Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), controllata dal Mef, «promuove lo sviluppo dell’Italia sostenendo l'innovazione e la competitività delle imprese, le infrastrutture e il territorio».

È pertanto il braccio del governo per i progetti economici strategici. Tra i suoi compiti principali dovrebbe dunque rientrare la digitalizzazione del paese con la costruzione della rete in fibra su tutto il territorio tramite la controllata OpenFiber (Of).

Quest’ultima, a detta di Alessio Butti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con la delega all’innovazione tecnologica, doveva diventare capofila nella costituzione della rete unica a controllo pubblico.

Un’assurdità se consideriamo che non ha uguali in nessun altro paese nel mondo occidentale. Anche se la Rete Unica è un’idea fissa di molti governi fin dai tempi della Stet di Ernesto Pascale.

Sos al governo

Ora, non senza sorpresa, si apprende di una lettera, di dominio pubblico, inviata da Cdp al governo, nella quale si afferma che Of è in crisi finanziaria, e chiede un aiuto allo Stato. Che Cdp comunichi col governo tramite una pubblica missiva rasenta l’assurdo. Posso solo supporre che i vertici di Cdp, in scadenza di mandato fra un anno, abbiano voluto mettere in chiaro che questa situazione l’hanno ereditata.

Cdp dovrebbe operare con piani a lungo termine, ma il suo vertice dura tre anni perché ogni governo vuole nominare il proprio, a prescindere da meriti e risultati: nel 2015 Matteo Renzi nomina Fabio Gallia amministratore delegato; nel 2018 il Conte I gli preferisce Fabrizio Palermo; nel 2021 Mario Draghi nomina Dario Scannapieco.

Immagino che il governo Meloni tra un anno vorrà un suo vertice ed è comprensibile che chi siede sull’ambita poltrona provi ad accreditarsi con chi potrebbe rinnovargli l’incarico. Ma se i vertici di Cdp devono assecondare il governo di turno, come può Cdp perseguire i piani strategici pluriennali di cui avrebbe bisogno il paese? Altra assurdità.

Voci di stampa e corridoio fanno intendere che Of verrà lasciata al suo destino perché la società fu una decisione scriteriata di Renzi, che dovrà assumersene la responsabilità.

Chi scrive criticò a suo tempo la decisione del governo Renzi di conferire Metroweb, la società della fibra di Cdp, nella nuova Of assieme ad Enel (a cui è subentrato il fondo Macquarie) per fare concorrenza a Telecom (oggi Tim) sulla rete. Ma trovo assurdo che lo faccia oggi il Governo che meno di un anno fa voleva lo scorporo della rete Tim, da fondere in Of, per creare la rete unica a controllo Cdp; e che solo qualche mese fa sosteneva l’Offerta di Cdp-Of in competizione col fondo Kkr nella contesa per l’acquisizione della rete di Tim.

Rischio insolvenza

Of è a rischio insolvenza, ma non da ora. Già il bilancio 2022 mostra una posizione finanziaria negativa per 4,2 miliardi, a cui aggiungere 670 milioni di debiti netti commerciali e 353 milioni di altre passività. Un indebitamento insostenibile per una gestione operativa che ha generato appena 243 milioni di liquidità, a fronte di 1,3 miliardi di investimenti. Mi chiedo se a Palazzo Chigi sappiano leggere un bilancio.

Lo scaricabarile su Renzi sarà anche utile mediaticamente, ma non serve a scongiurare una situazione potenzialmente dalle gravi conseguenze. Un’eventuale insolvenza di Of inciderebbe negativamente sul rischio paese perché aprirebbe un buco nei bilanci delle banche italiane, sue principali creditrici; imporrebbe a Cdp una maxi svalutazione (è in bilancio a 3,9 miliardi); e creerebbe un danno reputazionale, essendo l’ennesimo fallimento di una società a controllo pubblico (dopo Ilva, Mps, Alitalia).

Alla fine, quindi, sono sicuro si troverà il modo per fare arrivare ad Of le risorse della concessione per la posa della fibra, del Pnrr per il cablaggio delle aree bianche e grigie, già in grave ritardo sui tempi concordati (ennesima figuraccia con l’Europa) o qualche escamotage contabile. L’obiettivo sarà di guadagnare tempo in attesa di una soluzione inevitabilmente legata alla partita sula rete di Tim, evitando che banche e Cdp debbano fare accantonamenti nel bilancio 2023.

Ci si interroga su come un disastro finanziario simile sia potuto accadere e, soprattutto, come abbia fatto Enel a vendere il suo 40 per cento in Of al fondo Macquarie per oltre 2 miliardi. Macquarie è uno dei maggiori fondi infrastrutturali al mondo: non certo degli sprovveduti ignari dell’Italia, avendo in passato investito con successo in Aeroporti di Roma e oggi in Autostrade, sempre insieme a Cdp. E le banche italiane non avrebbero dato a prestito miliardi a un progetto insensato.

Obiettivo fusione

L’operazione Of era infatti strumentale a creare la famosa rete unica a controllo pubblico attraverso una fusione con la rete di Tim (ex Telecom) che la società avrebbe dovuto ceder per poter rientrare da un indebitamento eccessivo. Da anni Tim è in declino irreversibile, con debito e struttura di costi insostenibili.

Il flusso di cassa operativo del 2023 sarà di quasi il 30 per cento inferiore alla media del decennio precedente al Covid, e questo ha costretto Tim a tagliare gli investimenti del 20 per cento rispetto allo stesso decennio, non lasciando risorse per la riduzione del debito, arrivato a 4,5 volte il margine operativo, il doppio del settore europeo. E l’aumento del tassi ha quasi raddoppiato il costo dei nuovi finanziamenti.

Vendere la rete per scaricare debito ed esuberi, abbattendo gli oneri finanziari e superando una volta per tutte la crisi finanziaria latente era, ed è, per Tim la soluzione obbligata.

Modello Autostrade

La fusione della rete Tim con Of offrirebbe a tutte le società telefoniche l’accesso alle stesse condizioni, che così non si devono più fare concorrenza, a un costo che il regolamentatore della società della rete unica stabilirebbe in modo tale da rendere il suo debito sostenibile e remunerare adeguatamente il capitale.

Insomma, una riedizione delle operazioni misto pubblico privato fatte con le altre reti come Autostrade, Italgas, Snam e Terna: meno concorrenza; più Stato; tariffe più elevate per gli utenti; e lauti dividendi per Cdp e i suoi soci fondi infrastrutturali. La creazione di Of, l’ingresso di Macquarie e quello di KKR in FiberCop assieme a Tim, puntavano tutti a questo: nessuna follia finanziaria dunque.

Che cosa è andato storto? Vivendi, azionista di maggioranza di Tim, ha ritenuto di saper valorizzare Tim in altro modo, con risultati disastrosi. Poi si è opposta all’opa del fondo Kkr su Tim, che avrebbe portato allo scorporo della rete. E quando ha capito che la cessione della rete era inevitabile, ha preteso un prezzo che nessuno pagherà mai.

Le richieste di Vivendi

Kkr ha ottenuto da Tim un’esclusiva per la trattativa e presenterà un’Offerta vincolante a settembre: Vivendi la dovrà accettare, perché non ci sono alternative se vuole evitare il dissesto di Tim. Naturalmente cercherà di strappare qualche concessione dal governo, visto che la creazione della rete unica rimane un suo obiettivo “strategico”. Sicuramente l’Offerta di Kkr includerà un contratto di servizio ben remunerativo e qualche entità para pubblica (F2i?) farà parte della cordata per difendere l’italianità. Ma sarà poi nell’interesse di Kkr riaprire le trattative con Cdp e Of per creare la famosa rete unica a controllo pubblico.

Kkr ha interesse a incassare i dividendi, non controllare la gestione che lascerebbe a Cdp, i cui interessi sono allineati con quelli dello Stato, che è anche il regolatore. E potrà negoziare da una posizione di forza la fusione con Of visto lo stato finanziario di quest’ultima. Macquarie salva il salvabile. Cdp raggiunge l’agognato obiettivo della rete unica. E il governo potrà annunciare la creazione di una struttura strategica per il paese, come nessun governo precedente aveva saputo fare.

Gli unici a non festeggiare saremo noi, che dovremo pagare il maggior costo della rete, necessario per mantenere in piedi una delle peggio concepite operazioni finanziarie della storia nazionale.

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