Unicredit si ritira dalla campagna di Russia e fa marcia indietro sulla possibilità di acquisizione di Otkritie Bank, una scelta praticamente obbligata con l’aumentare delle tensioni al confine ucraino e dopo che la Banca centrale europea ha chiesto conto agli istituti europei più esposti verso Mosca, tra cui il gruppo Unicredit, come avrebbero affrontato eventuali nuove sanzioni nei confronti del paese di Vladimir Putin e come avrebbero gestito anche il possibile blocco dell’accesso al sistema dei pagamenti internazionali per le banche russe.

Basterebbe questo per capire la delicatezza del momento, ma non è solo la geopolitica internazionale a contare ma anche gli equilibri nazionali.

Operazioni che sfumano

Chief Executive Officer of UBS, Andrea Orcel arrives at Portcullis House in London to give evidence on banking standards to the Parliamentary Commission on Banking Standards, Wednesday, Jan. 9, 2013. (AP Photo/Sang Tan)

L’amministratore delegato Andrea Orcel alla sua prima presentazione del bilancio annuale si è limitato a dire che «dato il contesto geopolitico abbiamo deciso di ritirarci».

Si tratta della seconda operazione che sfuma nei mesi della sua gestione dopo la trattativa con il ministero dell’Economia sul Monte dei Paschi di Siena.

In compenso ieri quello che da vent’anni è il secondo gruppo bancario italiano ha annunciato un salto di qualità nella partnership con il primo gruppo assicurativo europeo, la tedesca Allianz: un accordo che prevede l’utilizzo di uno stesso sistema operativo e l’offerta di pacchetti di prodotti assicurativi e bancari incrociati nei mercati core dei due gruppi, Italia, Germania, Europa centrale e orientale, per un bacino di 30 milioni di clienti potenziali, a dimostrare ancora una volta che la banca assicurazione, come si ama definire Intesa San Paolo, è ormai direzione quasi obbligata.

Per il resto, nonostante gli obiettivi siano stati centrati, i numeri presentati da Orcel hanno deluso la Borsa: Unicredit è tornata in utile con 1,5 miliardi, ma ha chiuso l’anno con un rosso di 1,4 miliardi nell’ultimo trimestre per voci una tantum. All’assemblea di aprile i soci potranno incassare dividendi per 1,17 miliardi e optare per un riacquisto di azioni annunciato ieri per circa 2,58 miliardi.

Il dopo Mustier

Orcel ha smorzato le aspettative su grandi svolte nel settore remunerativo dell’asset management: funzionano, ha detto Orcel, se si aumentano le dimensioni o se si riescono a conquistare nuovi segmenti ma «al momento credo che entrambe queste soluzioni non siano praticabili per Unicredit».

In Unicredit la ferita per la vendita dei gioielli di famiglia come Pioneer (risparmio gestito) da parte dell’ex ad Jean Pierre Mustier ai francesi di Amundi nel 2016 non si è ancora rimarginata. In una delle sue visite milanesi, Orcel avrebbe anche confessato con qualche amarezza all’anziano banchiere Giuseppe Guzzetti le sue perplessità sulle scelte della gestione precedente e su quanto quella eredità gli abbia complicato l’arrivo a piazza Gae Aulenti.

Per ora il banchiere noto per essere un mago delle fusioni sembra smentire le sue vite precedenti imboccando invece la strada dell’estrema cautela: le operazioni di piccole dimensioni sono più probabili, ha detto ieri, e se non ha scartato ipotesi di fusioni, le ha comunque vincolate innanzitutto alla remunerazione degli azionisti.

Contatti Bpm Unipol

Non sembrano all’orizzonte, quindi, acquisizioni bancarie domestiche, men che meno verso il Banco Bpm, nonostante le voci ricorrenti di un interesse di Unicredit abbiano negli ultimi mesi sostenuto il titolo della banca guidata da Giuseppe Castagna.

Così, mentre le attese sulle grandi manovre di Unicredit sembrano destinate a essere ripetutamente deluse, il nuovo regista delle aggregazioni si trova a essere Carlo Cimbri l’amministratore delegato di quella Unipol che da qualche anno, con la crisi dei referenti politici di una volta nel centrosinistra, si è scoperta più libera di agire in base a logiche di mercato.

Sponda con Mediobanca

L’inizio della svolta, come quasi sempre, è passata da Mediobanca e dal ruolo di triangolazione svolto dall’ad Alberto Nagel nell’operazione Intesa-Ubi Banca, di cui Mediobanca è stata advisor con Unipol che è stata la grande alleata con un accordo preliminare per l’acquisizione degli sportelli eccedenti, secondo le condizioni imposte dall’antitrust, post fusione.

Del resto Unipol, in virtù dell’operazione di fusione con Fondiaria Sai, vantava crediti con Nagel. Letteralmente, l’operazione con il gruppo dei Ligresti aveva salvaguardato i crediti di piazzetta Cuccia. Da quella vicenda e nonostante il suo lunghissimo strascico di veleni, l’allievo di Giovanni Consorte non solo è sopravvissuto ma ha spiccato il volo.

Il possibile sorpasso

LaPresse Piero Cruciatti/LaPresse

Con la sponda all’offerta pubblica di scambio di Intesa San Paolo su Ubi, non solo Unipol ha fatto nascere il tanto atteso terzo polo bancario italiano. Ma secondo molti osservatori ha anche gettato i semi per un possibile sorpasso sul secondo.

Il 15 febbraio prossimo scade il periodo di esclusiva concesso dal fondo interbancario di tutela dei depositi a Bper per la valutazione della acquisizione del controllo di Carige, oltre il quale Bper dovrebbe sciogliere le riserve e presentare finalmente una offerta vincolante. Ma Cimbri, confermano da più ambienti, ha avuto contatti recenti anche con Giuseppe Castagna, l’amministratore delegato di Banco Bpm, noto per aver condotto tutte le interlocuzioni su possibili operazioni di fusione con una precisa bussola: la sua permanenza alla plancia di comando.

A Castagna la rete bancaria di Unipol ancora in divenire e da integrare può offrire molte più garanzie di gruppi con standing più internazionali, anche solo se si trattasse di più tempo.

L’Unione bancaria che ancora non c’è è un freno per eventuali operazioni transfrontaliere di Unicredit, mentre al gruppo assicurativo che fu delle cooperative rosse la scia lunga della crisi del settore offre praterie a relativamente basso costo.

 

© Riproduzione riservata