La decisione della Regione Piemonte di bloccare nei mesi più freddi la circolazione dei veicoli diesel Euro 5 a Torino e comuni limitrofi ha sollevato un prevedibile vespaio di polemiche, come già era successo un anno fa con lo stop all’ingresso a Milano degli stessi veicoli stabilito dal sindaco Sala. La polemica arriva a poche settimane dall’entrata in vigore dalla delibera, ma a oltre due anni dalla sua adozione, che risale al 6 agosto 2021, varata a seguito di una sentenza della Corte di giustizia europea.

I giudici del Lussemburgo hanno condannato l’Italia per il mancato rispetto continuativo del valore limite annuale (40 microgrammi per metro cubo) fissato per la concentrazione di biossido d'azoto (NO2) in varie zone fra cui le aree di Torino e Milano e per la mancata adozione, a partire dal 2011, di misure atte a ridurre le emissioni di questo gas.

A seguito della sentenza della Corte Ue era stato chiesto alle regioni del bacino padano di irrigidire le misure anti-smog e anticiparle, come il blocco dei motori diesel Euro 5 che era previsto in origine per il 2025; il Piemonte si era adeguato. Il governo ha però annunciato l’intenzione di fermare il blocco fino al 2025 quando anche le altre regioni del bacino padano (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) dovranno adeguarsi.

Doppiamente vittime

Il tema è sempre lo stesso: il contrasto fra le misure prese a tutela della salute dei cittadini e l’impatto economico su quella parte dei cittadini (in questo caso i proprietari dei diesel Euro 5) costretti a cambiare auto o a utilizzare altri mezzi di trasporto.

Con una considerazione quasi sempre trascurata: i diesel Euro 5 sono proprio quelli oggetto del dieselgate, la truffa perpetrata da quasi tutti i costruttori sulle emissioni nocive, truffa per la quale – almeno in Italia – non sono stati per ora concretamente penalizzati.

È vero che i provvedimenti presi finora da alcuni comuni e regioni nel nord Italia sono fra i più severi d’Europa: in Germania, per esempio, gli Euro 5 diesel sono stati finora bloccati solo su base locale in aree limitate di singole città.

È però altrettanto vero che la Pianura Padana è fra le regioni più inquinate del continente, ed è noto che i veicoli a motore diesel in aree urbane contribuiscono in percentuali significative (oltre il 50per cento) alla concentrazione di sostanze nocive come gli ossidi di azoto (NOx).

Gli Euro 5 in circolazione sono vetture che hanno da 8 a 12 anni di età; il passaggio definitivo al più severo standard Euro 6 risale al 1 settembre 2015, pochi giorni prima che scoppiasse lo scandalo dieselgate.

Come i test post-dieselgate hanno dimostrato, i diesel Euro 5 di quasi tutti i costruttori superavano i test di legge ma in condizioni d’uso normali emettevano fino a 10 volte i limiti di legge alle emissioni di ossidi di azoto, grazie a dispositivi che riuscivano a identificare i test sulle emissioni, “staccando” i controlli al di fuori di essi; oppure li attenuavano a temperature basse come quelle invernali. Le emissioni in eccesso sono particolarmente dannose in ambiente urbano e d’inverno.

I risarcimenti

Molti costruttori hanno pagato per la truffa miliardi di dollari di multe e risarcimenti negli Usa (dalle decine di miliardi di Volkswagen al miliardo circa di Stellantis, per i diesel venduti da Fca). Anche in Germania vari costruttori (tra cui Vw e Mercedes) sono stati multati e in alcuni casi sono stati costretti a risarcire i clienti a seguito di cause collettive (class action). Stellantis è indagata in Francia insieme a Renault e Volkswagen per possibile frode ai consumatori, e inchieste giudiziarie sono ancora aperte in vari paesi europei, compresa l’Italia.

Da noi i vari governi hanno sempre “coperto” le responsabilità di Fiat (ora Stellantis). Il rapporto sui test effettuati in Italia dopo il dieselgate fu di fatto insabbiato; ministro dei Trasporti era allora Graziano Delrio (Pd).

Un grimaldello per la destra

La quota di mercato dei diesel toccò in Italia livelli record, fino al 57 per cento delle vendite, appena dopo il dieselgate, e si è poi ridotta poco sotto al 20 per cento (19,1 per cento) nei primi sei mesi del 2023 ma resta superiore al 18 per cento della Germania, 13 per cento della Spagna, 10,5 per cento della Francia e meno del 4 per cento nel Regno Unito.

Con questi numeri, qualsiasi limitazione all’utilizzo è destinata in Italia a provocare reazioni più accese che altrove, e la destra è pronta a utilizzare questi temi nella campagna per le elezioni europee dell’anno prossimo.

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