La guerra del gas sta diventando un conflitto giuridico che si gioca sui contratti, e le compagnie europee, inclusa l’Eni, stanno aspettando per decidere se cedere o no al ricatto di Vladimir Putin, nonostante la presa di posizione della Commissione europea. Il presidente russo a fine marzo ha imposto alle compagnie che comprano gas di aprire due conti presso la banca collegata al colosso di stato del gas, Gazprombank, e permettere la conversione dei pagamenti da euro o dollari in rubli.

Fino a una settimana fa, visto che Gazprombank non rientra negli istituti sanzionati, la Commissione europea non aveva detto ancora di no, ma dopo lo stop alle forniture di Polonia e Bulgaria ha preso posizione con nettezza: «Se un’azienda europea applica strettamente il decreto adottato dal presidente della Federazione russa, questo rappresenta una violazione delle sanzioni», ha detto il portavoce della commissione Ue, Eric Mamer. Un funzionario ha spiegato: «Perché così ci sarà un ammontare a disposizione della Banca centrale russa» coinvolta nel passaggio della somma dal primo conto al secondo «e il pagamento non sarà completo, ma le aziende perderanno totalmente il controllo del denaro contenuto nella transazione».

I nomi

Al momento nessuna compagnia avrebbe ceduto alla richiesta di Putin. Eni fino a oggi però non si è espressa sulle sue intenzioni, e sul tavolo c’era anche l’ipotesi di permettere a Gazprombank di convertire i pagamenti per il metano in rubli. Al momento, ha confermato una fonte del settore energetico, nessuna procedura amministrativa è stata avviata. Il Cane a sei zampe però, come le altre compagnie, non esclude niente finché la Commissione oltre alle dichiarazioni non farà seguire qualcosa di scritto: «Le compagnie hanno paura di violare i contratti con Gazprom qualora non fosse legalmente riscontrabile alcuna sanzione come dice la Commissione».

Prima delle ulteriori spiegazioni, sono emersi “i nomi” di quelle che sarebbero state pronte a pagare. Secondo il Financial Times, si tratterebbe dei distributori di gas in Germania, Austria, Ungheria e Slovacchia, i quali starebbero pianificando di aprire conti in rubli presso la Gazprombank in Svizzera per soddisfare il requisito russo per i pagamenti. I gruppi includono due dei maggiori importatori di gas russo: Uniper, con sede a Düsseldorf, e Omv, con sede a Vienna.

La situazione di Gazprom

Attualmente la posizione della Commissione e la decisione di Polonia e Bulgaria di non piegarsi al diktat di Putin non hanno prodotto risultati economici evidenti. La presidente della Commissione, subito dopo lo stop di Mosca a Polonia e Bulgaria, ha riferito che i due stati saranno riforniti dai paesi vicini e questo significa che la Polonia, il maggior acquirente, prenderà il metano dalla Germania, che è rifornita dalla Russia. Mosca ha subito attaccato: «La Polonia continua ad acquistare gas dalla Russia attraverso il gasdotto Jamal-Europa in modalità inversa, ricevendolo dalla Germania», ha dichiarato il portavoce della compagnia energetica russa Gazprom, Sergej Kuprijanov. «È stato solennemente annunciato che il gas russo non è più necessario e non lo compreranno. Ma in realtà non è cosi», ha sottolineato Kuprijanov, contestando le affermazioni della parte polacca. A suo dire il volume di 30 milioni di metri cubi al giorno che la Polonia sta ricevendo dalla Germania in modalità inversa dal gasdotto Yamal corrisponde «quasi esattamente alla domanda prevista dal contratto con Gazprom».

A fronte di questa dichiarazione, la compagnia energetica russa ha annunciato comunque tagli di produzione: 494,4 miliardi di metri cubi di gas nel 2022, in calo rispetto ai 514,8 del 2021. Anche se il vicepresidente del consiglio di amministrazione della società, Vitalij Markelov, in un’intervista alla rivista aziendale, ha sottolineato che, nel corso dell'anno, il piano produttivo potrà essere rivisto più volte a seconda delle esigenze del mercato.

L’Italia

Il think tank Ispi ha riportato che in Italia la dipendenza dalla Russia starebbe calando. In realtà è vero solo in parte. Secondo i calcoli di Staffetta Quotidiana, testata specializzata in energia, il calo del 51,4 per cento di import da Mosca, rispetto ad aprile dell’anno scorso, per oltre 1.100 mln di mc in meno, è stato compensato tanto dalle altre fonti, il Tap che porta il gas dall’Azerbaijan e dal nord Europa (+460 mln di metri cubi) quanto e soprattutto da un forte calo della domanda (-700 milioni di metri cubi). Nel dettaglio meno 100 mln di mc dal settore industriale; meno 200 per il termoelettrico (produzione di energia); meno 360 civile (perché ha fatto meno freddo); e meno 40 milioni di metano iniettato negli stoccaggi, quelle stesse riserve che dovremmo riempire per far fronte all’inverno qualora Putin chiudesse il rubinetto.

L’aiuto di Biden

Gli Stati Uniti, dopo aver chiarito possono fornire nel breve termine all’intera Europa 15 miliardi di metri cubi a fronte dei consumi dalla Russia per oltre 155 miliardi, hanno intenzione di scendere in campo a livello internazionale: «Non permetteremo che la Russia usi il suo petrolio e gas per evitare le conseguenze – ha detto il presidente americano Joe Biden – stiamo lavorando con paesi come Corea, Giappone, Qatar e altri per sostenere i nostri sforzi per aiutare gli alleati europei minacciati dalla Russia con il ricatto del gas per venire incontro in altri modi alle loro necessità energetiche».

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