Robert Habeck, leader dei Verdi e neoministro dello Sviluppo economico del governo Scholz, è spesso accusato di adottare toni inutilmente teatrali. Non è stato così la settimana scorsa, quando il dottore in filosofia ha annunciato un «piano immediato» per la transizione energetica.

Habeck si è presentato in conferenza stampa con un semplice diagramma a barre, la rappresentazione delle attuali emissioni di Co2 tedesche e delle riduzioni che andranno intraprese. Se Berlino vorrà raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi e rispettare la Legge sulla Difesa dell’Ambiente, in vigore dal 2019, sarà necessario far sì che entro il 2030 l’80 per cento dell’energia tedesca provenga da fonti rinnovabili. 

Un compito elefantiaco, come ammesso da Habeck stesso: la Germania dovrà triplicare il taglio annuale delle emissioni e velocizzare l’ampliamento delle rinnovabili, specialmente l’eolico e il fotovoltaico.

Ristrutturare il mercato, sconfiggere i "Nimby”

È forse prematuro chiamare il progetto di Habeck già un “piano”. Piuttosto, le quaranta pagine presentate dal ministro chiariscono gli obiettivi che muovono il governo Scholz, con pochi dettagli su implementazione e passi intermedi.

Dalle associazioni industriali a quelle di categoria fino a specialisti del settore, quasi tutti gli esperti concordano che il principale ostacolo a una decarbonizzazione dell’economia tedesca è un mercato energetico strutturalmente incapace di incoraggiare la rapida espansione delle rinnovabili.

Il risultato di queste limitazioni è evidente se si volge lo sguardo ai consumi energetici del 2021: AG Energiebilanzen, un osservatorio finanziato da diverse aziende energetiche, ha registrato un aumento del 35 per cento del consumo di carbone annuale, contro una stagnazione delle rinnovabili.

Come riportato anche nel contratto di governo della nuova coalizione, una situazione simile non è sostenibile di fronte a un previsto aumento dei consumi causato dal passaggio all’elettrico di molti ambiti dell’economia tedesca.

Negli ultimi anni è stato fatto pochissimo per eliminare gli incentivi economici alle fonti energetiche fossili, e anzi sono stati aggiunte restrizioni alla costruzione di parchi fotovoltaici ed eolici. È proprio in questa direzione che si propone di intervenire il progetto di Habeck.

Buona parte degli obiettivi citati riguardano una riduzione delle regole imposte agli operatori di pale eoliche, che in numerosi Land sono costretti a tenersi alla larga dai centri abitati: nello stato della Baviera, ad esempio, devono essere lontani dieci volte la loro altezza da qualsiasi abitazione, mentre in Renania settentrionale-Westfalia da luglio deve essere mantenuta una lontananza di mille metri dai centri urbani: queste limitazioni riducono in maniera sostanziale la superficie edificabile disponibile per nuovi parchi.

Questi ostacoli non sono conciliabili con l’obiettivo di riservare il 2 per cento della superficie tedesca all’energia eolica, motivo per cui Habeck ha annunciato l’intenzione di entrare in negoziati diretti con i governatori. È difficile però che si raggiungano risultati in tempi brevi: i movimenti Nimby (“not in my backyard”) hanno infatti una radicazione territoriale molto forte a livello locale, e influenzano in particolar modo i governi “autonomisti” come quello bavarese.

Un’altra sfida nell’ampliamento degli impianti delle rinnovabili per i Verdi sarà quella quella di garantire l’incolumità degli animali che vivono sulle superfici su cui sorgono gli impianti, che in Germania cade in capo a governo e operatori. 

Capita spesso che alcuni uccelli possano rimanere uccisi dalle pale in movimento, una possibilità che ha però già provocato il blocco di progetti per milioni di euro da parte di tribunali locali. Per questo alcuni esponenti della maggioranza caldeggiano ormai da mesi un passaggio dalla protezione dei singoli animali a quella della popolazione animale, impedendo ricorsi da parte di associazioni locali che strumentalizzano le norme per impedire la costruzione di impianti.

Ma questo braccio di ferro è solo uno dei tanti che il governo dovrà affrontare: un discorso a parte dovrebbe infatti essere fatto per gli operatori civili e militari di radar e impianti di navigazione, che per motivi tecnici chiedono ampie distanze fra le loro strutture e le pale (secondo Habeck, una modifica delle regole permetterebbe l’accesso in tempi brevi a nuovi terreni che fornirebbe energia pari a 7-9 GW).

Il problemi iniziano dagli alleati

In campo edilizio il governo potrà poi imporre standard stringenti su progetti finanziati con fondi di Berlino, oltre che rivedere il piano regolatore federale. Ogni nuovo edificio dovrà essere dotato di pannelli fotovoltaici, seguendo l’esempio dei piani regolatori di Berlino e altre città, ed è prevista anche una larga campagna di installazione di pompe di calore, andando a elettrificare anche i sistemi di riscaldamento e limitando così la maggiore domanda di metano.

Un altro campo d’azione sarà un grosso intervento sulle bollette, ad oggi fra le più costose in Europa. Oltre alla normale fluttuazione di mercato, i consumatori tedeschi subiscono infatti anche un’imposta calcolata annualmente creata  proprio per finanziare la transizione energetica.

Habeck vuole eliminare la tassa, pagando con il budget federale i miliardi di incentivi necessari per la costruzione di nuovi impianti. Qui sarà cruciale il posizionamento dei liberali della Fdp, partner di coalizione dei Verdi: pur apprezzando il taglio dei costi per le industrie, rimarrà da vedere come il governo finanzierà questi investimenti limitando l’emissione di nuovo debito, un tabù per i liberali.

Nel complesso, il piano tedesco scommette sull’idea che una rapida transizione energetica è una sfida possibile e soprattutto conveniente se accompagnata da aggiustamenti da lato del governo. «Obiettivi così ambiziosi lanciano anche segnali all’industria, creando di fatto l’aspettativa che investire oggi su una riduzione delle emissioni posizionerà bene le aziende sui mercati del 2030» spiega Luca Bergamaschi, co-fondatore del think tank Ecco.

Molto dipenderà anche dal volume di investimenti che il governo saprà mobilitare e su cui ancora si sa troppo poco, oltre che alla forma che assumeranno le norme che verranno introdotte nel corso dei prossimi mesi.

Ma l’ambizione di Habeck non nasconde l’immenso rischio insito nell’inefficiente amministrazione tedesca, soprattutto nella burocrazia bizantina e nella Babele delle competenze di stato e Land.

Ristrutturare un mercato energetico multimiliardario non sarà facile, e come ha osservato Carla Reemstma di Fridays for Future, non è detto che basterà di fronte alla totale assenza di misure nel campo della mobilità. Il ministro competente, che porta la tessera dei liberali, si è per ora dimostrato molto meno ambizioso dei Verdi sul tema della decarbonizzazione. 

Habeck, da parte sua, ha già avvisato che la Germania non raggiungerà gli obiettivi di decarbonizzazione previsti per il 2022 e il 2023, indicando che servirà tempo per mettere in atto le riforme. Sarà da vedere quanto il «piano immediato», che dovrà superare i veti incrociati di numerosi attori politici e l’inerzia di un’amministrazione federale ancora poco digitalizzata, riuscirà a rispettare l’appuntamento col 2030. 

© Riproduzione riservata