In America una sentenza solleva il gigante tech dall’obbligo di vendere Chrome, sebbene disponga rimedi per agevolare la concorrenza e equilibrare il mercato. Intanto in Europa il dossier sulle possibili violazioni Antitrust è congelato, ma una portavoce della Commissione spiega che «l’indagine è ancora in corso»
Google non dovrà vendere il motore di ricerca Chrome né tantomeno del sistema operativo Android ma dovrà garantire la concorrenza attraverso tutta una serie di rimedi. Così si è espresso il giudice distrettuale statunitense Amit Mehta secondo il quale lo “spezzatino” della società è da escludersi.
Un colpo per il governo Trump, primo fautore dello smembramento della società accusata di monopolio- farebbero capo alla società il 90% delle ricerche online negli Stati Uniti: respinta la richiesta di Washington nella causa intentata contro la big tech, una richiesta che il giudice Mehta nella sentenza da circa 230 pagine ha definito «esagerata» pur indicando nuovi obblighi in capo alla società con l’obiettivo di riequilibrare il mercato e consentire una competizione se non fattivamente ad armi pari quantomeno più bilanciata.
Il caso “United States et al. v. Google” (Stati Uniti e altri contro Google) è stato depositato durante il primo mandato del Presidente Trump nell'ottobre 2020 ed è stato seguito da undici Procuratori Generali di altrettanti Stati. E altri hanno intentato azioni correlate nel corso del tempo. Ad agosto 2024, la corte distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto di Columbia in un parere di 277 pagine concludeva che «Google è un monopolista e ha agito come tale per mantenere il suo monopolio” in violazione dello Sherman Act. Ma la nuova sentenza ribalta la decisione sostenendo che «Google non ha agito per attuare restrizioni illegali».
Il dipartimento di Giustizia, a cui fa capo l’Antitrust Usa, in una nota ha cercato di sviare la questione dichiarandosi addirittura “vittorioso” puntando l’attenzione sui rimedi imposti: Google non potrà stipulare o mantenere contratti esclusivi relativi alla distribuzione di Google Search, Chrome, Google Assistant e della piattaforma di intelligenza artificiale Gemini, dovrà rendere disponibili ai competitor (attuali e potenziali) alcuni dati relativi all'indice di ricerca e all'interazione degli utenti e dovrà offrire servizi di ricerca e di distribuzione di annunci testuali anche in questo caso per non ostacolare i concorrenti. «La prima amministrazione Trump ha fatto causa a Google per ripristinare la concorrenza per milioni di americani vittime degli abusi di monopolio di Google. Oggi, la seconda amministrazione Trump ha ottenuto un risarcimento», ha dichiarato il procuratore generale aggiunto Abigail Slater della divisione Antitrust del dipartimento di Giustizia. «Continueremo a esaminare il parere per valutare le opzioni del Dipartimento e i prossimi passi per ottenere ulteriori provvedimenti».
Da parte sua Google si dice soddisfatta solo a metà: pur nel sottolineare che la decisione della Corte ha confermato che «la cessione di Chrome e Android avrebbe danneggiato i consumatori e i nostri partner», l’imposizione di limiti alle modalità di distribuzione dei servizi Google e l’obbligo di condividere i dati di Google Search con i concorrenti non è stata accolta con favore. «Siamo preoccupati per l'impatto che questi requisiti avranno sui nostri utenti e sulla loro privacy e stiamo esaminando attentamente la decisione», scrive in un blogpost Lee-Anne Mulholland, Vice President Regulatory Affairs della big tech.
Il dossier europeo
Intanto in Europa è stato “congelato” il dossier sulle possibili violazioni Antitrust. Secondo indiscrezioni di MLex la Commissione europea avrebbe ricevuto pressioni da Washington. Ma il 2 settembre una portavoce dell'esecutivo Ue, durante il briefing giornaliero con la stampa, ha dichiarato che l’indagine «continua ad essere in corso» e «nessuna decisione è stata adottata».
«Quello che posso dire è che nel giugno 2023 la Commissione aveva informato Google della sua valutazione preliminare che l'azienda stesse violando le regole antitrust dell'Ue distorcendo la concorrenza nell'industria delle tecnologie pubblicitarie, la cosiddetta industria adtech. La Commissione in particolare solleva questioni rispetto al favoreggiamento da parte di Google dei propri servizi di tecnologia pubblicitaria online a scapito dei fornitori concorrenti, pubblicità ed editori online. Queste sono le preoccupazioni che avevamo esposto nel 2023 e a questo stadio l’indagine continua a essere in corso».
Riguardo specificamente a una e-mail che sarebbe stata inviata dal governo americano a Bruxelles la portavoce si è limitata a dichiarare che «il fatto che cooperiamo con le autorità internazionali non è nuovo. Non commentiamo sugli scambi che abbiamo, con chi e quando». Sandro Gozi, eurodeputato di Renew Europe e segretario generale del Partito democratico europeo ha annunciato in una nota la presentazione di un'interrogazione parlamentare alla Commissione europea: «Per noi la situazione è chiarissima, le nostre regole di concorrenza e le nuove normative digitali sono state adottate e devono essere applicate senza esitazione».
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