«Non dire il mio nome, né quello dei miei compagni. Noi vogliamo rappresentare tutti i lavoratori della Portovesme sia quelli diretti, quelli che lavorano in appalto e gli interinali». 

Lunedì notte sulla ciminiera dell'impianto Kss della linea piombo della Portovesme srl si sono arrampicate 4 persone con tende, sacchi a pelo, cibo e bevande. Sono lavoratori della Portovesme srl che hanno deciso di inscenare una protesta clamorosa, a 100 metri di altezza per protestare contro la possibile chiusura dell’80 per cento degli impianti dell’azienda.

Un anno e mezzo perso

«La situazione è questa - continua l’anonimo lavoratore - da un anno e mezzo a questa parte la Portovesme srl subisce la crisi energetica, come le famiglie come altre aziende, con la differenza che la Portovesme è un'azienda altamente energivora. In quest'anno e mezzo con i sindacati si sono aperti dei tavoli che coinvolgevano parlamentari sardi, il presidente della regione per trovare degli strumenti che potessero scongiurare lo stop dello stabilimento, ma siamo arrivati alla cassa integrazione senza soluzioni». L’azienda è l’unica produttrice di piombo e zinco in Italia, nell’area del polo industriale del Sulcis in Sardegna che ha visto negli ultimi vent’anni un unico susseguirsi di crisi di aziende teoricamente strategiche per l’Italia, a partire dall’Alcoa.

  • La vista dalla cima della ciminiera (foto inviata dagli operai in protesta)

Nell’ottobre del 2021 la Portovesme srl, di proprietà della multinazionale Glencore, aveva convocato i lavoratori (1300 in totale tra diretti e di appalti) e spiegato che con quel costo dell’energia non stava guadagnando e anzi stava perdendo soldi. Da quel momento lavoratori e istituzioni si sono messi a cercare soluzioni, prima con il governo Draghi e ora con il governo Meloni il 28 febbraio era il limite che l’azienda si era dato per un accordo sui costi dell’energia che non è arrivato e quindi è partita te la procedura per la cassa integrazione per i 600 dipendenti. Solo dopo l’inizio della clamorosa protesta si è fissato un tavolo governativo il prossimo venerdì 3 marzo.

«Noi siamo pronti a restare qui fino a quanto sarà necessario - continua l’operaio - già l’incontro di venerdì è un risultato, ma siamo molto sfiduciati perché di promesse ne abbiamo sentite tante ma nessuna è stata mantenuta».

Intanto la preoccupazione è per gli altri lavoratori, altri 600 che lavorano per imprese esterne e che non hanno la capacità di anticipare la cassa integrazione. 

«Siamo una grande azienda energivora, unica in Italia per la produzione di zinco e piombo - racconta Fabrizio Floris delegato Cgil in fabbrica - è una tipologia di produzione che negli anni si è trasformata per passare dai famosi forni a vento ad un sistema elettrolitico: un sistema molto meno impattante sul lato inquinante, che però ha bisogno di molta energia. Non abbiamo problemi di mercato perché il metallo che produciamo non soddisfa il bisogno nazionale, il bisogno dello zinco è 150.000 tonnellate in più di quanto produciamo». 

Un’azienda in salute

Prima del 2020, raccontano i lavoratori, la discussione era sull’ammontare dei premi di produzione. Poi arriva la crisi energetica post pandemia e la guerra che blocca anche il flusso delle materie prime da Ucraina e Russia, oltre che un’ulteriore crisi per i prezzi dell’energia ma non è l’unico problema per la Portovesme srl. “In Sardegna non abbiamo il metano - dice Floris - non abbiamo la rete del gas,  andiamo avanti con le bombole in casa. Quindi l’impianto va ad energia elettrica in parte prodotta dalla centrale Enel Grazia Deledda sempre qui nel Sulcis, che però è a carbone quindi destinata alla chiusura. 

Intanto a rischio sono 1300 famiglie principalmente monoreddito “Il tema è quello del mantenimento del presidio industriale in un territorio già lacerato dalla piaga sociale della mancanza di lavoro” dice il sindaco di Carbonia Pietro Morittu.  Ieri i 23 sindaci della provincia sono andati in sit in in solidarietà coi lavoratori.

«Io ero un giovanissimo assessore quando c’è stata la crisi dell’Alcoa», racconta Morittu «Ho vissuto tutto il fermento delle manifestazioni romane. Quindi la decadenza del polo industriale è un tema. La nuova società Sider Alloys Lois che sta in questo momento procedendo alla riqualificazione del personale per la riapertura dello stabilimento, dall’altra parte c’è l'Euroallumina che aspetta ancora di riaprire i cancelli, e da anni spende milioni in manutenzione dei macchinari. Il venir meno della Portovesme e la messa in crisi della centrale Enel a carbone è un problema per tutto il territorio».

Territorio che soffre di un’emorragia di giovani che lasciano la Sardegna per trovare lavoro. «Se viene in fabbrica vede che ognuno ha una storia diversa, ma che da questa situazione ci perde – racconta Floris – Anche passare da 1500 a 900 euro al mese della cassa integrazione è dura, significa dire ai figli che non si può più finanziare l’Università. Perché le università sono a 60 km e non ci sono collegamenti per raggiungerle facilmente quindi i figli si devono trasferire a Cagliari se vogliono studiare. E per i più giovani è lo stesso: uno dei lavoratori sulla ciminiera ha una bambina al nido e siccome il suo è uno stipendio considerato ‘alto’ la rata dell’asilo è molto costosa, avrà problemi a tenerla lì». 

L’assessore dell’Industria della regione Sardegna, Anita Pili è coordinatrice della Commissione Energia della Conferenza delle regioni. «Abbiamo lavorato per l’introduzione in legge dell’energy release che quota parte avrebbe dovuto ristorare le aziende energivore della Sardegna e della Sicilia – racconta –  Nei fatti i decreti attuativi elaborati dall’allora Mite (Ministero Ambiente e Sicurezza Energetica) non hanno soddisfatto le aspettative. Venerdì ci aspettiamo un intervento del governo che eviti la fermata dell’impianto e che lo accompagni verso una riconversione senza lasciare a casa nessuno».

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