Bruxelles - A meno di una settimana dalla nota di Unione Europea e Stati Uniti che metteva nero su bianco l’accordo sui dazi siglato in Scozia, Donald Trump scompagina di nuovo le carte. E lo fa prendendo di mira quella che era una delle poche vittorie che Bruxelles aveva potuto intestarsi del negoziato con Washington, il suo arsenale legislativo sul digitale.

«Come presidente degli Stati Uniti, mi opporrò ai Paesi che attaccano le nostre incredibili società tecnologiche americane. L'America e le società tecnologiche americane non sono più né il salvadanaio né lo zerbino del mondo», ha detto Trump minacciando nuovi dazi sui paesi con leggi che mirano a «danneggiare» la tecnologia americana.

Dal suo ritorno alla Casa Bianca, il tycoon non aveva fatto mistero della sua avversione verso l’impianto normativo di cui l’Ue si è dotata nello scorso mandato per porre fine al Far West online e per contenere lo strapotere delle Big Tech. Ma Trump non si è limitato alle parole: durante i negoziati sui dazi, la controparte americana ha cercato di intrecciare la questione tariffaria con quella del digitale.

«Due questioni separate» ha ripetuto fino allo sfinimento la Commissione europea che sembrava in larga parte riuscita nel suo intento. Preservata l’autonomia normativa, il solo punto su cui aveva ceduto era il fair share, impegnandosi a non introdurre una tassa per l’uso delle reti da parte delle Big Tech.

I tre pilastri normativi

Una questione importante, ma pur sempre marginale per l’amministrazione Trump il cui obiettivo è di “uccidere” i pilastri della normativa digitale made in Europe: la legge sui mercati digitali (Dma), quella sui servizi digitali (Dsa) e l'AI Act, la legge sull'intelligenza artificiale. Tre provvedimenti con tre obiettivi molto diversi: il primo, il Dma punta a contrastare le pratiche sleali e l'abuso di posizione dominante sui mercati digitali da parte delle Big Tech.

Più politicamente sensibile e di conseguenza più avversato, il Dsa, con cui si mira a creare un ambiente digitale più sicuro. Il Dsa, che riguarda un'ampia gamma di servizi digitali che operano come intermediari tra utenti e contenuti, beni o servizi, affronta anche gli algoritmi, i contenuti dannosi e illegali, e l'integrità dei processi elettorali.

E poi c’è l’ultimo arrivato, l’AI Act, che a differenza delle altre due leggi, entrerà in pieno regime solo a partire dall’agosto del prossimo anno. La legge sull’IA, una prima assoluta al mondo, detta una serie di obblighi per chi sviluppa e immette sul mercato i modelli di IA, con regole più stringenti per quelli che comportano rischi per i diritti fondamentali.

Le minacce del tycoon

Secondo l’amministrazione Trump, i lacci e lacciuoli voluti da Bruxelles non sarebbero altro che barriere ingiustificate al commercio digitale che discriminano le società tech americane. Secondo la Computer & Communications Industry Association (Ccia), lobby americana delle Big Tech che include Alphabet, Meta e Apple, la normativa europea sul digitale costa fino a 97,6 miliardi di dollari all’anno, con l’impatto maggiore – fino a 62,5 miliardi di dollari all’anno – derivante dai costi potenziali di multe e sanzioni.

Oltre al fattore economico, c’è anche un dato politico da sottolineare. La Casa Bianca ha più volte puntato il dito in particolare contro il Dsa, sostenendo che si tratta di uno strumento di censura dell’Ue per silenziare le opinioni più conservatrici. Negli ultimi mesi, gli Usa hanno intensificato la campagna contro il Dsa. Secondo Reuters, l’amministrazione Trump starebbe anche valutando l’ipotesi di sanzionare i funzionari europei o gli Stati membri responsabili dell'attuazione della legge, una mossa senza precedenti che andrebbe a minare l’essenza stessa della sovranità europea.

L’Ue sotto ricatto

Dal canto suo, Bruxelles ha rigettato punto per punto e a più riprese le argomentazioni Usa. Da ultimo, la Commissione ha rivendicato il «diritto sovrano» di regolamentare le attività delle Big Tech e ha «confutato con fermezza» la tesi secondo cui la normativa Ue punta a colpire le società americane, sostenendo che «il Dsa e il Dma si applicano a tutte le piattaforme e le aziende che operano nell'Ue, indipendentemente dal luogo della loro sede». Rispedite al mittente anche le accuse «completamente sbagliate e infondate» secondo cui il Dsa sarebbe uno strumento di censura.

Oltre le parole, però ci sono i fatti. Al pressing crescente della Casa Bianca, la Commissione, incaricata dell’attuazione delle leggi sul digitale, ha assunto un approccio molto cauto. Basti pensare all’indagine su X di Elon Musk, aperta ai sensi del Dsa nel dicembre 2023 che secondo fonti interne alla Commissione non verrà chiusa prima del prossimo anno. O ancora, alla partita che si sta giocando sull’attuazione dell’AI Act per annacquare il testo prima che entri a regime. «È come se ci fosse un triangolo – si ragiona tra i corridoi del Berlaymont – commercio, digitale e difesa. Un passo falso e gli Usa magari escono dalla Nato o ritirano le truppe dall’Europa: chi si prenderebbe questa responsabilità?».

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