Per avere un’idea dell’impatto che la rivoluzione elettrica avrà sull’industria italiana dell’auto bastano due numeri: in una Panda con motore tradizionale prodotta a Pomigliano l’80 per cento dei componenti sono fatti in Italia; in una 500 a batteria nata a Mirafiori la parte italiana scende al 60 per cento, e non è quella che vale di più.

In una vettura elettrica infatti la batteria è la componente più importante e più cara, rappresenta tra il 25 per cento e il 40 per cento del costo totale del veicolo, e quella della 500 è targata Samsung. Altrettanto importanti sono il sistema di trazione (powertrain) e il convertitore che modula l’energia dalla batteria al motore: entrambi sono realizzati, per ora, all’estero.

Legati al motore

Il mondo dell’auto corre a tutta velocità verso un futuro elettrificato e l’Italia è costretta a inseguire per recuperare il terreno perduto. Il nostro paese ha un tessuto ricchissimo di produttori di motori e di componentistica, in grado di costruire quasi tutti i pezzi di una vettura o di un furgone, dai cilindri e le testate fino ai sedili e ai fanali.

Un sistema fondamentale per l’economia nazionale, formato da 2.203 imprese, di cui un terzo in Piemonte, che nel 2020 hanno generato un fatturato di circa 44,8 miliardi di euro dando lavoro ad oltre 161mila persone. Un settore importante e indebolito, che ha sofferto per la crisi del Covid e che si sente più solo dopo che Fca è entrata a far parte del gruppo Stellantis a trazione francese. E che è ancora troppo legato al vecchio propulsore a scoppio.

A rischio estinzione

In un’indagine condotta dall’Anfia (l’associazione dell’automotive italiano) su 477 imprese della componentistica, la percentuale di fornitori che si descrivono come posizionati sul comparto dei motori a benzina e diesel rimane infatti molto elevata, rispettivamente del 72,8 per cento e 77,9 per cento. In futuro l’85 per cento dei pezzi che compongono il sistema di propulsione diverrà obsoleto: e proprio qui si concentrano circa 70mila addetti, quasi la metà dei dipendenti del settore in Italia.

All’interno del perimetro della ex Fca, ora Stellantis, ci sono gli stabilimenti di Cento, in provincia di Ferrara, dove si costruiscono grossi propulsori diesel; di Pratola Serra, in provincia di Avellino, dedicato ai motori diesel per la Sevel; e poi Termoli in Molise. Tutti destinati a fare la fine dei dinosauri.

La filiera

Fuori dai cancelli c’è il grande universo dei fornitori cresciuti sotto mamma Fiat. Per anni costretti a sottostare al monopolio governato dagli Agnelli e di conseguenza la loro produzione è stata incanalata lungo i piani strategici decisi a Torino. Per fortuna molte di queste aziende hanno cercato nuovi clienti all’estero, e l’Italia è diventata uno dei fornitori più importanti delle case tedesche.

Alcuni come Brembo o Adler sono diventati delle grandi multinazionali. Ma il grosso della nostra componentistica è stato a lungo condizionato dalle richieste della Fiat. E se oggi la nostra industria è poco presente nelle motorizzazioni ibride ed elettriche è proprio perché anche di recente, sotto il comando di Sergio Marchionne, il gruppo Fca non ha investito in questa direzione: oggi in Italia Stellantis produce solo quattro auto elettrificate, la 500, la Panda ibrida e due modelli Jeep ibridi. «Manca la locomotiva che traini i vagoni dei fornitori verso il futuro» sostiene Massimo Bardissone, amministratore delegato della società di consulenza Mec specializzata nell'analisi costi, «e ora l’intera filiera è in ritardo».

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Possibile sviluppo

È possibile che la componentistica italiana, forte nella meccanica, possa trasformarsi in un’industria protagonista nell’elettrificazione? Alcuni segnali positivi ci sono. Dall’indagine dell’Anfia risulta per esempio che la percentuale dei fornitori che lavorano sui powertrain elettrificati è alta, pari al 47,5 per cento. Ma le imprese non possono farcela da sole, ci vuole un piano nazionale che le indirizzi verso degli obiettivi da raggiungere.

«Il futuro della filiera italiana» scrivono Anna Moretti e Francesco Zirpoli dell’Università Ca’ Foscari di Venezia in un documento dell’Anfia «si giocherà sulla capacità di creare programmi di sviluppo e attrazione di investimenti diretti dall’estero, di favorire la crescita di fornitori che attraverso l’internazionalizzazione possano fungere da national champion capaci di trainare i “pezzi” meno avanzati della filiera e di costruire reti per l’innovazione che sappiano coniugare ricerca di eccellenza e sviluppo industriale sulle nuove tecnologie».

Le possibilità

Uno dei primi obiettivi è realizzare in Italia le batterie. Stellantis ha in programma un impianto di assemblaggio a Mirafiori e una vera e propria gigafactory a Termoli, dove oggi si costruiscono motori. La Fib Faam del gruppo Seri Industrial partecipa al programma europeo Ipcei per favorire lo sviluppo di una battery value chain continentale: l’azienda ha aderito al programma nel 2019 con un investimento di 505 milioni di euro per la realizzazione di una gigafactory in Campania.

Quest’estate è nata la join venture Power4Future, per iniziativa di Fincantieri e Faist Electronics, controllata di Faist Group, e dedicata allo sviluppo e alla fornitura di sistemi di accumulo di energia elettrica e dispositivi elettronici di controllo e potenza. La divisione e-Traction di Italdesign-Giugiaro ha avviato una collaborazione per lo sviluppo di batterie al grafene per l’automotive. In Piemonte la Italvolt dovrebbe realizzare nel comprensorio ex Olivetti di Scarmagno (Torino) un’altra gigafactory, da far partire nel 2024.

Nell’elettronica per auto l’Italia può contare su aziende forti come Magneti Marelli (seppur controllata dai giapponesi della Ck Holdings) e St Microelectronics; nei sistemi frenanti di nuova generazione c’è Brembo; il gruppo Ima è entrato con Atop nel settore dei macchinari che producono componenti per motori elettrici; in questo mercato è presente anche la Eurogroup, che non riesce a star dietro agli ordini e che vedrà il suo fatturato passare dai 424 milioni del 2020 ai 580 quest’anno; la Dell’Orto ha investito sul thermal management, e cioè su un sistema di raffreddamento per le batterie.

Nel campo delle colonnine e dei wall box da installare in casa c’è il caso interessate della multinazionale svizzero-svedese Abb che in Toscana ha il suo stabilmento più grande al mondo. Nello stesso settore sono presenti molti imprese italiane, dalla Fimer alla Gewiss fino alla Alpitronic.

Le incertezze

L’elenco potrebbe continuare a lungo, dalla Automobili Estrema del Trentino-Alto Adige che produce hypercar elettriche, fino alla Xepics umbra, che realizza sistemi di ricarica di batterie.

L’associazione Motus-E che riunisce le aziende attive nella mobilità elettrica, ha mappato oltre 320 imprese presenti nell’automotive e il loro numero continua a crescere. Ma ci sono anche tanti imprenditori che potrebbero fare il salto verso il mondo dell’auto elettrica e non si fidano, c’è troppa incertezza: per esempio chi produce motori elettrici per altre industrie, come gli elettrodomestici, magari non se le sente di entrare in un settore con margini risicati e rischi alti come quello dell’automobile. Lasciando così ad altri intere praterie da conquistare.

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«Bisogna far crescere le aziende» è la tesi di Francesco Naso, segretario generale di Motus-E, che descrive così la situazione in Italia: «Ci sono grandi gruppi che hanno capito in quale direzione andare e investono, come Ima, Eurogroup o Brembo. Ci sono poi micro-imprese molto attive, specializzate in alcuni componenti, che stanno cavalcando senza problemi la transizione. Invece tante aziende piccole e medie sono in difficoltà, si sentono abbandonate e non riescono a cogliere le opportunità offerte da questa rivoluzione. Mancano gli obiettivi che dovrebbero essere dati dal governo: il tavolo al ministero dello Sviluppo economico sull’automotive è in grave ritardo».

Nel giro di un decennio si conteranno vinti e vincitori. E se mancano i leader capaci di dirigere le truppe verso le nuove tecnologie, l’industria italiana della componentistica rischia grosso: il pallino ora è in mano a Stellantis e al governo.

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