Dopo le prime misure del governo per il disastro in Emilia Romagna, da più parti si suggerisce la costituzione di un’apposita struttura di missione per il dissesto idrogeologico e la tutela del territorio, diversa dalla figura del commissario per l’emergenza determinata dall’alluvione dei giorni scorsi. Non sarebbe la prima volta. Nel 2014 Matteo Renzi istituì Italia Sicura, che nel 2018 fu smantellata da Giuseppe Conte e sostituita dal piano Proteggi Italia. Può essere utile esaminare il giudizio che di tali iniziative ha dato la Corte dei Conti, per comprendere criticità ed errori da evitare.

Italia Sicura

La struttura di missione Italia Sicura, costituita presso la presidenza del Consiglio, era finalizzata - tra le altre cose - ad «assicurare l'integrazione delle fasi relative alla programmazione e alla realizzazione concreta degli interventi e delle risorse attribuite ai diversi livelli di governo (centrale, periferico, territoriale e locale) nonché il razionale ed efficace utilizzo delle risorse disponibili».

Dopo aver raccolto dalle regioni tutte le richieste di interventi, nel maggio 2017 la struttura di missione aveva presentato un rapporto contenente un piano con l’indicazione degli interventi da effettuare, la valutazione della loro efficacia in termini di abbattimento del rischio, la ripartizione delle competenze. Il piano riguardava 8.926 interventi, corrispondenti a un fabbisogno pari a circa 25,6 miliardi di euro, il 90 per cento dei quali rappresentato da opere ancora da progettare, specie nel Mezzogiorno.

Nei quattro anni in cui è stata operativa, Italia Sicura ha funzionato? Secondo quanto riferito dal ministero dell’Ambiente e riportato dalla Corte dei Conti, la struttura «non ha svolto alcuna attività di carattere istruttorio per la programmazione del Fondo progettazione, occupandosi della procedura di accertamento, cantierabilità e definizione dei cronoprogrammi». Dunque, la struttura ha il merito di aver effettuato un censimento delle opere da realizzare nonché una ricognizione delle diverse fonti di finanziamento disponibili. Detto ciò, le risorse del Fondo per la progettazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico (l. n. 221/2015) assegnate alle Regioni dal 2017 hanno rappresentato fino al 2018 solo il 19,9 per cento del totale complessivo in dotazione al Fondo (100 milioni di euro), «non avendo nessuna Regione completato le progettazioni finanziate». Il ritardo è stato determinato da diversi fattori: tra gli altri, «l’inadeguatezza delle procedure e la debolezza delle strutture attuative», «la lenta approvazione dei progetti per le complesse procedure di messa in gara dei lavori», «l’assenza di adeguati controlli e monitoraggi», «la necessità di revisione dei progetti approvati e/o delle procedure di gara ancora non espletate».

La Corte dei Conti afferma che il piano di Italia Sicura «si è configurato come una mera raccolta di richieste di progetti e di risorse, talvolta non omogenee, senza addivenire ad una vera e propria programmazione strategica del settore». In altre parole, non è stata «compiutamente definita una vera e propria politica nazionale di contrasto al dissesto idrogeologico, di natura preventiva e non emergenziale, (…) con interventi di breve, medio e lungo periodo».

Proteggi Italia

Con il governo Conte-1 tutte le competenze in materia di dissesto sono state ricondotte al ministero dell’Ambiente, sopprimendo Italia Sicura, con l’adozione di un Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il cosiddetto Proteggi Italia.

Successivamente, è stata istituita presso la presidenza del Consiglio una cabina di regia denominata “Strategia Italia”, quale organo di raccordo politico, strategico e funzionale dell’azione di governo, con il compito, tra gli altri, di verificare lo stato di attuazione degli interventi; una struttura di missione denominata InvestItalia, alle dipendenze del oresidente del Consiglio; un’unità tecnica per il dissesto, coordinata dal ministero dell’Ambiente.

Su Proteggi Italia la Corte dei Conti ha espresso un giudizio impietoso. Sul fronte della governance, la frammentazione e la numerosità delle strutture, dei processi decisionali e delle relative responsabilità hanno impedito il «necessario “cambio di passo” verso una gestione “ordinaria” ed efficace del contrasto al dissesto». Il piano, tra le altre cose, «non ha risolto il problema dell’unicità del monitoraggio, né individuato strumenti di pianificazione territoriali efficaci, in grado di attuare una politica di prevenzione e manutenzione». Non è stata superata la lentezza «sia dei processi decisionali che di quelli attuativi, spesso condizionati da lunghi processi concertativi nazionali e locali», oltre che dalla complessità delle procedure. «La capacità progettuale delle Regioni, la carenza di profili tecnici unitamente alla scarsa pianificazione del territorio, restano criticità ancora non risolte».

Le critiche della Corte dei Conti

La Corte dei Conti ha individuato anche altre criticità relative alla gestione del rischio idrogeologico negli ultimi anni, che andrebbero valutate nella definizione di una nuova struttura di missione.

Nel 2014, con il decreto competitività (d.l. n. 91), ai presidenti delle regioni fu attribuita la qualifica di commissari di governo per il dissesto idrogeologico ma ciò non ha accelerato l'iter attuativo degli interventi, a causa della carenza presso tali enti di strutture tecniche adeguate; in molti casi, le strutture commissariali hanno delegato l'attuazione degli interventi ai Comuni, i cui uffici sono spesso inidonei a eseguire operazioni complesse in tema di dissesto idrogeologico. La Corte ha evidenziato come «la trasformazione dell’istituto del commissariamento in mezzo ordinario di soluzione di problemi organizzativi» così come «le misure straordinarie e le deroghe delle norme» non abbiano prodotto «risultati significativi».

Ma «la scarsa capacità di spesa è anche conseguenza di progetti spesso non cantierabili, basati su ipotesi progettuali che poi vengono disattese, per cambiamenti di linea politica, per difficoltà autorizzative, per la necessità di adeguare i progetti iniziali approvati ai cambiamenti che hanno, visti i tempi lunghi di avvio, modificato il territorio».

Inoltre, il controllo e il monitoraggio degli interventi in corso d’opera è risultato carente anche a causa della proliferazione e frammentazione delle piattaforme e dei sistemi informativi, che ha reso difficile l’inserimento dei dati e la valutazione del procedere degli interventi.

Le raccomandazioni per il futuro

La Corte dei Conti ha formulato alcune raccomandazioni per la migliore gestione della tutela del territorio, che un’eventuale nuova struttura di missione dovrà considerare: «Definire con chiarezza l’ambito degli interventi, in particolare per quanto riguarda la prevenzione, evitando di creare sovrapposizioni con le misure emergenziali»; aggiornare i piani di assetto idrogeologico e gestione delle alluvioni, essenziali soprattutto a causa del «cambiamento climatico che modifica costantemente l’assetto geomorfologico del territorio»; semplificare strutture e processi decisionali, attribuendo compiti e responsabilità specifiche alle strutture coinvolte; dotare le regioni di figure tecniche e amministrative che possano supportarle nella realizzazione degli interventi; identificare «un sistema realistico di indicatori che misuri l’effettiva realizzazione degli interventi a livello nazionale e a livello locale».

Inoltre, dovrebbe valutarsi anche «lo sviluppo di un sistema tecnologico nazionale di gestione della informazione geografica e ambientale, che preveda l'impiego delle capacità satellitari nazionali e degli strumenti operativi di osservazione della terra dallo spazio e che consenta una comunicazione e una condivisione sempre più efficace delle informazioni».

Per mitigare il rischio idrogeologico non c’è niente da inventare: è tutto già scritto nella storia degli ultimi anni. Giorgia Meloni saprà tenerne conto?

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