Il repentino crollo della cryptovaluta TerraUsd ha portato prepotentemente all’attenzione dell’opinione pubblica il fenomeno delle monete digitali, in crescita esponenziale negli ultimi anni. Ma dopo i crolli di questi ultimi mesi ci si deve chiedere quale sarà il futuro delle cryptovalute: l’ennesima bolla finanziaria con il solito strascico di perdite colossali, fallimenti e frodi? O un’innovazione destinata a durare? E con quali implicazioni?

Oggi nel mondo ci sono oltre 19mila cryptovalute, per un controvalore di 1.210 miliardi di euro, pari al doppio della capitalizzazione di Piazza Affari, al Pil della Spagna, o a metà di Apple (secondo coinmarketcap.com). La dimensione del mercato si è già notevolmente ridimensionata ed è facile prevedere che un grandissimo numero delle valute lanciate negli ultimi tempi per approfittare della bolla spariranno. Per molti investitori questo significherà ulteriori, ingenti perdite.

Ma credo che i danni maggiori saranno provocati dai derivati su crypto, dagli Etf e dalle borse per gli scambi di crypto che offrono la possibilità di investire a leva. Il fenomeno è dunque destinato a sgonfiarsi ulteriormente. Solo poche crypto, le maggiori, resteranno un elemento duraturo del panorama finanziario perché ne esiste ormai una domanda consolidata da parte di una certa tipologia di investitori. La tendenza è già evidente: Bitcoin, la prima crypto creata, già oggi rappresenta assieme a Ether il 64 per cento della capitalizzazione totale delle monete digitali.

Senza regole

Il problema urgente è la mancanza di un quadro giuridico per i mercati digitali, a cominciare dalla loro giuridisdizione: quale legge di quale paese può regolare una entità transnazionale, dematerializzata, costituita da computer sparsi nel mondo?

La regolamentazione delle crypto sfugge anche a uno stato autoritario come la Cina che ha proibito agli intermediari locali l’offerta di investimenti in crypto, lanciato la propria moneta digitale e proibito i miner (cioè, le zecche delle cryptovalute) sul proprio territorio. Ciò nonostante, i cinesi rimangono i principali investitori in crypto; cinese è il proprietario di una delle maggiori borse per gli scambi; e addirittura leggo che gli Nft (attività digitali basate sull’architettura tecnologica delle cryptovalute) vengono usati per aggirare la rigida censura del paese.

Temo sia ormai troppo tardi per evitare le frodi e i comportamenti scorretti, perché la bolla si sta già sgonfiando e nessun governo si è preoccupato di normare il mondo delle crypto. Ma non è troppo tardi per guardare avanti e definire un quadro condiviso di norme per qualcosa che avrà un impatto pervasivo, e non solo sui mercati finanziari.

Come funziona

Il lascito più importante del fenomeno è la tecnologia sottostante, che ne è l’elemento caratterizzante ed è probabilmente destinata a diventare la futura architettura dei mercati finanziari, ma anche degli scambi di beni e servizi.

Per capirlo è utile tornare allo scritto originale di Satoshi Nakamoto, lo pseudonimo dell’inventore di Bitcoin nel 2008. Il titolo, A peer-to-peer electronic cash system (Un sistema elettronico di pagamenti diretti tra individui), ne riassume l’essenza. L’attuale sistema dei pagamenti è infatti indiretto: il denaro passa dal deposito bancario del compratore a quello del venditore; le banche a loro volta chiudono la transazione sul libro mastro centralizzato gestito dalla Banca centrale.

Carte di credito/debito, bancomat e i vari sistemi di pagamento digitali come Apple Pay, Google Pay, PayPal e banche online, non sono una vera alternativa, perché il pagamento viene alla fine comunque ricondotto a un trasferimento di fondi presso banche che saldano le transazioni nel sistema centralizzato della Banca centrale.

Costituiscono quindi rispetto al sistema bancario un livello aggiuntivo al sistema dei pagamenti, aumentandone costi e tempi di esecuzione. Ancora più inefficiente l’architettura per le transazioni in attività finanziarie dove ci sono le borse telematiche per gli scambi, i sistemi di settlement per il pagamento tramite fondi bancari e le clearing house per il registro centralizzato dei detentori dei titoli. Inefficiente oltre che costoso, visto che ci vogliono due giorni per chiudere la compravendita di un titolo.

Con i Bitcoin, invece, ogni transazione avviene direttamente tra due individui su un sistema digitale in cui le transazioni vengono verificate e certificate da una moltitudine di “certificatori” (i miner, entità informatiche anonime che operano in rete da qualunque parte del mondo) il cui compito è di aggiungere la transazione come un anello di una lunga catena (blockchain) che contiene tutte le transazioni: ogni volta che si aggiunge un anello si ricostruisce l’intera catena dall’inizio per verificarne l’unicità e impedirne la duplicazione o manipolazione. Per il servizio di certificazione i miner vengono pagati con “token” di nuova emissione.

Non c’è limite all’ingresso di miner in Bitcoin, dove operano in piena concorrenza tra di loro, garantita dal sistema autoregolato: il diritto a certificare, e incassare il compenso, spetta infatti al miner che risolve per primo un problema matematico sempre più complesso; e c’è un limite alla quantità di Bitcoin che possono essere emessi e circolare.

La sicurezza dei pagamenti è data da un sistema analogo alla firma elettronica: ognuno ha una chiave privata e una chiave pubblica.

L’innovazione

Bitcoin ha dimostrato che è possibile costruire un sistema sicuro di transazioni dirette tra individui, basato su tecnologia, decentramento e concorrenza, senza passare attraverso i tanti intermediari dei sistemi tradizionali e un libro mastro centralizzato, con benefici in termini di costo e di tempo. L’ingegnoso sistema di certificazione di Bitcoin trova un limite nei crescenti costi e tempi di certificazione man mano che aumenta la catena delle transazioni, senza contare che il sistema è strutturato per avere un tetto massimo di emissioni.

Ma questo è un limite tecnologico che le successive evoluzioni della blockchain man mano risolvono: per esempio, per Ether i certificatori vengono di volta in volta sorteggiati per ridurne i costi, e si costruiscono “catene parallele” per blocchi di transazioni che poi vengono registrate come un unico anello sulla blockchain del sistema principale.

L’innovazione che le cryptovalute hanno portato alla struttura dei sistemi di transazione, di pagamento e di certificazione della titolarità delle attività, è destinata a durare e a portare un profondo cambiamento nei sistemi attuali, non solo nei pagamenti e nelle transazioni sui mercati finanziari ma, per esempio, anche nel mercato immobiliare e di tutti i diritti reali, nei diritti di proprietà intellettuale, nel credito solo per menzionarne alcuni.

L’inganno della stabilità

Ma cosa rimarrà delle cryptovalute come monete? Nonostante Nakamoto avesse chiamato Bitcoin un “Electronic cash system”, una crypto valuta per sua natura non potrà mai essere equivalente al contante. Forse, con cash, l’autore voleva sottolineare che può esistere una moneta digitale utile per fare un pagamento come fosse contante. Ma, per la maggior parte delle persone, contante è sinonimo di moneta legale cioè l’unità di conto il cui valore è fissato per legge. Insomma, un euro vale sempre un euro.

Questo non significa che il suo valore sia costante, perché il potere di acquisto varia con l’indice dei prezzi, come varia il suo valore rispetto alle altre monete legali (il tasso di cambio). Ma la confusione su cui molti emittenti e intermediari di cryptovalute hanno speculato è che una moneta digitale fosse un perfetto sostituto della moneta legale, cioè che fosse possibile scambiare crypto per dollari o euro a un tasso di cambio fisso.

Sono così nati gli stablecoin: mistificatori già nel nome, perchè le cryptovalute non possono avere un valore stabile (in termini di valuta legale) a meno che l’intermediario detenga a garanzia una quantità di moneta legale equivalente agli stablecoin emessi: impossibile perché sarebbe antieconomico emettere la crypto.

Il recente crollo di TerraUsd, uno stablecoin, è un incidente che aspettava solo di accadere. E non sarà l’ultimo. Le migliaia di cryptovalute che non apportano alcun miglioramento alla tecnologia blockchain su cui sono basate, o non garantiscono vero decentramento della certificazione, trasparenza nel processo di mining o protocolli di sicurezza adeguati, si sgonfieranno. Sono servite come specchietti per le allodole per attirare investitori influenzati da mode e desiderio di emulazione, attratti dalla curiosità o dalla prospettiva dei facili guadagni. Prima di invocare la regolamentazione bisognerebbe però rendersi conto che se non si risolve prima il problema della giurisdizione per i beni immateriali, sovranazionali e digitali, come le cryptovalute, anche la più rigida regolamentazione prudenziale a livello nazionale sarà inefficace.

Una scommessa

Se una cryptovaluta non è una moneta legale, che cos’è? Se per attività finanziaria intendiamo il diritto a incassare i cash flow che questa attività genera (cedole, dividendi, affitti, royalty eccetera) la crypto chiaramente non lo è. Come non lo è se per attività intendiamo il titolo di proprietà di un bene reale. Il valore intrinseco di una cryptovaluta è infatti nullo. Ma lo è anche quello di una banconota o di un deposito. Il valore di una cryptovaluta è quindi dato dell’esistenza di investitori che la domandano; e poiché è ormai entrata nelle abitudini della vita finanziaria, soprattutto delle nuove generazioni, credo che le cryptovalute continueranno a esistere.

Come si determina allora il prezzo di una cryptovaluta?

Per ogni investitore il prezzo di una moneta digitale sarà quello che lui pensa sia il suo prezzo domani: compro se penso che salga, e viceversa. Di fatto equivale a una scommessa: se sale, vinco la scommessa, se scende, perdo.

È quindi un gioco d’azzardo più che un’attività finanziaria in cui investire? No, perché anche i contratti futures hanno questa caratteristica: si compra un future non per acquistare a termine l’attività sottostante, ma per “scommettere” che il valore del future salga (se compro) o scenda (se vendo); e la scommessa viene poi pagata o incassata ogni giorno attraverso il pagamento o l’incasso dei margini. Solo pochissimi contratti futures arrivano a scadenza, usati dai professionisti per fare l’arbitraggio con il titolo sottostante. La stragrande maggioranza viene chiusa prima.

E in certi casi, come il Vix (l’indice di volatilità del mercato americano) il sottostante non esiste proprio. Derivati sulle cryptovalute, Etf, acquisti e vendite a margine, servono solo ad aumentare ulteriormente il valore delle puntate.

È questa la parte più a rischio della bolla; ma a differenza di altre, lo scoppio non avrà conseguenze sistemiche perché relativamente pochi individui partecipano a questo segmento delle valute digitali. Più un problema sociale, proprio come il gioco d’azzardo.

Come titoli tecnologici

Se un investitore in future sull’indice americano S&P 500 scommette sull’andamento della borsa, su cosa scommettono gli investitori nelle cryptovalute? Inizialmente si era ipotizzato che le crypto fossero un sostituto dell’oro per coprirsi dall’inflazione o dai crolli di borsa e si è cercato di capire con quali attività e rischi fossero correlate, e quindi il ruolo che potessero avere nei portafogli.

A posteriori si sono rivelati una scommessa sulla crescita dei mercati in generale e quindi un’attività ad elevato rendimento atteso (coi rischi connessi). La volatilità di Bitcoin negli ultimi cinque anni non è stata dissimile, per esempio, da quella di Nvidia (grande gruppo produttore di microprocessori avanzati per grafica, giochi, cloud e realtà virtuale), di GameStop (la rete di negozi di videogame oggetto del fenomeno degli acquisti concertati dei piccoli risparmiatori tramite la piattaforma RobinHood), o del prezzo del gas naturale in Europa. In altre parole, chi ha comprato Bitcoin non ha fatto un investimento troppo diverso da chi ha puntato sui titoli tecnologici; e adesso entrambi perdono in misura analoga.

La crypto delle Banche centrali

Una delle critiche più frequenti alle cryptovalute è che l’assenza di regolamentazione e l’anonimato della rete facilitano il riciclaggio, la criminalità e l’evasione fiscale. Non è assolutamente vero. Qualsiasi cryptovaluta è alla fine tracciabile e, comunque, molto più tracciabile del contante.

Ne è convinto il fisco americano, che da quest’anno chiede di inserire nelle dichiarazioni dei redditi degli individui tutte le transazioni in crypto, tassando i guadagni come capital gain. La criminalità organizzata è sempre riuscita a riciclare somme ingenti, e continuerò a farlo e, nonostante le severe norme antiriciclaggio, sarà comunque difficile arginare il fenomeno (come dimostra la difficoltà di rintracciare e sequestrare soldi e beni degli oligarchi russi). Riciclaggio ed evasione sono problemi gravissimi, ma non diamo la colpa a Bitcoin.

Il successo delle cryptovalute ha costretto le banche centrali a studiare l’implementazione di una propria moneta digitale.

La Cina ne ha creata una allo scopo principale di metter sotto controllo tutte le transazioni finanziarie dei cittadini: una scelta controproducente, perché alimenterà il ricorso al contante o alle crypto private alla ricerca dell’anonimato.

Se invece le Banche centrali occidentali adottassero l’architettura decentrata delle crypto, preservando l’anonimato almeno entro certi limiti, potrebbero creare un sistema di pagamenti istantanei peer-to-peer, sicuri e a basso costo, ma con l’aggiunta della stabilità del cambio con la moneta legale: insomma lo stablecoin ideale, estremamente competitivo rispetto al contante ma anche al sistema esistente basato su pos, carte e depositi bancari. Per i profitti delle banche e di alcune imprese nei sistemi di pagamento sarebbe una mazzata, ma il beneficio sociale enorme.

Bolle che scoppiano

In conclusione sembra di rivivere la bolla delle dot.com, agli albori di internet, vent’anni fa: ci furono allora crolli, truffe e dissesti quando la bolla scoppiò; ma da questo trauma sono nate e cresciute aziende e tecnologie che hanno cambiato, spesso in meglio, il modo in cui viviamo, usiamo il tempo libero, socializziamo e produciamo.

 

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