Tra i principali contendenti spicca la proposta della Baku Steel Company Cjsc, in cordata con l’Azerbaijan Investment Company Ojsc. La decisione finale, però, non sarà prese a breve: una volta selezionate le offerte più solide, si aprirà un tavolo negoziale per definire le condizioni di vendita, sotto la supervisione del governo e con il coinvolgimento delle parti sociali. La polemica dei sindacati
La vicenda dell’ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, è giunta a un punto di svolta con la presentazione delle offerte vincolanti per la sua acquisizione, che dovevano essere avanzate entro la mezzanotte di ieri. In totale sono dieci le proposte arrivate sul tavolo dei commissari straordinari, con tre offerte che riguardano l’intero complesso aziendale e altre sette focalizzate su specifici asset strategici. Questa fase segna un punto di svolta per un polo siderurgico che comprende l’acciaieria più grande d’Europa, quella di Taranto, divenuta il simbolo di una crisi industriale che da anni tiene sotto scacco l’economia e l’ambiente del Mezzogiorno italiano.
I possibili acquirenti
Tra i principali contendenti spicca la proposta della Baku Steel Company Cjsc, in cordata con l’Azerbaijan Investment Company Ojsc. Questo consorzio rappresenta l’interesse di un paese, l’Azerbaigian, che vede nell’acciaio un settore strategico per la propria economia, puntando a inserirsi nel mercato europeo con un’operazione che combinerebbe know-how industriale e accesso a nuove tecnologie di produzione.
La cordata azera potrebbe garantire risorse fresche, ma restano dubbi sulla reale capacità di far fronte alle complessità sociali e ambientali che circondano gli stabilimenti italiani, con un processo di riqualificazione che potrebbe costare svariati miliardi di euro. Un’altra proposta è stata avanzata dal fondo d’investimento statunitense Bedrock Industries Management, guidato da Alan Kestenbaum. Il fondo ha già esperienza nel risanamento di imprese siderurgiche in crisi, come dimostrato da precedenti operazioni in Nord America. Bedrock si presenta come un attore capace di ristrutturare e rilanciare l’azienda, ma la sua natura finanziaria solleva interrogativi sulla priorità che potrebbe essere data agli aspetti occupazionali e ambientali, a fronte di una strategia incentrata principalmente sul ritorno economico. Il terzo potenziale acquirente è il gruppo indiano Jindal Steel International, che ha promesso una particolare attenzione agli investimenti tecnologici, in linea con i requisiti della transizione ecologica. Tuttavia, il suo impegno nella decarbonizzazione e nel mantenimento dei livelli occupazionali dovrà essere oggetto di un’attenta verifica da parte delle istituzioni e del sindacato, memori dell’esperienza dei connazionali di ArcelorMittal, che detenevano il 75per cento dell’ex Ilva fino al burrascoso addio di inizio 2024 che ha portato al commissariamento. Ci sono state anche offerte presentate per singoli asset di AdI, spiccano quelle di aziende italiane già attive nel settore siderurgico, come Eusider, Marcegaglia Steel, Sideralba e Imc, che cercano di acquisire specifiche porzioni strategiche del complesso industriale. In particolare, si registrano anche proposte congiunte, frutto di cordate tra alcuni di questi operatori, come quella tra Eusider, Marcegaglia Steel e Profilmec, oppure quella che vede collaborare Marcegaglia con Sideralba.
Tuttavia, le offerte parziali potrebbero creare frammentazione, complicando la gestione futura della rete industriale e delle questioni occupazionali, e il governo ha già espresso la preferenza per una vendita in blocco.
Futuro ancora incerto
Dopo la presentazione delle offerte, i commissari straordinari di Acciaierie d’Italia e di Ilva in Amministrazione Straordinaria procederanno con un’analisi approfondita. La valutazione terrà conto di diversi fattori cruciali. Anzitutto, l’impatto occupazionale: una delle priorità sarà garantire il mantenimento dei livelli di lavoro, riducendo il ricorso agli ammortizzatori sociali che da anni gravano sui dipendenti. Inoltre, verranno analizzate le proposte in termini di investimenti per il rilancio degli stabilimenti e per la loro modernizzazione, con un occhio particolare alla sostenibilità ambientale. La decarbonizzazione rappresenta un altro aspetto centrale, in linea con gli impegni dell’Italia e dell’Unione Europea per ridurre le emissioni di CO₂. Qualsiasi piano industriale dovrà includere tecnologie innovative per abbattere l’impatto ambientale degli impianti, a lungo contestato dalle comunità locali, e garantire la salute dei lavoratori e dei cittadini. Secondo quanto dichiarato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, la presenza di grandi attori internazionali dimostra l’attrattività strategica di Acciaierie d’Italia e apre alla possibilità di un rilancio dell’intera filiera siderurgica nazionale.
Tuttavia, le decisioni finali non saranno prese a breve: una volta selezionate le offerte più solide, si aprirà un tavolo negoziale per definire le condizioni di vendita, sotto la supervisione del governo e con il coinvolgimento delle parti sociali. Insomma, salvo sorprese Acciaierie d’Italia sarà ancora - in tutto o almeno in parte - in mano allo Stato alla fine del 2025, che sarà decisivo nel sostenere i costi della transizione ecologica.
La reazione dei sindacati
In questo contesto, non sono mancate le polemiche da parte dei sindacati, che hanno stigmatizzato le modalità di comunicazione adottate dal governo. «In un passaggio così delicato come la presentazione delle offerte per l’acquisizione degli stabilimenti di Acciaierie d’Italia, la comunicazione deve avvenire non a mezzo stampa ma attraverso il confronto nelle sedi istituzionali, a partire da Palazzo Chigi, con il sindacato e l’azienda», dichiara in un comunicato, la Fiom-Cgil. «Troviamo assolutamente inopportune le comunicazioni a mezzo stampa di chi ha la responsabilità di governare e di confrontarsi con la rappresentanza delle lavoratrici e dei lavoratori», si legge. La Fiom sottolinea la necessità di un ruolo attivo dello Stato nella compagine azionaria dell’azienda e di un confronto costante con i rappresentanti dei lavoratori, evitando fughe in avanti che possano compromettere la fiducia tra le parti.
Quale soluzione?
La procedura di vendita dell’ex Ilva rappresenta solo una fase di una partita complessa ben lungo dall’essere risolta, che va ben oltre gli interessi economici. Il futuro di Acciaierie d’Italia è legato non solo alla capacità dei potenziali acquirenti di investire nelle tecnologie necessarie per la transizione ecologica, ma anche al ruolo delle istituzioni e al dialogo con le parti sociali. In gioco ci sono il destino di diecimila lavoratori (che diventano il doppio se si considera l’indotto), la sostenibilità ambientale di un intero territorio e il rilancio di un settore strategico per l’Italia come il siderurgico, che nel 2024 ha raggiunto i minimi storici. Solo un approccio integrato e inclusivo potrà trasformare questa crisi in un’opportunità.
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