Tra le conseguenze della politica monetaria, alzare i tassi per combattere l’inflazione – oggi ai massimi di quaranta anni – c’è il calo dei prezzi di tutte le attività finanziarie, soprattutto bond e obbligazioni.

Per la Bce ciò si è tradotto in una forte svalutazione dei titoli in portafoglio, acquistati a suon di centinaia di miliardi nell’ambito dei programmi di quantitative easing dal 2015 in poi. Potrebbe sembrare una questione tecnica ma non lo è: che la Bce abbia accumulato uno spropositato tesoro titoli del valore complessivo di cinque trilioni (5mila miliardi di euro) va di pari passo con l’impennata dei prezzi di pane, pasta, latte e altri prodotti. L’attuale ondata inflattiva i banchieri centrali non solo non l’hanno prevista né ostacolata, ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina, hanno anzi contribuito a incendiarla tramite tassi d’interesse a zero o sottozero per troppo tempo.

Così, mentre cercano di svolgere il loro compito per ripristinare la stabilità dei prezzi, i signori del denaro si trovano ora con buchi di bilancio di una magnitudine senza precedenti. Un clamoroso ribaltamento di scenario. I banchieri centrali erano stati applauditi come i salvatori del sistema finanziario globale. A loro è stato attribuito il merito di mantenere le economie in movimento e le banche a galla dopo la grande crisi del 2008-10, aiutando poi i governi in tempi di recessione e pandemia ad evitare il default sui titoli di stato (l’Italia ringrazia). La domanda è: adesso, dobbiamo preoccuparci?

I numeri

Qualche numero può chiarire il quadro. Stando alle stime, i principali istituti centrali dell’occidente dovranno affrontare perdite potenziali cumulative di oltre 1 trilione di dollari. Il colpo più pesante lo ha accusato la Banca nazionale svizzera (Bns) che per il 2022 annuncia un disavanzo record: 132 miliardi di franchi, il 18 per cento del Pil. Nell’area euro la Deutsche Bundesbank, la Nederlandsche Bank e la Banca del Belgio sono state le prime a prevedere una posizione patrimoniale negativa (la Banca d’Olanda con un rosso di nove miliardi).

La Banca d’Italia riuscirà forse a malapena a chiudere il 2022 in pareggio, lo sapremo a maggio con le considerazioni finali del governatore Ignazio Visco (le sue ultime). La Banca d’Inghilterra stima perdite per 11 miliardi di sterline, ma fino al 2028 il Tesoro britannico si prepara a finanziare con 133 miliardi il passivo, più che annullando i guadagni dei precedenti 13 anni. Nel resto del mondo la situazione non è migliore. In Australia un deficit di 36,7 miliardi ha azzerato le riserve della banca centrale.

Negli Stati Uniti, la Federal Reserve opererà in rosso per almeno un triennio con una passività stimata tra i 60 e i 100 miliardi di dollari. La Bce non ha ancora fornito cifre ma diverse fonti confermano che le cose non stanno andando bene neanche a Francoforte. Secondo alcune stime l’eurosistema potrebbe dover affrontare nei prossimi nove anni perdite totali pari a 600 miliardi.

Per ironia della sorte, nell’area euro i maggiori disavanzi ricadono sulle spalle di nazioni con il miglior rating sul credito – le “frugali” Germania, Olanda, Austria e Finlandia – prudenti dal punto di vista fiscale e animate da scetticismo sugli acquisti di attività tramite il Qe. I loro bond, prezzati meglio, spesso offrivano coupon negativi, per cui origineranno passività più grandi. In Italia la situazione è meno grave, i tassi offerti dai Btp rastrellati dalla Banca d’Italia sono rimasti più alti rispetto a quelli analoghi di altri paesi Ue.

Banca d’Italia

In dettaglio, il patrimonio di via Nazionale a fine 2021 risultava di oltre 26 miliardi (di cui 7,5 di capitale) «una cifra sufficiente ad affrontare con tranquillità le perdite attese e garantire stabilità e indipendenza» sostiene Rony Hamaui, professore presso l’università Cattolica del Sacro cuore di Milano. «Tuttavia, se l’inflazione richiedesse un più forte e prolungato aumento dei tassi, la situazione finanziaria della Banca d’Italia diventerebbe più critica». Certo è che gli oltre 170 “azionisti” privati di Bankitalia a cui ogni anno finora è stato distribuito un ricco dividendo (340 milioni), dovranno presto rinunciarvi o mettere in conto una drastica sforbiciata.

Ognuno per sé

Il pericolo per le banche centrali non è che falliscano, perché in ogni caso stampano denaro e in quanto autorità monetaria non possono rimanere senza moneta. Ma la questione di come si sono formate queste spettacolari perdite è politicamente sensibile. Soprattutto nell’eurozona. Poiché alla Bce manca una controparte politica, i singoli istituti nazionali dovranno fronteggiare le passività ciascuno a modo suo.

Ecco perché il tema non dovrebbe essere liquidato con troppa disinvoltura come fanno i difensori del Qe. Oltre al brutto colpo per la reputazione già scossa (non avendo saputo né prevedere né ridurre rapidamente l’inflazione) i buchi di bilancio potrebbero intaccare l’indipendenza degli istituti centrali esponendoli a pressioni politiche, anche nel caso di iniezioni di capitale a condizioni che ne indebolirebbero l’autonomia.

E infatti, i governi alzano la voce e si sentono autorizzati ad attaccare. In Francia il presidente Emmanuel Macron e in Italia il ministro Guido Crosetto (ha “esternato” come fosse lui titolare del Tesoro bypassando Giancarlo Giorgetti) hanno aspramente criticato la presidente della Bce, Christine Lagarde, intimandole di rallentare il ritmo del rialzo dei tassi Ue per non soffocare la crescita. La Bce prevede un altro aumento a marzo di 0,50 al nuovo massimo di 3,50 per cento, e la stima è di ulteriori incrementi successivi.

In conclusione, ci eravamo tutti imbevuti dell’idea che le banche centrali fossero infallibili. Esattamente il contrario. Per questo si spera che abbiano imparato la lezione. La prossima volta che utilizzeranno strumenti non convenzionali di politica monetaria con importanti implicazioni fiscali, dovrebbero essere più trasparenti sui rischi e mostrare più cautela nell’assumerseli.

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