Quali conseguenze avrà la pandemia sulle disuguaglianze sociali? Certo cresceranno ovunque, ma ci saranno differenze significative? Già prima del diffondersi del virus ci si interrogava sull’aumento delle disuguaglianze nelle democrazie avanzate, che procede ormai da un trentennio.

Alcuni vi vedono il segno di una vittoria sul campo del capitalismo neo-liberista sulla democrazia. La politica democratica non riesce a dare voce agli interessi più deboli, divisi e frammentati, e quindi a contrastare le disuguaglianze alimentate dal processo di globalizzazione e dai cambiamenti nell’organizzazione produttiva.

In questa prospettiva, ci si aspetta che la pandemia tenderà ad accrescere ulteriormente le disuguaglianze sociali di un capitalismo sempre più de-regolato.

Non tutte le democrazie sono uguali

Un punto di vista divergente sottolinea invece come vi siano diversi tipi di capitalismo legati a modelli differenti di democrazia, con capacità di contrasto delle disuguaglianze più o meno elevate.

Questa diversa visione trova sostegno in una ricerca comparata su capitalismi e democrazie, appena pubblicata, che ha preso in esame sistematicamente le diverse forme di regolazione dell’economia nelle democrazie avanzate e i loro legami con l’assetto politico (relazioni industriali, politiche del lavoro, modelli di welfare e pressione fiscale, interventi a sostegno del capitale umano e dell’innovazione).

Nella “democrazia maggioritaria” di stampo anglosassone prevale un capitalismo liberista che allarga di più la distanza tra un nucleo ristretto di supericchi e i gruppi sociali meno abbienti le cui condizioni peggiorano.

Nella “democrazia negoziale” dell’Europa centro-settentrionale il capitalismo è invece più regolato e le disuguaglianze sono più ridotte. In questo contesto si può dunque immaginare che i nuovi divari prodotti dalla pandemia siano meglio contrastati, a differenza di quanto avverrà nelle democrazie maggioritarie. La ragione principale viene individuata, sinteticamente, nelle più elevate capacità di rappresentanza degli interessi deboli che caratterizzano la democrazia negoziale rispetto a quella maggioritaria.

Risposte diverse

Nella fase del grande sviluppo post-bellico le differenti caratteristiche del sistema di rappresentanza, già visibili nei due modelli, erano attenuate dall’andamento molto favorevole dell’occupazione e dalla sensibile crescita dei redditi. Le cose cambiarono con il fenomeno della “stagflazione” degli anni Settanta e poi soprattutto con l’avvio dei processi di globalizzazione.

A questo punto, i percorsi si differenziano maggiormente. In paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, esempi tipici di democrazia maggioritaria, si afferma la svolta neo-liberista che porta a ridimensionare le relazioni industriali e a contrastare lo spazio del welfare.

Un percorso diverso è quello delle democrazie negoziali europee. Qui le relazioni industriali e il welfare, pur sottoposti a tensioni non indifferenti che tendono a ridurne il ruolo redistributivo, resistono, si adattano alle nuove condizioni e contrastano maggiormente le disuguaglianze (soprattutto nei paesi nordici ma in parte anche in Germania).

La ricerca comparata suggerisce che dietro queste diverse strade si faccia sentire l’influenza del tipo di democrazia. Quella maggioritaria appare chiaramente meno attrezzata a mediare le tensioni sociali innescate dal processo di globalizzazione, che porta con sé la delocalizzazione, la crescente concorrenza di prezzo dei paesi meno sviluppati, e la ristrutturazione produttiva. Questo tipo di democrazia, sulla spinta del sistema elettorale maggioritario e in un contesto bipartitico, porta le forze politiche – e in particolare il principale partito di sinistra – a muoversi verso il centro per conquistare il consenso dell’elettorato moderato necessario per vincere le elezioni. D’altra parte, non ci sono organizzazioni del lavoro forti e centralizzate e tradizioni di concertazione.

La svolta neo-liberista è dunque più radicale, ma ne risulta col tempo una crescente crisi di rappresentanza, un vuoto che porta allo spostamento dei gruppi sociali più deboli e più colpiti. Essi si allontanano dai partiti di sinistra, proiettati verso l’elettorato di centro, e sono più attratti dal protezionismo economico e sociale e dall’appello ai valori tradizionali offerti da nuovi leader neo-populisti (si pensi al fenomeno Trump e alla Brexit).

Queste tendenze sono presenti chiaramente anche nel contesto europeo, ma la ricerca comparata mostra come la democrazia negoziale sia più attrezzata a mediare le nuove tensioni e a contrastare le disuguaglianze. L’attenzione va posta su alcuni ingredienti istituzionali tra loro connessi: il sistema elettorale proporzionale che frena la personalizzazione politica e l’indebolimento dei partiti; lo spostamento meno marcato dei partiti di sinistra verso il centro, specie in presenza di radicate tradizioni socialdemocratiche; la persistenza di tradizioni di concertazione con organizzazioni del lavoro ancora relativamente forti.

Contrastare le disuguaglianze

È dunque probabile che le differenze nell’infrastruttura politica influenzeranno anche le capacità di contrastare le disuguaglianze a carico dei gruppi sociali più fragili, delle donne e dei giovani, che stanno crescendo vistosamente per effetto della pandemia. Per il momento prevale il ricorso generalizzato a aiuti e sussidi, ma più avanti si vedrà se aumenterà strutturalmente la capacità di contrasto della disuguaglianza o si ritornerà ai modelli precedenti.

Non è detto che non si affermino dei cambiamenti legati non solo al coronavirus, ma anche ad altri problemi che richiedono maggiori capacità regolative e non possono essere risolti dal mercato: ambiente, clima, salute e nuove malattie. A fronte di queste sfide, una riconsiderazione delle esperienze di democrazia negoziale, con la loro capacità di coniugare protezione sociale e crescita, potrebbe essere molto utile.

Lo sarebbe certamente per l’Italia, dove si spende molto per una redistribuzione più assistenziale che frena invece la crescita. L’esperienza della pandemia di questi mesi sembra però molto lontana da quel modello basato sul dialogo sociale, la cooperazione interistituzionale e la capacità di combinare efficacemente sussidi e interventi per lo sviluppo. E molti, anche a sinistra, continuano a guardare alla democrazia maggioritaria.

© Riproduzione riservata