A forza di essere etichettate come la Confindustria del calcio italiano, hanno finito per crederci. E così domani le società di Serie A eleggeranno a capo della Lega il presidente della vera Confindustria, Carlo Bonomi. Toccherà a lui rimettere in ordine un’assemblea pronta a litigare e riappacificarsi su tutto che negli ultimi cinque anni  ha cannibalizzato presidenti e commissari di ogni estrazione.

Come esempio basterebbe citare la sorte degli ultimi due eletti, il banchiere Gaetano Micciché (2018-2019) e il manager Paolo Dal Pino (2020-2022). Entrambi dimissionari, il primo per le polemiche seguite a un pasticciatissimo procedimento elettorale, il secondo uscito sbattendo la porta e lanciando strali contro un consesso definito resistente al cambiamento.

Non è andata meglio ai commissari, con pieni poteri o ad acta, anch’essi, troppo spesso, di vita breve: come il presidente del Coni, Giovanni Malagò, rimasto impigliato nel percorso elettorale di Micciché; o l’ex magistrato Mario Cicala, che nel curriculum aveva dimenticato di specificare il ruolo di supplente nel consiglio di sorveglianza della Lazio; o l’ex presidente federale Carlo Tavecchio, al cui nome è legata la mancata qualificazione della Nazionale ai Mondiali del 2018.

Lo stesso Bonomi, una volta eletto (gli servono 14 preferenze), si troverà fianco a fianco con un altro commissario, in questo caso ad acta, nominato dalla Figc per riscrivere lo statuto della Lega ed eliminare il meccanismo della maggioranza qualificata per l’elezione del presidente. La nomina del commissario dovrebbe essere ufficializzata nel corso del Consiglio Figc convocato per domani, mercoledì 16 febbraio.
E se nel frattempo Bonomi dovesse essere impallinato dai franchi tiratori, cosa sempre possibile considerati i suoi elettori, a quel punto per la Lega si avvicinerebbe un altro commissario, con pieni poteri, la cui nomina scatterebbe il 24 marzo.

Tra due Confindustrie

C’è dunque da augurarsi che almeno Bonomi, il cui mandato da presidente di Confindustria scadrà nel 2024, sia consapevole della missione impossibile che dovrà realizzare. A maggior ragione che la notizia della sua imminente elezione non è piaciuta particolarmente nemmeno dalle parti di viale dell’Astronomia.
Perché sarà vero che il calcio è per il paese un comparto industriale del massimo livello, ma è anche profondamente anomalo e necessita di essere maneggiato con cura.

Inoltre, lasciando da parte ogni ipotesi di conflitto d’interessi che in questo caso non pare sussistere, si presenta certamente una questione di opportunità. Davvero è il caso di esporre un profilo di peso come quello del presidente di Confindustria a una missione nella quale c’è molto da perdere? Un interrogativo con cui Bonomi dovrà confrontarsi.

Vista dal campo

Per quanto riguarda i presidenti dei club di Serie A che domani incoroneranno il capo degli industriali italiani come loro guida, l’elezione di Bonomi è sicuramente un colpo di teatro.

Anche se resta da capire le vere finalità di una scelta comunque impegnativa. Dopo avere per decenni rivendicato uno status extraterritoriale la Confindustria del calcio sceglie di porsi sotto la tutela della Confindustria maggiore? Se così fosse, si tratterebbe di una scelta dotata di un senso, per quanto opinabile. E manifesterebbe la volontà dei presidenti di mettersi nelle mani di un leader forte chiamato dall’esterno per risolvere i problemi che dall’interno sembrano insormontabili.

Tuttavia è difficile dimenticare la condizione di suq assembleare cui la Lega si è ridotta da almeno un decennio. Una condizione da “uno vale uno contro tutti” che rende variabilissime le geometrie e estremamente friabili le alleanze e le inimicizie.

Questo microclima assembleare da giungla non verrà certo azzerato dall’avvento di un presidente di alto rango come Bonomi. E i presidenti di club lo sanno bene.

La giostra dei vecchi arnesi

Al di là di ogni considerazione, l’elezione del numero uno di Confindustria sarebbe l’ennesimo ricorso a un “papa straniero” ma almeno spegnerebbe il giro della solita “giostra dei vecchi arnesi”.

Perché dopo le dimissioni di Dal Pino, rassegnate il 1° febbraio, si è registrata una ridda di indiscrezioni che indicavano, come possibili presidenti della Lega di Serie A, leader politici ormai pensionati o con un grande avvenire appena riposto dietro le spalle.

La rosa dei nomi è stata ricca e variegata e ha tirato in ballo, solo per citare i più famosi, l’ex ministro dell’Interno e segretario di ben altra Lega, Roberto Maroni,  e Walter Veltroni, che fosse stato eletto, probabilmente, avrebbe intensificato la sua produzione di libri e film dedicati al calcio. Qualcuno ha persino riesumato Angelino Alfano, ricordando al paese che l’ex delfino di Silvio Berlusconi c’è e lotta insieme a noi.

Anche se il sublime si è toccato con l’indiscrezione su Pier Ferdinando Casini che nel giro di poche settimane è passato dalla poltrona del Quirinale a quella, ben più modesta, di numero uno di via Rosellini. 

Del resto l’eterno democristiano negli ultimi anni, dalle elezioni del 2018h a quelle recenti del Colle, non ha mai perso l’occasione per farsi ritrarre con indosso la sciarpa del “suo” Bologna. Il ruolo da vecchio saggio messo a capo di un’assemblea che ospita o ha ospitato personaggi del calibro di Claudio Lotito, Aurelio De Laurentiis e Massimo Ferrero sarebbe stato, per la sua carriera, un perfetto finale di stagione.

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