I dati economici tedeschi sono inequivocabili nella loro drammaticità. Nel secondo trimestre del 2023 il Pil in Germania è rimasto stabile allo 0%, con una modesta crescita rispetto al -0,1% del trimestre precedente che aveva certificato una recessione tecnica (due trimestri negativi consecutivi). La frenata è testimoniata anche dal nuovo calo della fiducia delle imprese, scesa a 85,70 punti ad agosto da 87,30 a luglio.

L'indice Ifo, barometro molto attendibile sull’umore congiunturale teutonico, è sceso per il quarto mese consecutivo, attestandosi al livello più basso dallo scorso ottobre e al di sotto delle aspettative di mercato di 86,7. Calano anche le aspettative per i prossimi mesi a 82,6 punti da 83,5. «L'economia tedesca non è ancora fuori pericolo, la traversata del deserto continua», commenta il presidente dell'Ifo, Clemens Fuest.

Sul paese pesano l’inflazione e l’aumento dei tassi che mina i consumi interni, mentre il settore manifatturiero vede prosciugarsi la domanda esterna. Rallentano le esportazioni di prodotti “made in Germany”, soprattutto verso i principali clienti cinesi e nordamericani. Secondo il Fondo monetario internazionale, l’ex locomotiva dell’Ue dovrebbe essere l’unico grande paese industriale a entrare in recessione nel 2023.

Male anche i servizi

A trascinare giù l'eurozona è soprattutto la Germania, dove il Pmi (l’indice dell’attività economica) è sceso a 44,7 ad agosto da 48,5 di luglio, ben al di sotto della previsione di 48,3. Anche l'indice Pmi del settore servizi in Germania in agosto è sceso a 47,3 punti rispetto al 52,3 segnato in luglio.

Dalla frenata del settore dei servizi in Germania, ai minimi da 9 mesi, ci si aspetta un calo del Pil dell'1%, ipotizza un’analisi dell'Hamburg Commercial Bank. La caduta della produzione manifatturiera tedesca potrebbe frenare anche le esportazioni italiane verso il Brennero. Tra i comparti maggiormente interessati i distretti della metalmeccanica del Nord Italia.

Il malato d’Europa

«La Germania è di nuovo il malato d'Europa?». È il titolo di un editoriale dell'Economist della scorsa settimana, analisi condivisa dal maggiore quotidiano finanziario tedesco, Handelsblatt. In copertina, l'omino verde che compare nei semafori di Berlino, ma attaccato a una flebo, possibile allusione, alla coalizione di governo guidata da socialdemocratici, Verdi e liberali, chiamata appunto «coalizione semaforo». Le cause? Troppa prudenza fiscale, dipendenza da export verso Cina, abbandono troppo veloce del nucleare, immigrazione poco qualificata, coalizione di governo senza intuito politico.

Secondo gli autori dell'articolo dell’Economist ''l'autocompiacimento e l'ossessione per la prudenza fiscale'' avrebbero portato a ridurre eccessivamente gli investimenti statali e a marginalizzare infrastrutture e digitalizzazione. Inoltre, si evidenzia come Berlino sia il Paese che più di tutti dipende dalle esportazioni verso la Cina, dalla quale l'Occidente sta operando un progressivo decoupling o derisking.

E sul fronte dell'immigrazione, benché a causa dell'invecchiamento demografico Berlino abbia varato politiche più aperte, non riesce ad attrarre i lavoratori più qualificati. A questo punto le prossime elezioni in Assia e Baviera a ottobre saranno particolarmente importanti per il destino del governo federale.

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