Per comprendere quanto inadeguato e improvvisato sia stato l'intervento del governo Meloni sul Superbonus aiuta la notizia che a Roma si fermerà la riqualificazione di alcune migliaia di alloggi di edilizia popolare, nelle vituperate periferie di Tor Bella Monaca, Corviale, Spinaceto, Casal Bruciato e molte altre ancora.

Alla data prevista dal decreto per lo stop alla cessione del credito, il 16 febbraio 2023, non sono infatti ancora partiti i lavori e quindi addio al meccanismo che permetteva di superare i limiti di detrazione del soggetto che gestisce gli edifici per la regione Lazio, da pochi giorni governata da Francesco Rocca.

Quando il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti denuncia l’esplosione della spesa pubblica con il Superbonus e ferma per tutti l’accesso a quel meccanismo fiscale compie una scelta politica che sarà pagata dai più poveri. Perché cessione del credito e sconto in fattura furono introdotte nel 2020 proprio per superare i problemi un sistema di incentivi che tagliava fuori incapienti, pensionati e famiglie a basso reddito.

La riqualificazione delle villette pagata dallo stato

Da domani il Superbonus rimarrà in vigore, al 110 per cento per quest’anno e poi a scendere, ma potrà beneficiarne solo chi ha reddito da detrarre. 

Eppure, la maggioranza conosceva da mesi questa situazione, poteva e doveva intervenire in modo diverso a partire proprio dall’assurdità di far accedere alla cessione del credito e a un rimborso completo anche i ricchi contribuenti.

O dal paradosso del Superbonus che si è trasformato in un incredibile e inutile motore di riqualificazione di case e villette usate pochi mesi all’anno (ben l’86 per cento degli edifici interessati da interventi sono unifamiliari o indipendenti).

Cosa succede ora?

È difficile che la maggioranza possa tirare dritto e aprire uno scontro con migliaia di imprese e di famiglie che pensavano di terminare i lavori entro i termini previsti dal governo Draghi per la riduzione dell’aliquota. Ma il rischio maggiore è che si guardi solo ai cantieri aperti e non a come riqualificare complessivamente il patrimonio edilizio italiano. Che poi è quanto ci chiede la direttiva sulle prestazioni energetiche degli edifici tanto contrastata dalle parti della maggioranza di governo.

La crisi energetica e l’inflazione determinate dalla guerra in Ucraina hanno fatto comprendere a tutti quanto siano folli gli sprechi energetici degli edifici, come dell’urgenza di ridurre i consumi di gas e di aiutare così famiglie e imprese.

Eppure, dopo 120 giorni da quando è entrato in carica il governo non ha ancora spiegato cosa intende fare per rendere più efficienti le case in cui vivono gli italiani. Sappiamo tutto di tubi, rigassificatori, contratti del gas ma nulla di come potremo ridurre la spesa per le famiglie. Se invece di contrastare a prescindere la Commissione europea il ministro Giorgetti si leggesse le proposte presentate scoprirebbe che lì una risposta c’è.

La soluzione europea

Quello che si propone è di intervenire a partire dagli edifici più degradati, perché più urgente è l’intervento e maggiori i benefici.

Si chiede inoltre di accelerare nella riqualificazione del patrimonio pubblico, dove arrivare ad avere il fotovoltaico su tutti gli edifici e di arrivare a azzerare i consumi, liberando in questo modo risorse dalla spesa corrente verso gli investimenti.

Soprattutto, si chiede di mettere in campo strumenti davvero efficaci per aiutare chi oggi non ha le risorse per realizzare questi interventi – ossia incapienti, pensionati, famiglie a basso reddito - e di premiare in modo diverso gli investimenti.

Perché non è la stessa cosa passare dalla classe G alla E – il minimo previsto dal Superbonus – o portare quell’edificio a emissioni zero come oggi è possibile.

Perché non è tutto uguale, sono diversi gli edifici e le famiglie che ci abitano dentro, anche se al governo non sembra interessare.

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