Mio figlio ventenne, da quando è scoppiata la pandemia, si è tuffato con i suoi amici nel trading di criptovalute e in questi giorni si è preso una bella legnata che ha cancellato tutti i guadagni precedenti. Ma è inutile ragionarci. Non mi è chiaro nemmeno bene il motivo di questo crollo ma non capisco perché sia consentita la sollecitazione, l’investimento e il trading su questo genere di strumenti sempre più astrusi e rischiosi (dopo le criptovalute sono arrivate le Ico, poi le stablecoin, poi gli Nft) quando se io volessi offrire da un giorno all’altro pubblicamente le quote della mia piccola azienda al pubblico per finanziare un’attività reale mi sarebbe vietato immediatamente dalla Consob come «sollecitazione al pubblico risparmio» e sarebbe considerato un reato penale. Lo stesso consulente della banca italiana che segue i miei investimenti mi aveva proposto pochi mesi fa di investire sul Bitcoin ma leggo poi che Paolo Savona, il presidente della Consob, dice pesta e corna delle criptovalute. Chi ci capisce qualcosa è bravo. Perché questo settore non viene regolamentato molto più severamente?  

R.


Gentile R.,

ha sintetizzato direi molto bene lo stato (confuso) dell’arte e in effetti il paragone che fa è calzante. Gli stessi regolatori fino a oggi hanno avuto nei confronti di questo fenomeno un approccio “laissez faire, laissez passer” mostrando qualche volta i denti, avvertendo i risparmiatori magari dei rischi, ma poi non interferendo in modo sostanziale su questo mercato, cresciuto in modo esponenziale e anche selvaggio.

In Italia il presidente della Consob (l’ente che dovrebbe tutelare i risparmiatori), Paolo Savona, è in realtà intervenuto in questi anni diverse volte sul tema (chiedendo anche profeticamente che le stablecoin senza riserva sottostante responsabili dei recenti ribassi fossero dichiarate illegittime) avvertendo più volte dei pericoli sulla stabilità finanziaria.

Perché allora la Consob non è intervenuta in questo campo? Savona dice che lo farebbe volentieri e lo sollecita da tempo ma questa materia non sembra di sua pertinenza ma degli stati, degli organismi sovranazionali e dei legislatori secondo l’attuale dottrina. Nato come mercato deregolamentato, quello delle criptovalute fuori dalle istituzioni ha trovato spazio e sviluppo nell’infosfera (ovvero la rete) dove, secondo Paola Savona, «il settore privato è più preparato e pronto ad agire del settore pubblico».

Insomma, come ha giustamente sintetizzato nella sua lettera, il mondo dei cripto-asset gode di una sorta di regime di extra territorialità finanziaria e, nonostante il primo Bitcoin sia stato “minato” nel 2009, fra le istituzioni c’è ancora dibattito (sic) sul tema mentre questo mercato è esploso, alimentando (visto la sostanziale deregulation)  grandi creazioni di ricchezza ma anche truffe miliardarie e illusioni di soldi facili.

Molte istituzioni finanziarie poi, all’inizio ostili al fenomeno, hanno deciso gradualmente di salirci sopra poiché “business is business” e ampliare il bacino di clienti (i più giovani soprattutto) e trovare nuove fonti di reddito. E questo spiega perché probabilmente gli stessi regolatori da anni “di fari accesi” non sono arrivati a capo quasi di nulla.

Secondo la bozza di un documento della Commissione europea rivelato dal quotidiano tedesco Handelsblatt alcuni tipi di stablecoin «potrebbero diventare sistemici» e quindi rappresentare un «rischio maggiore per la stabilità finanziaria e la politica monetaria». La regolamentazione dell’Unione europea sulle criptovalute potrebbe includere fra le altre cose «obblighi aggiuntivi» come «requisiti prudenziali più elevati» per gli emittenti.

La grande confusione

Secondo una recente ricerca realizzata dall’Oam (Organismo Agenti e Mediatori) in collaborazione con l’università di Tor Vergata il 14 per cento degli italiani sarebbe pronta a investire in criptovalute anche se le conosce appena.  

C’è insomma grande confusione sotto il cielo. E nella settimana scorsa anche sulla Luna e sulla Terra visto che due popolari criptovalute con questi nomi sono crollate, bruciando decine di miliardi di dollari, e questo movimento fortemente negativo ha contagiato tutto il settore.

Basti pensare che il valore totale del mercato crittografico globale (calcolando anche stablecoin e token) oggi vale circa 1.250 miliardi di dollari; all’inizio dell’anno la capitalizzazione di mercato totale era di circa di 2.200 miliardi di dollari e aveva sfiorato i 3mila miliardi di dollari solo a novembre 2021.

Una discesa che ha colpito anche naturalmente il Bitcoin, la valuta digitale più antica e importante, si è posizionata almeno fino a venerdì intorno ai 30.500 dollari Usa, oltre un terzo in meno di valore rispetto a inizio anno.

Il crollo di Luna

Il crollo della scorsa settimana ha avuto come epicentro il token Luna che doveva bilanciare algoritmicamente la “stablecoin” TerraUSD.

È invece precipitato in pochi giorni del 99,9 per cento di valore in un clima di vero e proprio panico. TerraUSD (UST), che dovrebbe essere stabile a 1 dollaro, è sceso bruscamente fino a 0,05.

Parallelamente al calo di TerraUSD, anche Terra Luna (Luna) ha perso il 99 per cento del suo valore, scendendo da livelli superiori ai 100 euro di un mese fa a meno di zero virgola una sequenza di zeri.

Gli investitori acquistano le “stablecoin” (che come dice il nome sono progettate per rimanere “stabili”) per immagazzinare denaro e facilitare gli affari all'interno dell'infrastruttura della criptovaluta. Sono insomma come le fiche al casinò che consentono di giocare in modo più pratico.

Do Kwon, imprenditore sud-coreano trentenne, è il “genio” che aveva creato la società dietro TerraUSD e Terra Luna e veniva descritto fino a sole poche settimane fa come una sorta di re Mida, la cui moneta digitale poteva consentire anche di ottenere rendimenti del 20 per cento annuo in caso di “staking”, ovvero prestito ad altri operatori del settore.

Eppure, non più tardi di una settimana fa, Do Kwon, il fondatore di Terra/Luna rideva del 95 per cento delle criptovalute che diceva sarebbero “morte”. «C’è anche intrattenimento nel guardare le aziende che crollano», aveva aggiunto.

Qualche tempo fa, una giornalista inglese (Frances Coppola) aveva osato mettere in guardia da molte di queste “stablecoin”. Aveva affermato che i meccanismi di autocorrezione basati su incentivi finanziari, simili a come funzionano i token di Do Kwon, «alla fine sarebbero falliti quando gli investitori presi dal panico si sarebbero affrettati all’uscita».

Un detentore di Terra Luna aveva chiesto un suo parere al fondatore di Terra/Luna e la risposta proprio di Do Kwon merita di essere ricordata: «Io non discuto con i poveri su Twitter».
Il caso Terra ha quindi sicuramente gettato diversi dubbi sull’effettiva solvibilità di numerose stablecoin e fra queste c’è grande attenzione nei confronti ora di Tether (USDT) che è fra le più diffuse (e vede diversi italiani alla tolda di comando) che afferma di detenere nelle sue riserve un misto di obbligazioni governative e aziendali, commercial paper, metalli preziosi, criptovalute e altri asset, senza fornire dettagli.

«Rivelare le nostre riserve è come dare la ricetta della salsa segreta» ha rassicurato il chief technology officer (cto) di Bitfinex e della sua stablecoin, Tether (USDT), Paolo Ardoino. E pazienza se Tether è stata già sanzionata per aver dichiarato il falso e cioè che, almeno nel periodo esaminato dalle autorità americane, aveva mentito ai clienti sulle riserve a garanzia dei token che distribuivano, e per non essersi registrata tra le imprese ammesse a fare trading. E non possiamo non aggiungere che Tether (che gestisce circa 80 miliardi di dollari) con sede a Lugano non fa certificare i bilanci da una società di revisione.

La cosa curiosa è che il mercato delle criptovalute era nato come una sorta di “casa di vetro” in opposizione a quella “oscura” della finanza tradizionale ma come ha capito caro lettore la situazione è sfuggita di mano. Anche ai regolatori. 

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