La legge di Bilancio divide sempre più i cittadini di fronte al fisco tra chi paga di più per i servizi pubblici di tutti e chi paga meno. Sul fronte dei pagamenti e dei condoni rischia di «entrare in contrasto con la spinta alla modernizzazione del paese» e con l’esigenza di ridurre l’evasione fiscale. Il governo, nel mezzo della crisi inflazionistica, deve prendersi la responsabilità della riforma del Reddito di cittadinanza, definito «una tappa fondamentale nel percorso di ammodernamento del nostro sistema di welfare».

I tecnici che Giorgia Meloni ha prima criticato e poi corteggiato invano per la formazione del suo governo hanno snocciolato nelle audizioni di ieri sulla legge di Bilancio le verità che la premier non vuole sentirsi dire.

Di fronte ai soli sette parlamentari delle commissioni congiunte Bilancio di Camera e Senato che si sono presentati alle 9 di lunedì mattina, Banca d’Italia ha ribadito che «i limiti all’uso del contante, pur non fornendo un impedimento assoluto alla realizzazione di condotte illecite, rappresentano un ostacolo per diverse forme di criminalità ed evasione».

Non poteva essere altrimenti, visto che l’istituto lo aveva già spiegato al parlamento nel 2021 e che almeno quattro studi pubblicati negli ultimi due anni e basati su dati italiani – il più citato pubblicato proprio da Banca d’Italia – arrivano a conclusioni simili: pur non essendo una soluzione definitiva, i pagamenti elettronici sono in ogni caso un ostacolo all’evasione e alle attività illecite.

Analisi tecnica

Le osservazioni di ieri di Istat, Banca d’Italia e Ufficio parlamentare di bilancio sulla manovra risultano più rilevanti perché sono analisi complessive che promuovono aspetti della manovra, per esempio la prudenza nei saldi, ma che danno un quadro chiaro delle scelte politiche.

Gli aiuti contro il caro energia dei primi tre mesi sono destinati per 10 miliardi ai crediti di imposta per le imprese, per 5,6 miliardi per la riduzione dell’Iva sui prodotti energetici e per 2,5 miliardi all’estensione e potenziamento dei bonus sociali.

Una spesa che secondo Federico Balassone di Bankitalia non potrà essere replicata in deficit per i prossimi mesi e per cui quindi dovranno essere trovate ulteriori entrate o riduzioni di spesa per eventuali proroghe.

Al momento le entrate della legge di Bilancio sono state trovate soprattutto grazie alla revisione dell’indicizzazione delle pensioni, che da sola porta un risparmio di 1,3 miliardi nel 2023 e 2,7 miliardi nel 2024-2025.

E tramite nuove imposte temporanee sui produttori di energia che dovrebbero far entrare almeno 4 miliardi di euro nelle casse dello stato, di questi 2,6 miliardi di euro del nuovo contributo di solidarietà sugli extraprofitti – finalmente riscritto secondo gli standard europei – ma da cui il governo ha deciso di incassare meno della metà di quanto avrebbe voluto fare il precedente.

Alla ricerca di fondi, il governo ha però rinunciato a 1,1 miliardi solo con «la riduzione delle entrate previste per il pacchetto di norme in materia di accertamento, contenzioso e riscossione» e a 1,9 miliardi di euro in tre anni per le due flat tax, per un totale di 3 miliardi di euro (più dei bonus sociali).

Con l’effetto di dividere ancora di più tra cittadini arbitrariamente avvantaggiati e svantaggiati. Nelle parole di Banca d’Italia: «La discrepanza tra il trattamento tributario tra lavoratori dipendenti e autonomi e, all’interno di questi ultimi, tra contribuenti soggetti al regime forfettario e contribuenti esclusi, è accresciuta».

Flat tax a beneficio di 60mila persone

Upb e Istat hanno fornito i numeri. Secondo l’ufficio parlamentare di bilancio dalla flat tax trarrebbero beneficio circa 60mila soggetti con un beneficio medio complessivo «pari a circa 7.700 euro, di cui circa 5.900 derivano dal passaggio dall'Irpef alla tassazione sostitutiva, circa 1.050 dalla riduzione dei contributi e circa 750 dall'esenzione dal regime Iva».

Secondo l’Istat, soltanto per i redditi più bassi, cioè quelli inferiori a 10mila euro, i lavoratori autonomi pagano più tasse degli altri. Per tutte le altre fasce di reddito la quota di imposte sui lavoratori dipendenti è progressivamente più elevata, e «arriva a superare i sette punti percentuali di differenza per i redditi superiori ai 30mila euro».

Al lavoro dipendente la manovra destina 4,2 miliardi per il taglio temporaneo al cuneo fiscale del 2 per cento (3 per i redditi più bassi), solo che l’Istat fa notare anche che tra 2007 e 2019 i contributi sono cresciuti del 2 per cento, le imposte in media dell’8 e la retribuzione netta si è ridotta del 7 per cento.

Poi c’è chi il lavoro non ce l’ha ed è difficile che lo abbia. Nonostante la premier Meloni abbia proclamato l’abolizione del Reddito di cittadinanza, Banca d’Italia con la sua cautela dice che con la “riforma” futura c’è l’opportunità di migliorarlo. Ma non può non sottolineare il rischio di «aumento dell’indigenza nelle aree dove il reddito di cittadinanza è più diffuso e il mercato del lavoro strutturalmente malfunzionante».

E il taglio già previsto per il 2023, basato su caratteristiche di età e salute, lascerà senza rete cittadini difficilmente occupabili, e sempre per usare le definizioni asettiche di Banca d’Italia, «per di più in un contesto di rallentamento dell’economia e con un costo della vita in significativo aumento».

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