I dati sul mercato del lavoro aggiornati a gennaio 2023 sono particolarmente positivi, a una prima lettura. Gli occupati crescono di 35mila unità, determinando il più alto numero di occupati da quando esistono le serie storiche, in totale 23 milioni e 309 mila persone. Cresce soprattutto l’occupazione femminile con 30mila persone in più rispetto al mese precedente e con 246mila in più su base annua. Anche qui si registra il più alto numero dal 1977: 9 milioni e 870 mila, un dato del quale non si può che essere contenti. Crescono anche i disoccupati (+33mila) ma perché diminuiscono gli inattivi (-83mila) che ricominciano quindi a cercare attivamente lavoro facendo accrescere, appunto, i numeri della disoccupazione.

Questi dati portano il tasso di occupazione a salire al 60,8 per cento, anch'esso il più alto dalle serie storiche, mentre sale leggermente al 7,9 per cento quello di disoccupazione ma allo stesso tempo scende al 33,9 per cento quello di inattività, anche questo un record come più basso dall'inizio delle serie storiche.

Numeri di certo ancora molto lontani dalle medie europee, che ci lasciano ancora agli ultimi posti delle classifiche, ma che sono comunque un innegabile passo avanti. Questo soprattutto perché non parliamo solo di tassi, che sono influenzati dal negativo andamento demografico, ma di numeri assoluti, ossia di lavoratori in carne ossa in più.

Record del tempo indeterminato

Ulteriore elemento di interesse è che aumentano a gennaio di 64mila gli occupati a tempo indeterminato, che su base annua crescono di 464mila unità e raggiungono il numero più alto da quando esistono le serie storiche. Diminuiscono di 12 mila quelli a termine (-47mila su base annua) e tornano sotto quota 3 milioni dopo aver toccato negli scorsi mesi il picco di 3,1 milioni. E qui c’è il primo punto che deve interrogarci, ossia l’anomalia di una crescita occupazionale generata unicamente da rapporti stabili e con un calo ormai continuativo da un trimestre di rapporti a termine.

Da un lato da alcuni anni vengono conteggiati come nuovi occupati a tempo indeterminato i lavoratori per i quali cessa la cassa integrazione, senza sapere però, dai dati resi disponibili da Istat, quanto questa categoria incide sul totale dei nuovi posti di lavoro. Dall’altro è inedito che una fase espansiva del mercato non veda una corrispondente crescita marcata dei rapporti a termine è una anomalia rispetto a quanto osservato nel decennio precedente, forse segnale di una tendenza a stabilizzare i rapporti di lavoro temporanei prima di assumere nuove persone.

I giovani

E suddividendo i dati per fascia d’età si vede poi che diminuisce dello 0,3 per cento il tasso di occupazione sia nella fascia 15-24 anni che in quella 25-34 anni e aumenta in entrambi sia quello di disoccupazione che quello di inattività. Al contrario cresce il tasso di occupazione (e gli occupati) nella fascia 35-49 anni (+0,2) e soprattutto in quella 50-64 anni (+0,4). Questo potrebbe confermare la tesi che vede parte delle cause dell’aumento dei numeri dell’occupazione legato al riassorbimento di lavoratori in cassa integrazione, il che sarebbe comunque una buona notizia. 

Dati certamente positivi dei quali occorrerà vedere, nei prossimi mesi, maggiori aspetti qualitativi e capire se, come nei mesi scorsi, sono trainati molto dal settore delle costruzioni  – cresciuto di quasi il 10 per cento nel terzo trimestre 2022, gli ultimi dati a disposizione –  anche grazie ai bonus di cui si discute in questi giorni. Ma dati nei quali si insinua un paradosso ossia il fatto che abbiamo un numero di giovani in costante diminuzione ma che, allo stesso tempo, non riescono a beneficiare di una fase espansiva dell’economia.

Le cause, oltre a quanto già detto, possono essere diverse. Da una minor attrattività di profili non maturi che richiedono oneri formativi da parte delle imprese, alla difficoltà di intercettazione dei giovani stessi fino a un atteggiamento differente di molti giovani rispetto a proposte di lavoro che pongono condizioni che si è meno disposti ad accettare rispetto al passato. Tutte ragioni che potrebbero portare le imprese a optare per profili differenti e più maturi come già accaduto dopo la crisi del 2008, peraltro più disponibili a cambiare lavoro in un clima generale che pare più favorevole al turnover.

In questo scenario di un mercato del lavoro nel quale il numero di occupati è il più alto di sempre si inseriranno poi altre 600 mila persone circa che, da agosto, saranno alla ricerca di un lavoro dopo la perdita del reddito di cittadinanza.

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