La pandemia prima, le tensioni per la guerra in Ucraina, l’aumento dell’inflazione e del costo dell’energia, la crisi delle banche e l’aumento dei tassi di interesse, portano con sé spinte e controspinte che accentuano e accelerano alcune dinamiche presenti da tempo nel nostro paese. 

«In piedi, con la testa lucida e con gli occhi aperti, ma stanchi di un continuo affanno: condannati a vivere in un’interrotta emergenza, in un perenne stato d’eccezione, che sembra essere il nostro destino». Non è la descrizione del post lockdown, è l’incipit di un libro di Aldo Schiavone (L’Italia contesa) del 2009. L’immagine che l’Italia porta con sé da anni è quella di un paese provato, avvolto in un’economia e in una dimensione esistenziale fondata sull’incertezza, sulla percezione del futuro come un rischio (e non come speranza), sulla sensazione di solitudine monadica attraversata da paure e ripiegamenti.

A più velocità

L’Italia è un paese a più velocità, fra una quota ampia, ma minoritaria che si sente al passo con i tempi (47 per cento) e una quota maggioritaria (53 per cento) che al contrario si percepisce in difficoltà, quando non esclusa. Nel primo segmento ritroviamo un 12 per cento di persone che si sente una avanguardia, forte e dinamica. Il resto delle persone di questo segmento (35 per cento), pur non sentendosi un’avanguardia, si percepisce al passo con i tempi.

Sul fronte opposto troviamo l’11 per cento di italiani che si sente escluso dai cambiamenti e addirittura dalla società; il 14 per cento che si sente defilato in retroguardia e il 28 per cento che afferma di sentirsi lontano o escluso da molte dinamiche contemporanee.

Dicotomia generazionale

Il dato più preoccupante è quello legato al profilo dei soggetti che compongono queste due ali del paese, riportando a galla mali italici antichi, come ad esempio i freni e gli ostacoli posti al ruolo delle donne. Dinamici e all’avanguardia si avvertono il 15 per cento degli uomini contro il 9 delle donne. Al passo con i tempi il 37 per cento degli uomini contri il 33 delle donne. Oltre alle dicotomie di genere abbiamo anche quelle di classe sociale. Tra le avanguardie si colloca il 16 per cento del ceto medio e il 9 di quello popolare. Tra quanti si avvertono al passo con i tempi ci sono il 44 per cento del ceto medio e il 28 del ceto popolare.

Dal punto di vista territoriale, quando si parla del sentirsi avanguardia, scopriamo che non vince il nord (11 per cento), bensì il sud (15). Centro e periferia, metropoli e campagna, si confermano, anche se in modo calmierato, produttori di dinamiche differenti (quanti si sentono al passo con i tempi, ad esempio, sono il 38 per cento nelle aree metropolitane rispetto al 34 per cento nei piccoli centri).

Il dato più preoccupante, tuttavia, è quello che riguarda la dicotomia generazionale. La quota maggiore di esclusi dalla società e dai cambiamenti non la troviamo tra gli adulti analogici, ma tra i giovani nativi digitali. Il 12 per cento degli under 30 si percepisce esterno alla società, contro il 9 per cento degli over cinquantenni. I tratti faticosi in corso si possono cogliere anche attraverso la lente dell’analisi delle fragilità culturali e identitarie. Al primo posto, come effetto diretto e conclamato del periodo pandemico, si colloca il tema della complessità e fragilità delle relazioni con gli altri. Una gracilità avvertita, innanzitutto, dai giovani della Generazione Z; dagli appartenenti ai ceti popolari e dalle persone che vivono nelle grandi città.

Fragilità strutturale

I fattori di maggior disagio, purtroppo, non sono solo il portato della pandemia. Il 27 per cento del paese denuncia la difficoltà nel comprendere i cambiamenti in corso; il 24 per cento avverte l’insufficienza del proprio bagaglio culturale per far fronte alle dinamiche della contemporaneità; il 21 per cento denuncia l’insufficiente capacità di stare al passo con le innovazioni. La limitatezza del proprio bagaglio è avvertita, innanzitutto, dai giovani, dalle donne, dal ceto medio basso e da chi vive al sud.

Nella società della conoscenza, dello sviluppo delle nuove tecnologie, dell’intelligenza artificiale, della competitività serrata e della multiculturalità, i tratti uggiosi che permangono all’interno del paese, specie tra i giovani, rischiano di divenire fattori di infragilimento strutturale della capacità competitiva del nostro paese. Tratti che non solo necessitano di maggiori investimenti, ma, soprattutto, di una nuova strategia culturale e formativa. L’Italia in perenne transizione, per uscire dallo stato di difficoltà, non ha bisogno solo del Pnrr, ma di un forte investimento in cultura e in valore del sapere.

© Riproduzione riservata