Il Governo ha presentato i dati della Nadef parlando di un approccio “prudente” alla legge di bilancio per il 2023. Questo nonostante il deficit per quest’anno sia più alto di quasi un punto percentuale rispetto a quanto previsto e quello per il 2024 sia stato fissato al 4,5 per cento (rispetto al 3,7 che ci si era imposti con il Def ad aprile). Il dato più grave, però, è quello sul debito: in un contesto macroeconomico favorevole alla sua riduzione, il Governo prevede che rimarrà costante intorno al 140 per cento del Pil per i prossimi tre anni.

Il motivo di questa mancata riduzione, secondo il Ministro Giorgetti, è il peso del Superbonus. In effetti, nei prossimi tre anni le casse dello Stato registreranno spese per circa 30 miliardi ogni anno, che andranno a pesare sul debito. Questo però non andrà a impattare sul deficit, dato che, per decisione di Eurostat, il peso dei crediti fiscali dei bonus edilizi viene contabilizzato nel deficit dell’anno di emissione. A partire dal 2024, dunque, non si registreranno livelli molto alti di deficit a causa di Superbonus e simili. Eppure, l’indebitamento previsto resta molto alto, soprattutto considerando che, seppur a fatica, il Pil è previsto in crescita. In questi momenti, bisognerebbe concentrarsi sulla riduzione del debito, tenendo un margine per quando sarà necessario crearne di nuovo per stimolare l’economia.

La decisione di non concentrarsi sulla riduzione del debito in questo momento, ma, anzi, finanziarne di nuovo a tassi poco convenienti, rischia di essere un’enorme occasione sprecata dal punto di vista economico nel medio-lungo periodo. Non solo perché rimandare ulteriormente la riduzione del debito sarebbe sbagliato in generale, ma perché in questo periodo ci troviamo in una congiuntura molto positiva per portare avanti questo obiettivo.

Alta inflazione, basso costo del debito

Oggi il costo medio del debito è infatti molto più basso rispetto al tasso di interesse che viene applicato ai nuovi titoli di Stato. Per i Btp con scadenza a dieci anni, ossia denaro preso a prestito per un decennio, il tasso applicato oggi è pari a circa il 4,2 per cento ed è destinato a salire rapidamente. Già oggi, il rendimento dei Btp a dieci anni già presenti sul mercato è del 4,8 per cento. Il costo medio del debito, però, è più basso: circa 3,3 per cento nel 2023. Considerando che il Pil nominale (cioè in termini di prezzi) è previsto crescere del 5,3 per cento, il rapporto debito/Pil dovrebbe essere destinato a scendere: se il Pil (al denominatore) cresce più velocemente del debito (la cui crescita è data dall’interesse applicato) allora il rapporto debito Pil calerà. 

È l'“effetto palla di neve” di cui ha parlato Massimo Bordignon, Direttore dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani, in un recente articolo su lavoce.info. Oggi, anche grazie all’alta inflazione, la crescita nominale è più rapida del costo nominale del debito. Il risultato? Il Pil, che sta al denominatore nel rapporto debito/Pil, cresce, mentre il numeratore, dato dal debito, rimane più o meno costante. In questo modo, anche se la quantità di risorse che abbiamo preso a prestito non scende, il rapporto debito Pil si muove verso il basso.

Se però decidiamo di indebitarci talmente tanto da far muovere il debito alla stessa velocità del Pil, il rapporto rimarrà costante, come previsto dal Governo nei prossimi anni. Aumentando il debito, infatti, non si fa crescere solo la quantità di risorse che prendiamo a prestito (quindi il numeratore del rapporto), ma anche il costo medio del debito, dato che ci sarà sempre più debito finanziato con un tasso di interesse molto più costoso rispetto ai tassi a zero o quasi cui siamo stati abituati negli ultimi quindici anni.

La scelta di aumentare il deficit nasce dalla necessità di rispettare almeno una parte delle promesse elettorali fatte dal Governo. In assenza di grande spazio fiscale, anche a causa del peso dei bonus edilizi, l’indebitamento è necessario per raccogliere risorse, ma farlo oggi rappresenta un costo-opportunità molto più alto. L’ “effetto palla di neve”, infatti, durerà al massimo 2-3 anni. Dopo quella data, l’aumento dei tassi e la necessità di rinnovare i titoli di stato con cui si finanzia il debito porteranno al riallineamento del costo medio del debito con i tassi di interesse più alti. A quel punto, sarà necessario che il Pil reale, ossia al netto dell’inflazione, cresca più velocemente dell’indebitamento. Considerando l’alto costo degli interessi e la crescita a singhiozzo del nostro Paese, la riduzione del debito potrebbe diventare molto più complicata in futuro rispetto a quanto non lo sia oggi.

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