Quasi quattrocento miliardi bruciati in un giorno: l’escalation della guerra in Ucraina ha scatenato il panico sui mercati finanziari europei e raffiche di vendite, non risparmiando nemmeno le industrie di armamenti che avevano brindato a inizio settimana. Ieri la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato possibili nuove sanzioni economiche, ma l’attenzione è stata soprattutto alle parole del segretario di Stato americano, Antony Blinken, al suo fianco: Blinken, infatti, ha detto che «la guerra potrebbe non finire presto», che «dobbiamo continuare a sostenere gli sforzi che stiamo facendo e «dobbiamo continuare finché la guerra non sarà finita, le forze russe non si ritireranno e gli ucraini non riacquisteranno la loro sovranità, indipendenza e integrità territoriale». «Potrebbe non finire presto», ha concluso laconico. E le piazze finanziarie europee, invece, hanno concluso la loro giornata in tracollo.

Crolli in serie

La Borsa di Parigi, che ieri aveva ascoltato il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, spiegare che il peggio deve ancora venire, ha chiuso perdendo quasi il 5 per cento, Francoforte il 4,39, Londra e Madrid attorno al 3,6 per cento. Piazza Affari, la peggiore, è sprofondata a -6,2 per cento e ha bruciato in un giorno oltre 36 miliardi di euro, quasi 84 miliardi dall’inizio della guerra. A guardare l’indice Ftse Mib, la capitalizzazione della Borsa italiana è tornata indietro ai livelli del gennaio 2021, bruciando tutti i guadagni degli ultimi 13 mesi.

Il panico si è scatenato con l’allarme arrivato dalla centrale nucleare di Zaporizhzhia, al centro di scontri armati nella notte, passata sotto controllo delle forze russe e dove si è scatenato anche un incendio in un deposito. Una volta iniziato non si è più fermato.

Il titolo di Tim che era crollato dopo i risultati di bilancio – 8,7 miliardi di perdite – e la presentazione del nuovo piano industriale, è stato sospeso più volte per eccesso di ribasso e ha chiuso con un calo verticale di quasi il 16 per cento, toccando i suoi minimi storici a 0,22 centesimi. Meno della metà di quanto prevedeva la mitologica offerta non vincolante del fondo americano Kkr, rimandata subito al mittente dall’azionista Vivendi che aveva pagato le azioni dell’ex monopolista telefonico più del doppio e ora si ritrova in mano un titolo che vale meno di un quarto di quanto sborsato.

Seconda per perdite, Unicredit, la banca italiana più esposta verso la Russia con circa 14,2 miliardi di euro di crediti: il titolo ha perso più del 14 per cento, nell’ennesima giornata in rosso. Comparato con le quotazioni all’inizio del conflitto il gruppo guidato da Andrea Orcel vale oggi un quinto in meno. Una sberla che secondo Reuters avrebbe fatto accantonare le ipotesi di una acquisizione, ventilata nelle settimane passate, del Banco Bpm.

La guerra in Ucraina però incide sul destino di tutto il comparto bancario, solitamente termometro del clima finanziario, ha bruciato miliardi di euro: Bper ha perso il 10,58 per cento, Intesa il 9,01, Banco Bpm, l’8,68 per cento. Nessuno però si è salvato: la Exor degli Agnelli, Stellantis, Saipem, Pirelli e Eni hanno lasciato sul terreno più del 7 per cento.

Gli analisti di Jp Morgan hanno anche previsto per il Pil russo una caduta del 35 per cento del secondo trimestre e del sette per cento tutto l’anno, una crisi peggiore di quella del 1998.

La crisi russa però rischia di trascinare molti altri nella sua recessione. La stessa JpMorgan Chase è la banca più esposta nei confronti del colosso petrolifero Gazprom.

Lo spread tra Btp decennali italiani e Bund tedeschi è tornato sopra quota 161, mentre l’euro è crollato rispetto al dollaro nell’ultimo giorno della prima settimana di guerra.

Caccia a grano e petrolio

Sette giorni in cui il petrolio Brent ha segnato il suo rialzo settimanale maggiore di sempre dall’inizio della contrattazione dei futures – correva l’anno 1988 e l’Unione sovietica doveva ancora crollare – e destinato a non essere l’ultimo. Se un barile di Brent oggi costa quasi 115 dollari, secondo JpMorgan se la guerra dovesse durare per tutto l’anno, a fine 2022 il prezzo potrebbe arrivare a 185 dollari.

Continua la corsa anche delle altre materie prime: chi ha osservato i prezzi del grano sul mercato statunitense questa settimana ha probabilmente ricordato il pieno della crisi finanziaria del 2008, solo allora i prezzi sono cresciuti così rapidamente, più 40 per cento in pochi giorni.

Tutti corrono a fare riserva e sul mercato di Chicago ha dovuto sospendere più volte le contrattazioni per aver raggiunto i massimi rialzi giornalieri consentiti.

La verità è che la prima settimana di conflitto si chiude con la consapevolezza che è stata solo la prima settimana.

© Riproduzione riservata