Il no all’oligarchia della scienza, espresso da Elena Cattaneo su Repubblica, ci trova pienamente d’accordo. Il problema principale del sistema universitario italiano è oggi l’insufficienza delle sue risorse. In una fase storica in cui molti paesi hanno aumentato la spesa pubblica per l’università, riconoscendone il valore strategico, l’Italia ha fatto la scelta opposta: dal 2008 il finanziamento pubblico agli atenei è stato tagliato e oggi arriva appena allo 0,6 per cento del Pil, nettamente al di sotto della media Ocse (1 per cento) e dell’Unione europea (0,9 per cento). Ciò ha limitato la capacità degli atenei di svolgere le proprie funzioni: la formazione, veicolo essenziale di mobilità sociale, la ricerca e la diffusione delle conoscenze. Le università sono chiamate, oggi più che mai, a dare il loro contributo nel contrasto alle diseguaglianze che lacerano la società.

Serve una rete di conoscenza

Nella consapevolezza del valore culturale, economico e sociale dell’apertura internazionale, gli atenei hanno, tra l’altro, la funzione specifica di collegare i sistemi territoriali in cui operano con le reti globali di creazione e circolazione delle conoscenze. Per questo, affinché nessuno “rimanga indietro”, la direzione non può essere quella di concentrare le risorse su poche università “di eccellenza”. Occorrono processi da costruire con pazienza nei diversi territori, in particolare in quelli svantaggiati. È un’ambizione che sta coinvolgendo una parte importante del sistema universitario, in collaborazione con il Forum disuguaglianze e diversità. Ne sono partecipi la Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile, con il suo Gruppo di lavoro “Inclusione e giustizia sociale”, che comprende più di 50 università, Netval, la rete degli uffici di trasferimento tecnologico degli atenei e degli enti di ricerca, e il gruppo di lavoro sul ruolo delle università nel contrasto alle disuguaglianze, costituito presso il ministero dell’Università e della ricerca.

A imporsi è una nuova lettura della cosiddetta “terza missione” dell’università, che trova ora riscontro nelle indicazioni date dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) sui criteri di valutazione della stessa e riflette una tendenza che si manifesta in molti altri paesi, ad esempio nell’esperienza delle civic universities e nel ripensamento dei criteri di valutazione usati nel Regno Unito. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) offre in questa prospettiva un’opportunità straordinaria. Si tratta in primo luogo di realizzare un investimento pubblico nel sistema della ricerca, di dimensioni adeguate alle sfide sociali che ci attendono, come suggerito dal Piano Amaldi. La priorità andrà data alle aree che hanno più sofferto i tagli degli ultimi anni, secondo le linee suggerite da tempo negli studi di Gianfranco Viesti. L’investimento non può essere sprecato. Perciò andrà accompagnato da riforme incisive nelle regole che influenzano il ruolo degli atenei nella diffusione sociale delle conoscenze.

La pletora di strutture di collegamento tra università e imprese creata negli ultimi anni andrà semplificata e riorganizzata, partendo da una rigorosa valutazione dei loro risultati. In un contesto in cui tutti gli atenei abbiano le risorse necessarie per svolgere le loro missioni sociali, diventa utile aggiungere una quota di finanziamento straordinario che vada a premiare le strutture capaci di esercitare un impatto significativo sulla società e sulle sfide che quest’ultima è chiamata ad affrontare. Ad esempio, si tratta di misurare la capacità degli atenei di attrarre giovani che partano da condizioni sociali preclusive degli studi universitari. Queste barriere, insieme alle disuguaglianze crescenti e alla pandemia, stanno spegnendo lo sguardo verso il futuro delle nuove generazioni, facendo diffondere paure e approcci individualistici alla soluzione dei problemi.

Le università hanno il dovere di presidiare i territori, esplicitando il ruolo dell’istruzione come principale, ineludibile strumento per costruire un futuro diverso, più giusto. Si tratta di una priorità fissata nella nostra Costituzione, tradotta nel principio supremo dell’eguaglianza sostanziale, della giustizia sociale, intesa come rimozione degli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana. Di ciò si dovrebbe tener conto nella definizione delle scelte del Pnrr, in modo da non sprecare una grande occasione per il progresso sociale del nostro paese e per la valorizzazione dell’intero sistema universitario.
Gli autori sono membri dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, del Gruppo di esperti della Valutazione, del Forum disuguaglianze e diversità, del Gruppo di lavoro sul ruolo delle università nel contrasto alle diseguaglianze presso il Mur, del Network per la Valorizzazione della ricerca universitaria e della Rete delle Università per lo Sviluppo.

© Riproduzione riservata