Il nome e il brand sono sempre molto famosi. Molte pubblicazioni, i media, le mostre, e anche la politica hanno più volte ripercorso la storia dell’azienda (o della “ditta“ come si diceva ad Ivrea) tanto da farne un mito dell’industria italiana del secolo scorso. Sembra, tuttavia, che la conoscenza si fermi, per i più, alla metà degli anni Sessanta, lasciando in ombra un trentennio di innovazione tecnologica che ha collocato l’Italia all’avanguardia nell’informatica mondiale
Il nome e il brand Olivetti sono sempre molto famosi. Molte pubblicazioni, i media, le mostre, e anche la politica hanno più volte ripercorso la storia dell’azienda (o della “ditta“ come si diceva ad Ivrea) tanto da farne un mito dell’industria italiana del secolo scorso. Anche l’Unesco ha contribuito a questo mito, attribuendo a Ivrea il titolo di “Città industriale del XX secolo”. Sembra, tuttavia, che la conoscenza di quella storia si fermi, per i più, alla metà degli anni Sessanta, lasciando in ombra un trentennio di innovazione tecnologica che ha collocato l’Italia all’avanguardia nell’informatica mondiale.
Il mito riporta infatti quasi sempre alla storia Olivetti che parte da Camillo e che trova il suo punto più celebrato con Adriano, straordinaria figura di industriale illuminato. I prodotti iconici e presenti in molti musei, dalla Lettera 22 alla Divisumma MC24 hanno fatto il resto.
Molto è stato scritto anche sulla grande stagione della Divisione Elettronica, nata negli anni Cinquanta e, a proposito di miti, con Enrico Fermi fra gli ispiratori. Questa vicenda si chiude nel 1965 con la cessione, prima parziale e poi totale, alla General Electric. Ma nel ‘65 Adriano Olivetti è già scomparso da cinque anni.
Un’altra vicenda di grande visibilità della storia Olivetti, dopo l’abbandono della Divisione Elettronica fu la P101, il primo calcolatore da tavolo programmabile, con stampante incorporata e lo splendido design di Mario Bellini. Anche in questo caso il mito si alimenta delle modalità di sviluppo semi-clandestine, e poi del successo con l’adozione da parte della NASA per il progetto Apollo che porterà nel 1969 l’uomo sulla luna. La narrazione corrente spesso identifica la P101 come il primo personal computer della storia con molto anticipo sui primi modelli Apple e IBM. I puristi storcono un po’ il naso su questa affermazione, ma il mito rimane e anche il rimpianto di non averne assicurato un’adeguata continuità. Ma era il 1965.
Dal 1970
Le attività Olivetti del successivo trentennio hanno avuto, al contrario, una scarsa, quasi nulla, visibilità. Un convegno che si è tenuto a Ivrea lo scorso 29 maggio, dal titolo “Gli anni straordinari dell’Informatica Olivetti 1970-90” ha inteso riportare alla luce queste attività, dimostrando quanto di innovativo e perfino pionieristico questa azienda sia stata in grado di sviluppare e di portare sul mercato dell’informatica mondiale.
Il riferimento bibliografico principale è stato il libro molto documentato di Gianfranco Casaglia Informatica Olivetti 1970-1998 (Edizioni di Comunità). Il convegno, promosso dalle Spille d’Oro Olivetti, ha visto l’intervento di molti dei protagonisti di quel periodo che hanno illustrato con presentazioni vivaci e con informazioni spesso inedite, il ruolo di primo piano raggiunto dalla Olivetti nel quadro delle aziende mondiali di informatica, testimoniato anche da un’intervista rilasciata per l’occasione da Federico Faggin, a proposito di miti. L’intero convegno, intervista inclusa, è sul sito Nexture.
L’occasione aggregante è stata la scomparsa recente di Sandro Osnaghi, una delle figure preminenti nell’informatica italiana aziendale e accademica.
Partendo dai primi anni ’70, Franco Marra ha fornito un inquadramento storico della tecnologia digitale di quel decennio in cui emergono i concetti di informatica distribuita, leitmotiv di Olivetti contro concezioni più centralizzate di altri produttori. John Lomas ha illustrato lo sviluppo della “Nuova Linea Sistemi” e il sistema operativo MOS, piattaforma real-time con caratteristiche innovative per applicazioni commerciali, sviluppato anche con la collaborazione di enti accademici USA prestigiosi, che anticipò funzionalità che sarebbero diventate poi comuni ai sistemi informatici solo molti anni dopo. Una presenza fondamentale in queste attività si chiama Clara Mancinelli, stretta collaboratrice di Osnaghi, tradizionalmente riluttante alla ribalta ma richiamata più volte nelle presentazioni.
Fu una fase di crescita non solo tecnologica ma più in generale culturale di un gruppo di giovani progettisti (stavano arrivando le prime leve delle facoltà di informatica italiane ad affiancare i colleghi usciti da ingegneria, fisica, matematica e dai migliori istituti) che pur tra molte difficoltà riuscirono a recuperare il gap che li divideva dalle realtà americane e porsi in testa alle realtà europee.
L’Intelligenza Artificiale
Prova ne sia una forte attenzione agli strumenti di sviluppo più avanzati ed inseriti in quella che venne chiamata Software Factory (una vera fabbrica organizzata, che arrivò a mettere in collegamento 2000 progettisti in varie sedi italiane con i colleghi di Cupertino in California e in Giappone) insieme a un lavoro molto innovativo sui linguaggi di programmazione di alto livello, illustrato da Gianluigi Castelli.
Sempre negli anni Ottanta furono avviate, ricorda Enrico Frascari, importanti attività nell’area dell’Intelligenza Artificiale, ora molto citata fra attese messianiche e pregiudizi etici, ma allora un tema praticamente sconosciuto; non solo sperimentazioni ma applicazioni reali per alcune grandi banche italiane.
Naturalmente i progetti devono tradursi in prodotti da portare sul mercato. Se l’Europa era il «mercato domestico», Tonina Scuderi e Cesare Monti hanno testimoniato come furono portati i prodotti della linea TC800 e della Nuova Linea Sistemi alle Nokyo, complessa organizzazione giapponese un po’ banca (per la capillarità fu definita la più grande banca del mondo), agenzia assicurativa e consorzio agrario, il tutto in katakana/kanji (per inciso, la Olivetti Corporation of Japan esiste tuttora). Non meno complessa si rivelò la fornitura all’israeliana Bank Leumi di 2000 posti di lavoro in un contesto economico locale segnato da un’altissima inflazione. Il successo di questa installazione spinse un’altra grande banca europea, la olandese ABN poi ABN/AMRO, come testimoniato da Vincenzo Baruzzi, a scegliere i prodotti Olivetti, mentre nel CdA della Banca sedevano i rappresentanti della Philips.
L’integrazione con la comunicazione
Il quadro complessivo è infine descritto da Gianfranco Casaglia che ha saldato i vari temi illustrati con gli altrettanto interessanti sviluppi Hardware e di Networking, con gli sviluppi in parallelo dei personal computer che, grazie agli accordi con AT&T, portarono la Olivetti nelle posizioni di vertice dei produttori mondiali dei PC, e con la convergenza fra Mini e PC verso le applicazioni Personal for Banking.
L’architettura complessiva, Open System Architecture, presentata nel 1987, può essere considerata il punto concettualmente più alto raggiunto negli anni dell’Informatica Olivetti. Datamation, autorevole magazine, nell’ottobre 1991 presentò OSA come “a generation ahead“ e collocò la Olivetti al 10° posto del ranking mondiale delle aziende di informatica.
Per molteplici motivi negli anni ’90 inizia una fase di grave crisi del settore, molte aziende sia in Europa che in USA escono dal mercato, altre cercano di riposizionarsi con strategie diverse. La Olivetti imboccò la strada della integrazione fra l’informatica e le telecomunicazioni. Come poi andò è un’altra storia, ancora da raccontare.
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