Il 2025 non è stato l’anno di una sola grande protesta ma di una sequenza di piazze che, una dopo l’altra, hanno raccontato il rapporto sempre più teso tra il governo Meloni e una parte consistente del paese. Cinque manifestazioni, diverse per composizione e linguaggio, ma unite da un filo comune: la difesa dello spazio democratico.

17 gennaio: contro il ddl Sicurezza

Il primo segnale arriva in pieno inverno. A Roma, in piazza Sant’Andrea della Valle, centinaia di persone si ritrovano con le fiaccole accese contro il ddl Sicurezza. La manifestazione è promossa da Amnesty International e dalla rete “A pieno regime”, nata dopo il grande corteo del 14 dicembre. La scena è composta, quasi silenziosa, ma il messaggio è netto: il disegno di legge, denunciano le organizzazioni, introduce nuovi reati, aggrava le pene e restringe il diritto di protesta pacifica. Non è una piazza contro la “sicurezza”, ma contro l’idea che il conflitto sociale venga gestito con il codice penale. Intervengono sindacati, opposizioni parlamentari, attivisti. Da Napoli a Bologna, arrivano collegamenti con altre piazze. È una protesta simbolica perché apre l’anno mettendo al centro il nodo decisivo: la libertà di dissentire.

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15 marzo: la piazza per l’Europa

Due mesi dopo, il tono cambia. Piazza del Popolo si riempie di blu per la manifestazione “Per l’Europa”, lanciata dall’editorialista di Repubblica Michele Serra. Almeno 50mila persone, secondo gli organizzatori. È una piazza adulta, civica, attraversata da bandiere europee, della pace, dell’Ucraina, della Palestina.

Partecipano Pd, Azione, Italia viva, Avs; assente invece il Movimento 5 stelle. Sul palco scrittori, attori, musicisti. Antonio Scurati ricorda le macerie da cui è nata l’Europa, Roberto Vecchioni chiude cantando. È una manifestazione che non nasce contro una singola legge, ma contro un clima: l’idea di un’Europa ridotta a fortezza armata e di una democrazia svuotata. Simbolica perché mostra un’opposizione che prova a ricomporsi, ma anche i suoi limiti e le sue fratture.

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Giugno-agosto: le 60 piazze dell’Onda Pride

Con l’estate arriva un’altra forma di protesta. Da Sanremo in poi, l’Onda Pride attraversa decine di città. Sessanta cortei, milioni di persone. Arcigay parla di una stagione storica, spinta da un contesto politico percepito come sempre più ostile ai diritti non solo delle persone Lgbtq+, ma di tutte le soggettività.

I Pride del 2025 sono apertamente politici e le rivendicazioni intersezionali: contro le politiche del governo sui diritti Lgbtq, contro le restrizioni all’autodeterminazione delle persone trans, contro il silenzio sulle aggressioni omotransfobiche; ma anche contro il genocidio, l’invasione dell’Ucraina, la disoccupazione e per la libertà di movimento. È una protesta diffusa, festosa e radicale insieme. Simbolica perché dimostra che, mentre il parlamento discute di limitare diritti, le piazze li difendono.

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1-4 ottobre: la Flotilla e Gaza

L’autunno segna il punto di massima tensione. Dopo l’abbordaggio delle navi della Global Sumud Flotilla dirette a Gaza, Roma diventa il centro della protesta. Il 1° ottobre migliaia di persone scendono spontaneamente in piazza Barberini e tentano di raggiungere palazzo Chigi. Il 4 ottobre la mobilitazione esplode: un corteo enorme attraversa la città, da porta San Paolo a San Giovanni.

In piazza ci sono studenti, sindacati, lavoratori portuali, associazioni, famiglie. Le immagini della guerra scorrono sui maxischermi, i cori riempiono le strade. La manifestazione degenera in scontri nella parte finale: cariche, lacrimogeni, fermi. Il governo parla di violenza, i manifestanti di genocidio. È una piazza simbolica perché segna il passaggio dalla solidarietà alla disobbedienza di massa.

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12 dicembre: lo sciopero contro la manovra

L’anno si chiude con il lavoro. Il 12 dicembre la Cgil proclama lo sciopero generale contro la legge di Bilancio, i salari bassi, la precarietà. Ci sono cortei in tutta Italia, a Firenze, Roma, Milano, Napoli.

Il segretario Maurizio Landini rivendica il diritto di sciopero come pilastro democratico e accusa il governo di voler delegittimare il sindacato. È una protesta classica, ma non rituale: mette insieme diritti sociali e diritti civili. Simbolica perché ricorda che, senza giustizia sociale, anche la democrazia si indebolisce. Attaccata dalla premier Giorgia Meloni, che ad Atreju la bolla come «un totale fallimento». In realtà le persone scese in piazza sono oltre mezzo milione.

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