Se non ci fosse di mezzo la tenuta del governo Draghi, si potrebbe parlarne con ironia. L’esecutivo ha inserito nel disegno di legge di delega fiscale una semplice operazione trasparenza che dovrebbe concludersi nel 2026 per verificare che i valori del catasto degli oltre 76 milioni di immobili censiti in Italia – senza contare gli 1,2 milioni di immobili fantasma individuati dall’agenzia delle entrate – siano aggiornati. Senza che questo, è chiaramente specificato nella delega fiscale, abbia effetti sulle imposte: «Le informazioni», si legge all’articolo 6 della delega, «non dovranno essere utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi derivanti dalle risultanze catastali né per finalità fiscali».

Catasto 1939

La delega, quindi, si limita ad aggiornare un sistema estimativo catastale che «è fondato su una disciplina sostanzialmente risalente al 1939», come fa notare il dossier preparato dagli uffici studi della Camera dei deputati. E su cui più volte le riforme sono fallite.

L’ultima, varata nel 2014 e approvata a larga maggioranza in parlamento, dagli stessi partiti che ora sbraitano contro questa operazione trasparenza, prevedeva invece che l’aggiornamento avesse sùbito una applicazione ai fini fiscali. Oggi però la destra al governo non vuole nemmeno far sapere agli italiani qual è il vero valore degli immobili che abitano, in modo che chi vive in periferia non sappia cosa succede a chi vive in centro, che chi ha una sola casa non sappia quanto valgono le case di chi invece di immobili ne ha tre, che non lo sappia lo stato e il comune. La riforma dei valori catastali ci è stata raccomandata molte volte dalla direzione affari economici dell’Unione europea: l’ultima volta nelle raccomandazioni del 2019.

E non ci è stata raccomandata a caso: l’Italia concentra come nessun altro paese in Europa la maggior parte delle imposte sui redditi da lavoro, che sono tra l’altro in calo, e in particolare sul lavoro dipendente. Sono invece «sottoutilizzate le basi imponibili più favorevoli alla crescita», patrimonio e consumi. «L’imposta patrimoniale ricorrente sulla prima casa è stata abrogata nel 2015, anche per i nuclei familiari più abbienti. Inoltre i valori catastali dei terreni e dei beni, che costituiscono la base per il calcolo dell’imposta sui beni immobili, sono in gran parte non aggiornati», ricorda la Commissione europea.

Le riforme approvate dal Piano di ripresa e resilienza, non è un particolare da poco, dovrebbero essere in linea con le raccomandazioni del semestre europeo.

Con queste premesse, non deve stupire la dichiarazione della sottosegretaria Maria Cecilia Guerra. Di fronte alla Commissione finanze che sta ancora esaminando il testo della delega, Guerra ha detto: «Se l’articolo 6 non è approvato si ritiene conclusa l’esperienza di governo». Il governo, è la traduzione più formale, sollecita con decisione la commissione finanze della Camera a portare a termine l’esame del disegno di legge sulla delega fiscale e, in particolare, la norma riguardante il catasto. L’avvertimento pubblico segue un incontro con i rappresentanti della maggioranza tenutosi la sera del primo marzo, in cui il messaggio dell’esecutivo era stato esattamente lo stesso.

La Camera dovrebbe esaminare il testo a fine marzo. Da settimane il presidente della Commissione finanze, il deputato di Italia viva Luigi Marattin, va ripetendo a tutti: «La legge delega di riforma fiscale non contiene alcuna riforma del catasto». Ha ragione, ma la destra ora non vuole nemmeno quella che Marattin definisce «una semplice fotografia» nell’unico paese che sulla prima casa non ha imposizione né patrimoniale né reddituale.

Confedilizia avvilita

La Lega ha sùbito definito l’aut aut del governo «gravissimo». Fratelli d’Italia ha chiamato il centrodestra alla rivolta (fiscale). Forza Italia si propone come regista di una possibile mediazione. Maurizio Lupi ha invece deciso di deporre le armi e seguire l’esecutivo, togliendo la firma all’emendamento con cui tutto il centrodestra ha proposto lo stralcio della revisione del catasto.

Intanto i lavori sono stati sospesi. Giorgio Spaziani Testa, il presidente di Confedilizia, l’associazione di imprese che negli ultimi mesi ha potuto godere di bonus miliardari dal valore di una intera finanziaria pagati da tutti gli italiani che pagano le tasse, ha detto che ogni commento alle dichiarazioni della sottosegretaria Guerra «è superfluo». E in un’altra nota ha scritto che «è avvilente dover parlare di tasse mentre le bombe uccidono persone inermi a pochi chilometri da noi».

L’esempio di Roma

Nel recente passato c’è stato solo un esempio di aggiornamento che ha concretamente funzionato: la legge finanziaria del 2005, governo Berlusconi II, aveva dato ai comuni, allora interessati più di oggi a incassare l’imposta, la possibilità di chiedere direttamente all’agenzia delle entrate la revisione parziale del classamento degli immobili sul loro territorio.

Diciassette comuni, tra cui Roma, usufruirono di questa possibilità: fu modificato il classamento di 328mila unità immobiliari sulle quasi 420mila esaminate, e le entrate per le casse pubbliche aumentarono di 183 milioni di euro. Per la capitale fu il più grande aggiustamento catastale realizzato di recente, capace di riequilibrare almeno in parte il rapporto tra periferie e zone centrali.

Tuttavia uno studio realizzato qualche anno fa da Marco Causi dell’Università Roma Tre e Gianni Guerrieri, direttore dell’Osservatorio del mercato immobiliare e servizi estimativi dell’Agenzia delle entrate, dimostra che ancora oggi il patrimonio immobiliare abitativo dei romani è pari al doppio di quello catastale e i valori catastali superano in media i valori di mercato soltanto in macro-aree periferiche o ultra-periferiche, che quindi nonostante siano i più svantaggiati pagano più di quello che dovrebbero. La destra e le lobby dell’edilizia non vogliono nemmeno che se ne parli.

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