A ottobre 2021 Bologna pare destinata a rimanere nelle mani del centrosinistra, mancando quasi tutte le condizioni che resero possibile la vittoria imprevista di Giorgio Guazzaloca, unico sindaco dal Dopoguerra sostenuto dal centrodestra, alle elezioni del giugno 1999.

Nella seconda metà degli anni Novanta il centrodestra poteva contare su una “base” di circa il 40 per cento dell’elettorato, cui si aggiunse, già al primo turno delle amministrative, un voto di opinione favorevole al cambiamento che si allargò al secondo turno fino a diventare maggioranza per uno scarto dello 0,7 per cento. Ebbero un ruolo determinante la componente politica centrista, allora saldamente parte della coalizione di centrodestra, insieme, soprattutto, al tratto popolare, civico e moderato del candidato, a fronte dei conflitti interni alla classe dirigente dei Democratici di sinistra e a una lunga sequenza di errori favoriti dalla aspettativa del gruppo allora a capo del partito che sarebbe stato, in ogni caso, impossibile perdere (la vicenda fu dettagliatamente analizzata dall’Istituto Cattaneo in La sconfitta inattesa, il Mulino, 2000).

Fabio Battistini, il candidato scelto dal centrodestra per le elezioni del 2021 parte molto più in salita. La base dei consensi su cui può contare l’area politica che lo sostiene si è andata attestando negli ultimi dieci anni, a Bologna, intorno al 30 per cento. Pd e centrosinistra fanno affidamento su un bacino elettorale di oltre venti punti percentuali più ampio, a cui si aggiunge il soccorso (non strettamente necessario) dei Cinque stelle.

I cambiamenti regionali

Bologna, come Milano e Torino con riguardo alle rispettive regioni, del resto, non rispecchia politicamente l’Emilia-Romagna. In linea con una tendenza che riguarda tutta l’area, a un rafforzamento del centrosinistra presso l’elettorato dei grandi centri urbani corrisponde una caduta nei comuni minori, nelle aree periferiche e rurali, a vantaggio finora soprattutto della Lega.

In un passato ormai lontano Bologna è stata, politicamente, il centro dell’Emilia rossa, anche quando in molti comuni del reggiano o dell’imolese la sinistra godeva di maggioranze ancora più ampie. Alle elezioni europee del 2019, per effetto del fenomeno appena descritto, risultava in assoluto il comune emiliano-romagnolo con la percentuale aggregata dei voti ricevuti dai partiti di sinistra e centrosinistra più alta. Ma rimane oggi il centro politico di una zona circoscritta al denso e quasi ininterrotto sistema urbano, composto di comuni medi e grandi, che si svolge intorno alla “via Emilia”, da Reggio a Rimini. Solo l’alleanza con i Cinque stelle, o la capacità di recuperare il loro attuale elettorato, come è riuscito a Stefano Bonaccini nel 2020, potrebbe ristabilire/perpetuare un confortevole vantaggio sul centrodestra a livello regionale.

Anche la città al suo interno, come tutta la regione, è densamente popolata soprattutto lungo la via Emilia che, con varie denominazioni, conduce al centro storico (delimitato dai viali che replicano le mura trecentesche) e lo attraversa. Una ulteriore direttrice residenziale scorre, a nord del centro, partendo dalla Bolognina fino a Corticella.

A nord-est c’è il Pilastro, a nord-ovest la zona Lame. A sud del centro inizia invece la zona collinare che poi si inerpica fino a San Luca e al Monte Paderno. Queste ultime due aree, molto estese, così come altre che coincidono con terreni, parchi, infrastrutture di comunicazione, spazi per la logistica o per attività produttive, hanno un basso numero di residenti ed esprimono qualche decina o poche centinaia di voti ciascuna.

Per semplicità, e anche per evitare effetti visivi potenzialmente fuorvianti, nelle mappe qui pubblicate queste aree sono state omesse. Chi le vuole vedere per intero le può scaricare da www.cattaneo.org/mappe.

Geografia sociale

La prima da un’idea della geografia sociale di Bologna. È stata prodotta integrando attraverso una opportuna procedura statistica (analisi fattoriale) quattro indicatori: 1) la percentuale di famiglie con un reddito dichiarato annuo inferiore a € 13.000; 2) il livello di reddito mediano dichiarato; 3) la percentuale di residenti con diploma di scuola media superiore o laurea; 4) il valore commerciale medio stimato degli immobili. I primi tre si riferiscono al 2019 e sono tratti dagli open data del comune, il quarto ha come fonte l’Istat e si riferisce a valori del 2016.

La mappa restituisce un quadro che i bolognesi naturalmente conoscono.

Le zone in cui il tenore di vita è mediamente più elevato sono il centro storico e le aree verdeggianti che lo circondano a sud della via Emilia, soprattutto la collina. Quelle in cui il livello di benessere socioeconomico è mediamente minore sono nella fascia semiperiferica, a nord-est, nord e ponente rispetto al centro. I dati e la percezione comune segnalano in particolare come aree con minori livelli di benessere, tra quelle densamente abitate: il Pilastro (zona statistica n. 44) un tempo quartiere operaio a larga presenza di immigrati meridionali e oggi di immigrati stranieri; parti della zona Lame (26-28) al cui interno sono presenti insediamenti Rom e Sinti; il Villaggio della Barca (36), un quartiere di edilizia popolare concepito negli anni Cinquanta e inaugurato (incompleto) nel 1962; parti della Bolognina (12-17), posta alle spalle della stazione centrale, che tuttavia negli ultimi anni ha subito una rapida trasformazione (accanto a una significativa presenza di immigrati ha visto affluire italiani di classe media e alti livelli di istruzione, non preoccupati e forse anche attratti dal contesto multiculturale, in cerca di abitazioni a prezzi ragionevoli a ridosso del centro).

Geografia elettorale

Per capire i cambiamenti della geografia elettorale interna di Bologna conviene partire proprio dal 1999.

Lo studio del Cattaneo citato in precedenza mostrò come il maggiore incremento di voti rispetto alle elezioni amministrative precedenti a favore del centrodestra si fosse verificato proprio nei quartieri a maggiore presenza operaia. Per esempio, il rosa più o meno sbiadito della Bolognina con riguardo al ballottaggio era sostituito da un più consueto rosso intenso anche nella mappa delle europee tenute due settimane prima.

Tuttavia, nel 1999, la città risultava pur sempre divisa, tra zone blu o contese e zone rosso intenso, collina e centro da un lato, “periferie” dall’altra, secondo una ben identificabile linea di separazione che ricalca quella relativa ai livelli di benessere socioeconomico.

Rispetto ad allora, come a Milano e Torino, l’equilibrio politico tra i residenti del centro (con redditi medio-alti, altamente istruiti) si è modificato a vantaggio della sinistra, dopo il 2014.

Mentre lo spostamento a destra del voto nelle periferie – particolarmente netto a Milano e Torino – si è verificato a Bologna in una misura molto attenuata. Per la tenuta dei legami di partito e perché, come si è detto, a Bologna le zone a più elevato rischio di disagio socioeconomico sono distribuite in più punti della città collocati intorno e non tanto distanti dai viali di circonvallazione che ripercorrono le mura storiche, le tensioni tra vecchi e nuovi residenti sono generalmente sotto il livello di guardia e soprattutto le aree proprio a ridosso del centro, come la Bolognina, stanno diventando luogo di mescolanza tra immigrati integrati e ceti medi riflessivi in cerca di alloggi a costi accessibili.

Primarie decisive

Il netto vantaggio che ne consegue, per il centrosinistra, spiega perché a Bologna le primarie sono state, rispetto alle altre grandi città, così combattute: chiunque avesse conquistato la “nomination” avrebbe avuto elevate probabilità di ricoprire il ruolo di sindaco.

In effetti, stando ai dati disponibili, e considerando la lezione del 1999, l’esito sembra possa essere invertito solo da una sequenza di errori del candidato scelto con le primarie, per eccessi di autostima e fiducia nella ineluttabilità della vittoria, o da una inattesa capacità del candidato di centrodestra di includere i moderati benestanti e mobilitare gli sfiduciati che vivono in periferia.

 

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