Il crollo di SVB, seguito da Credit Suisse, ha aumentato la volatilità dei titoli bancari europei che da quel momento hanno perso in media il 12 per cento, mentre l’indice EuroStoxx è salito di quasi due punti. Ne hanno risentito anche le assicurazioni, che nel periodo hanno perso il quattro per cento: investono principalmente in obbligazioni a lungo termine, maggiormente colpite dall’aumento dei tassi, e analogamente alle banche operano con una leva elevata e gestiscono il risparmio.

Le compagnie assicurative sono meno rischiose delle banche perché le polizze non si possono muovere a vista come i depositi e perché, a differenza delle banche che raccolgono a breve per investire a lungo, mantengono la durata degli attivi in linea con quella del debito.

Ciononostante, esiste un rischio di contagio e di crisi sistemica anche per loro, giustificando la regolamentazione dell’industria e che, come nel caso delle banche, di recente ha mostrato qualche crepa. Emblematico il caso di Eurovita, un’assicurazione italiana posta in amministrazione straordinaria dal regolamentatore (Ivass) lo scorso 29 marzo.

Eurovita opera prevalentemente nel ramo vita, con un attivo di circa 20 miliardi, nata con l’acquisizione di Ergo Previdenza nel 2016 da parte del fondo di private equity Cinven, per poi espandersi rapidamente con l’acquisto di Eurovita (da cui prende il nome) e Old Mutual Wealth nel 2017, e Pramerica nel 2020. Le polizze sono distribuite per il 60 per cento da banche: sia piccolissime (banche di credito cooperativo) sia di media dimensione; il resto da reti di promotori e agenti. Una raccolta quindi fatta prevalentemente presso piccoli risparmiatori.

Le criticità del bilancio 2021

Nell’ultimo bilancio disponibile, al 31 dicembre 2021, già emergevano criticità. Una leva totale, cioè rapporto tra attivi e patrimonio, eccessiva: 39 volte, rispetto alle 21 volte delle maggiori compagnie europee e alle 15 volte medio di Intesa e Unicredit, a confermare che il private equity non è l’azionista ideale in un settore che strutturalmente opera con una leva elevata.

Una redditività sul capitale insufficiente: inferiore al due per cento a fine 2021, a rivelare un modello di business troppo costoso e una politica degli investimenti discutibile, con la gestione di 18 miliardi di titoli interamente delegata a due soli gestori (Goldman Sachs e BNP), e investimenti illiquidi, principalmente nel private debt, per oltre 600 milioni a fine 2020, svalutati per ben 358 nel 2021.

Infine, un indice di patrimonializzazione (Solvency Capital Ratio) di 133, inferiore al 150 auspicato dal regolatore proprio per cautelarsi contro shock inattesi che sarebbero arrivati di lì a poco. Ironicamente, nel febbraio 2022 quei risultati fanno vincere a Eurovita il premio Leone d’Oro di Milano Finanza come “migliore compagnia per il risparmio e gli investimenti assicurativi”.

Non sorprende invece che già a fine giugno 2022 (ultimo dato disponibile) Eurovita abbia un utile contabile di appena 7 milioni, che però non tiene conto di 257 milioni di minusvalenze latenti su titoli. La raccolta premi nel semestre è crollata del 25 per cento, molto più della media di settore, anche a causa di un aumento dei riscatti che deve aver fatto temere una “corsa alla polizza”, con rischio contagio, se il 6 febbraio scorso l’Ivass è intervenuta per sospendere i riscatti, pur previsti dalle clausole contrattuali, fino al 30 marzo; per poi commissariare Eurovita e rinnovare il blocco dei riscatti fino al prossimo 30 giugno, evidentemente alla ricerca di chi rilevi la compagnia e garantisca i soldi degli assicurati.

La procedura che non c’è

Perché si è aspettato così tanto per intervenire, estromettere il fondo azionista e cercare di fatto un compratore? Già a giugno era chiaro che aumento dei tassi e volatilità dei mercati avrebbero messo in crisi una compagnia finanziariamente così debole. Il ritardato intervento ha pertanto costretto a bloccare i riscatti, segno di una crisi di liquidità in corso, che avrebbe portato la compagnia all’insolvenza. Ma il blocco espropria gli assicurati del diritto di disporre liberamente dei propri risparmi, seppur temporaneamente: così si riduce il valore della compagnia per l’acquirente (quanti aspettano il 30 giugno per scappare?) e si costituisce un pericoloso precedente che rischia di macchiare la reputazione di una delle principali forme di risparmio.

Infine Eurovita è di fatto fallita e bisognerebbe chiedersi se in casi come questi non sarebbe meglio dotarsi di una rapida procedura di risoluzione, senza aspettare di arrivare alla crisi di liquidità e al blocco dei riscatti.

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