Lang ha annunciato oggi che di fronte alla propria disponibilità a tenere le centrali in funzione fino alla primavera ora attende le mosse "dell'altra parte".

Echi lontani

Anja Miller e Jörg Seisselberg della Ard hanno scritto, la scorsa settimana, di come tanti altoatesini vivono la vittoria elettorale di Giorgia Meloni. Soprattutto per organizzazioni che difendono l'identità di lingua tedesca e ladina come Schützenbund e il Heimatbund rievocano le marce dei fascisti su Bolzano e la loro ostilità nei confronti della popolazione di lingua tedesca. I loro rappresentanti promettono di osservare da vicino le iniziative di Meloni per proteggere la loro "indipendenza e autonomia". Il loro timore è che Meloni possa fare seguito alle sue parole del 2015, quando la presidente del Consiglio in pectore metteva in discussione l'autonomia di Bolzano nella gestione delle tasse: "Credo che bisogna dire a questa gente che se si sente austriaca vada a vivere in Austria. E se non va bene il tricolore, non vanno bene neanche i miliardi di euro che lo stato italiano trasferisce ogni anno per l'autonomia dell'Alto Adige".
Secondo i movimenti più identitari, queste parole sono assimilabili a una politica di allontanamento, ma secondo gli esperti intervistati dai due giornalisti, i due approcci al mondo non differiscono in maniera troppo netta. Il problema è che uno parte dal lato italiano, l'altro da quello tedescofono.

So long, Covid

Torniamo, dopo qualche tempo, anche a parlare di Covid. Non tanto della malattia in sé quanto del Long Covid, di cui si è fatta testimone l'autrice ed editorialista Margarete Stokowski. L'intellettuale già da tempo documenta sui social il decorso del suo Long Covid, che le impedisce di fare una vita normale a causa di sintomi continui e di stanchezza estrema (crash) dopo sforzi esagerati, che però in un contesto di Long Covid possono essere attività altrimenti banali, come fare una telefonata o andare a fare la spesa. Stokowski ha raccontato la sua esperienza durante una conferenza stampa al ministero della Salute, dove è stata invitata da Karl Lauterbach, il medico della Spd esperto di Covid che Olaf Scholz ha voluto nel suo governo.
Stokowski ha criticato duramente l'assistenza insufficiente che i pazienti ricevono. ««Ho questa malattia da inizio anno e il primo appuntamento disponibile per questa malattia all'ospedale Charité di Berlino è dopo metà novembre» ha raccontato l'autrice denunciando che la sua assicurazione vuole costringerla a una riabilitazione, a parere di Stokowski incoerente con la sua situazione.

Bastian contrario

L'uscita del suo nuovo libro Boum ci dà l'occasione per tornare a parlare di Lisa Eckhart, una delle cabarettiste più discusse sulla scena tedescofona. Il suo umorismo anti-woke le ha procurato una lunga serie di critiche, tanto che dopo affermazioni considerate antisemite una sua performance fu cancellate. Il suo personaggio smaschera le contraddizioni del politicamente corretto e inizialmente la formula sembrava fresca per la scena tedesca, ma col passare del tempo i suoi pezzi sono stati spesso messi in collegamento con ambienti di destra, ostili alla cultura woke. Eckhart stessa torna di frequente su quel tipo di critiche nei suoi spettacoli. In un'intervista alla Kleine Zeitung, la cabarettista si lamenta della "continua ricerca delle persone di affronti nei loro confronti". Del libro, nonostante tutto, anche Ijoma Mangold della Zeit, che pure si presenta come fan dell'artista, non ha capito nulla.

Böhmerata

Dopo lo scoop di Jan Böhmermann e del suo Zdf Magazin Royal sul capo dei servizi segreti informatici tedeschi si è aperto un dibattito sul giornalismo investigativo. Arne Schönbohm, il dirigente in questione, appariva coinvolto in rapporti poco trasparenti con un'azienda di sicurezza IT fondata da un ex agente del Kgb. Vi avevamo dato conto della vicenda qui.
Nei giorni successivi alla pubblicazione dell'inchiesta altri giornalisti hanno ricordato i loro servizi e articoli sulla vicenda, precedenti a quello di Böhmermann. Il legame tra Schönbohm e i servizi segreti russi appariva progressivamente sempre meno solido e la vicenda meno pericolosa per la tutela della sicurezza nazionale. A trarre le fila è stato l'editorialista dello Spiegel Sascha Lobo, che già lunedì sottolineava lo squilibrio tra la portata della notizia e la messa in scena della vicenda da parte di Böhmermann. Secondo l'editorialista, il modo di far apparire una certa notizia non va sottovalutato, ma la volontà di Böhmermann di raccontare ogni settimana una notizia esclusiva l'ha portato a esagerare il suo talento per la messa in scena, che Lobo riconosce essere "pari a quello di nessun altro".

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