«Un occhio di riguardo per i nostri artisti che ci fanno tanto divertire». Le parole di Giuseppe Conte pronunciate in una diretta durante il lockdown risuonano in queste ore in cui i sindacati fanno notare con preoccupazione che nella legge di Bilancio in discussione tra governo e parlamento è sparita la misura per l’indennità di discontinuità per i lavoratori dello spettacolo.

Nello stesso momento durante la festa di Fratelli d’Italia il presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone, ha annunciato che non ci sarà più il Fus, il fondo unico per lo spettacolo e che i teatri privati si finanzieranno con il tax credit. Il ritornello è insomma sempre quello: la cultura è l’ultima cosa a cui pensare.

«Non facciamo altro che inseguire le dichiarazioni – spiega Sabina Di Marco segretaria nazionale di Slc-CGIL – anche il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano aveva detto che avrebbe sostenuto l’indennità di discontinuità e il dibattito in fase di approvazione della legge di Bilancio sta andando in tutt’altra direzione. Si tratta di una misura fondamentale, innovativa per il nostro paese che ci metterebbe al pari con gli altri paesi europei, invece da giorni stiamo chiedendo un incontro al ministro senza ricevere risposta».

L’indennità di discontinuità è la misura centrale del nuovo ddl spettacolo che riguarda i lavoratori della cultura e che è stato approvato lo scorso luglio, ma ancora mancano i decreti attuativi su cui però si starebbe lavorando.

«Già con l’approvazione del disegno di legge avevamo immesso dei fondi per il 2022, 40 milioni di euro – spiega Fabio Scurpa coordinatore nazionale Slc-Cgil – che abbiamo visto essere insufficienti. Nella finanziaria di quest’anno ci sarebbero dovuti essere 200 milioni di euro e in quella prossima 400 milioni di euro».

Con questo finanziamento si dovrebbe creare un reddito per i momenti in cui un lavoratore dello spettacolo necessariamente deve stare fermo: finisce un film e si fanno i provini per il prossimo ingaggio, si studia per un nuovo spettacolo, si scrive un testo. Tempo necessario per il lavoro creativo ma che, attualmente, non viene mai pagato.

Emergere dal nero

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I dati della Cgil dicono che nel 2021 il numero di lavoratori dello spettacolo con almeno una giornata retribuita nell’anno è di 312.123 unità, con una retribuzione media annua di 10.287 euro e un numero medio annuo di 86 giornate retribuite. «I lavoratori che hanno lavorato però almeno 40 giorni, che è il minimo per avere l’indennità, saranno verosimilmente la metà», dice Scurpa.

«Secondo le nostre stime – dice ancora Sabina di Marco – la misura si autofinanzierebbe con il Fondo dei Lavoratori dello Spettacolo, l’ex Enpas ora nell’Inps, e spingerebbe gli artisti a emergere dal nero perché più giornate pagate si lavorano, migliore è l’indennità di discontinuità».

Non è assistenzialismo, tendono a precisare dal sindacato, si tratta di mettere a sistema il mondo dello spettacolo, in cui c’è tanto nero e informalità. Il modello è quello degli intermittents du spectacle francesi.

«Siamo gli ultimi tra i nostri fratelli europei a non avere la riconoscibilità della discontinuità – spiega Luigi Tabita, rappresentante attori e attrici sempre per la Cgil – il nostro lavoro dura pochissimo: un mese, due mesi e poi c’è una fase della preparazione che non viene mai considerata».

La media sono due ingaggi all’anno con un contratto di due mesi, racconta Tabita, attore di cinema e teatro da ormai vent’anni. «Quando abbiamo creato i bonus per gli artisti e lavoratori dello spettacolo, durante il Covid, abbiamo messo come premessa per ottenerlo quella di aver lavorato almeno 30 giorni e abbiamo avuto problemi perché la maggior parte degli artisti non ce li avevano. Abbiamo “scoperto” che c’era molto nero nel nostro settore».

L’effetto della pandemia

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«Il ddl spettacolo è fondamentale per dare dignità alla vita di un artista – dice Joele Anastasi, regista, attore, drammaturgo e responsabile della compagnia teatrale Vuccirìa che ora si trova a Napoli – anche per noi registi che teoricamente siamo ‘in cima’ alla piramide dello spettacolo. Dovremmo essere pagati di più, ma ormai i compensi sono drasticamente diminuiti negli ultimi dieci anni, così come i giorni di prove pagati e le tournè. Si tratta di avere 30, 40 giorni di prove e quante regie si possono fare? Una l’anno o una ogni due anni. La legge è fondamentale perché è la natura del nostro lavoro che prevede discontinuità».

«Una cosa è se un artista fa altri lavori per mantenersi, un’altra è se tutto il comparto è così e allora c’è qualcosa che non quadra – continua Anastasi – e uno stato deve farsene carico perché la cultura è fondamentale».

Anastasi assieme ad altri registi ha fondato durante il Covid l’associazione Rac, registi a confronto, e la pandemia è stata un momento rivelatore per molti del settore. «Il Covid ci ha fatto venire allo scoperto – racconta Tabita – ha rivelato i nostri problemi, ci ha fatto comprendere che dobbiamo fare corpo, cosa che non abbiamo mai fatto perché c’è molto individualismo nel nostro settore. Ognuno spera di diventare il prossimo Favino. La pandemia ci ha unito e ci ha fatto capire quanto è importante essere riconosciuti come lavoratori».

Luigi confessa che ancora si sente rispondere, quando dice che fa l’attore per vivere, “Davvero che lavoro fai?”. «Il nostro non è un hobby – conclude – è un lavoro che promuove la coscienza civile, la coscienza critica. Se si decide di non investire in cultura, anche quella è una scelta».

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